Cosa ci resta del terremoto a L’Aquila

Leggere i nomi o scrivere una nuova storia: è qui che ci perdiamo, in questa scelta che dovrebbe essere banale. Ci accontentiamo di leggere i nomi delle vittime del terremoto a L'Aquila. Invece dovremmo scrivere una nuova storia

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I media ci informano diligenti che in occasione della 14ma ricorrenza del terremoto che distrusse l’Aquila il 6 aprile del 2009 sono stati letti i nomi delle 309 vittime seppellite sotto i loro sogni da una scossa di magnitudo 6.3. E che ad ogni nome ha dato rispondenza il rintocco di una campana. Ecco, per leggere 309 nomi e cognomi da scandire con la solennità che il momento merita ci vogliono circa 350 secondi, sono poco più di 5 minuti o al più 7 se aggiungiamo il contrappunto del bronzo percosso.

Il terremoto del 2006 a cancellare quelle 309 persone dalla faccia della terra per lo più ci mise molto meno. Fu più veloce. Veloce e terribilmente efficace. Quando ti si sfascia un solaio marcio in testa e precipiti per i tre rombanti secondi sufficienti a ché una trave ti spenga la luce nel cranio mentre ti chiedi cosa stia succedendo il tempo diventa una cosa a sé stante.

Tra quei 309 c’erano gli universitari Giulia Carnevale di Arpino che sognava di diventare architetto e lavorare nell’impresa del papà; Nicola Bianchi di Monte San Giovanni Campano che studiava Biotecnologie e passando da L’Aquila voleva raggiungere il mondo della ricerca; Armando Cristiani di Sora era iscritto a Fisica; come di Sora anche Marco Alviani che aveva quasi finito il III anno di Psicologia ed era tornato a L’Aquila nel suo appartamento alla Casa dello Studente proprio il giorno in cui è venuto giù tutto; Maria Civita Mignano di Castelforte invece era lì per lavorare: aveva trovato impiego alla Combipel e per lei l’indomani sarebbe stato un giorno di lavoro.

Il caso NextAppennino

Foto Cuccuru © Imagoeconomica

I solerti media ci spiegano anche che in occasione della cerimonia per ricordare quei morti, ed i 1500 feriti, e i 100mila sfollati ed una distruzione che mise in ginocchio una terra bellissima che non sta ancora in piedi, sono stati eseguiti alcuni brani di Johann Sebastian Bach, autore consono alla circostanza come non mai: tetragono, solenne, di una genialità truce che si presta benissimo a rievocare le anime che non hanno più un corpo.

I media, Dio li benedica alla faccia di chi sciapamente li snobba, ci raccontano ad esempio di NextAppenino, che è il programma “per il rilancio economico e sociale delle regioni del Centro Italia colpite dai terremoti del 2009 e del 2016”. Lo finanzia il Fondo Complementare al PNRR per le Aree Sisma e ieri a L’Aquila ci sono andati a rappresentare il governo Giorgia Meloni ed il Senato Ignazio La Russa.

Oggi c’è Ilaria Cucchi, ad esempio. Le tocca presiedere alla presentazione del docufilm “Le crepe della giustizia”, roba forte. Insomma, come sempre accade nell’Italia che ha delegato al melodramma la più parte della sua sostanza di Stato. Lo stesso c’è ed è presente quando si tratta di commemorare.

Non c’era quando si trattò di prevenire e probabilmente non ci sarà del tutto quando si tratterà di riparare con organicità e dovizia di progetti.

La contrizione di comodo

Giorgia Meloni a L’Aquila

Il quadro è questo: piaccia o meno quello che sappiamo fare meglio di tutti al mondo è mandare in scena una contrizione che non è mai la formula magica per evitare gli sfasci. Ma è una sorta di emendabile e tardiva litania per deprecare gli stessi . Ed empatizzare sul fatto che siano venuti. Il dolore ed il ricordo sono doverosi, struggenti ed importanti, sia chiaro, ma se ad essi non si accompagna la seria volontà di evitare che nuovo dolore ci sia è tutta fuffa del momento.

Bisogna che, in soluzione di continuità con i vari timonieri del Paese, ci si renda conto del fatto che partecipare non basta. Come non basta indignarsi, e fare discorsi, e sciorinare progetti sintattici in posti dove è mancata la progettualità della sicurezza. Posti dove nel nome di quella carenza qualcuno rideva e rideva “grosso” perché pregustava affaroni per ricostruire sulle macerie di ciò che si era incentivato con crapula ad approssimazione.

Il Pnrr è per buona parte a rischio e l’Italia ha un’agenda che per parte ottima ne ha messo in spunta i fondi per fare cose eccelse, futuristiche. E per la più parte irrealizzabili se non sulla carta solenne.

Non leggere, ma scrivere

Giorgia Meloni

Cose con cui andremo a dire a Buxelles che si, abbiamo fatto i compiti e quei soldi ce li siamo guadagnati con la spendita diligente dei figli parsimoniosi in paghetta. L’Italia ha problemi seri e il più grande è quello di non dover leggere più i nomi di chi è morto anche per incuria, ma di scrivere una nuova storia in cui magari leggere sarà meno necessario per le scalmane della natura e del tutto inutile per la parte con cui le preveniamo.

Perché 309 ritocchi non ci hanno ricordato solo che a L’Aquila ci sono stati morti, ma anche che attaccata alla fune che tira il batacchio della campana c’è la nostra mano di popolo, perché chi poi decide siamo noi a delegarlo.

Ed è ora che quella mano impugni un lapis autocad, una pala ed un bricco di caffè schietto. Per fare quello che va fatto.