Cosa vuole Michele e cosa non vuole capire

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

In famiglia hanno una macchina sola e se la dividono in base alle esigenze, abitano in un appartamento, non hanno fatto investimenti, non hanno conti all’estero né proprietà immobiliari su isole off shore: Michele Marini è stato con ogni probabilità l’unico sindaco di una grande città a riuscire a finire sotto inchiesta per un maxi appalto ma, nonostante gli abbiano controllato ogni proprietà, ascoltato ogni telefonata, setacciato ogni messaggio di posta elettronica, non gli hanno trovato un solo centesimo ricevuto o promesso da qualcuno per truccare quella o altre gare. E’ da qui che bisogna partire se si vuole tentare di capire cosa sta mettendo in ginocchio il centrosinistra prima di arrivare alla griglia di partenza della sfida contro il sindaco uscente di Frosinone Nicola Ottaviani.

Cinque anni fa a fargli perdere il municipio non fu il centrodestra che sosteneva compatto l’avvocato, schierato più per disperazione che per convinzione: Ottaviani era già stato battuto cinque anni prima e le minestre riscaldate in politica sono sempre indigeste. A far perdere il bis a Michele Marini fu il suo Centrosinistra. Alcuni sostengono che fu lui stesso: perché si era discostato troppo dalla linea tracciata nei dieci anni precedenti dal sindaco Memmo Marzi del quale era stato il vice e l’efficacissimo assessore ai Servizi Sociali, perchè si era allontanato troppo dall’ortodossia di Partito. E poi c’erano le voci di quell’imminente avviso di garanzia a complicare il tutto.

E’ accaduto allora che il Partito Democratico ha compiuto un altro dei suicidi perfetti nei quali si è dimostrato insuperabile fin dalla sua nascita: ha ucciso, con la stessa noncuranza, premier in carica ed in pectore, presidenti della Repubblica eligendi ed eleggibili. E sindaci, come nel caso di Michele Marini. Quindi, visto che nel 2012 Michele, con una sola macchina (la stessa utilitaria scassata che guidava da prima ancora della campagn elettorale), senza una villa, né un conto all’estero o un terreno in off shore zone, non volle fare proprio per questo alcun passo né indietro né di lato, il Pd decise di sostituirlo in corsa. Suicidandosi. (leggi qui il precedente con i dettagli chiave di quei giorni)

I Socialisti, che con lui avevano governato cinque anni, lo abbandonarono poco prima di salire sul palco; il suo segretario politico cittadino si dimise, mezzo Pd gli voltò le spalle; vide materializzarsi lo spettro del suo predecessore Marzi che tornava in campo ma con una civica. Fu un bagno di sangue politico: il centrosinistra aveva la maggioranza dei voti ma consegnò la città al centrodestra ed al neo sindaco Nicola Ottaviani, celebrato nel 2012 come l’unico in Italia, in quella tornata elettorale, a strappare un capoluogo di provincia al centrosinistra per portarlo al centrodestra.

Cosa tenne incollato fino all’ultimo secondo Michele su quel palco?  Cosa voleva allora e cosa reclama oggi?

Michele rimase incollato alla candidatura e difese la fascia tricolore fino alla fine, solo per una parola: dignità. Sapeva che non aveva preso un centesimo per l’appalto sulla Monti Lepini ed aveva benissimo in mente che il suo coinvolgimento stava solo in un’unica frase detta dall’allora consigliere Paolo La Cava ad un imprenditore: «Mi Manda Michele». Ma Michele non ne sapeva niente.

In quella campagna elettorale venne massacrato. Non solo sui palchi di Ottaviani (e ci può stare) ma soprattutto su quelli dove parlavano le persone che avevano governato insieme a lui per cinque anni (e ci può stare molto meno). Gli dissero che era inefficace, demolirono i suoi cinque anni da sindaco che erano il frutto dei dieci anni precedenti in amministrazione, fecero a pezzi i suoi progetti, i suoi risultati, finsero di non vedere che dalle sue tasche non cascava nemmeno un centesimo, ignorarono che – come prima di fare il sindaco – aveva solo una vecchia utilitaria e nessuna proprietà.

Michele vuole che gli restituiscano questo. E lo vuole ancora adesso che sono passati cinque anni. Cosa non vede però Michele? Quello che con pazienza da far impallidire anche il più anziano monaco certosino, Francesco De Angelis sta cercando di fargli notare. Da giorni gli va ripetendo un ragionamento che sta in buona parte nelle cifre riportate oggi da Corrado Trento su Ciociaria Oggi (leggi qui): in quel 2012, quando Michele Marini e Nicola Ottaviani arrivano a sfidarsi nel turno di ballottaggio, Ottaviani prende 129 voti in meno rispetto al primo turno mentre Marini ne prende 4.178 in più. «Diciamo che la metà dei voti sono i tuoi e li hai recuperati, ma l’altra metà devi ammettere che te li hanno portati quelli che tu accusi di averti pugnalato alle spalle – è il teorema De Angelis – furono coerenti con se stessi al primo turno e leali con te al secondo». E le parole dette sui palchi? «La campagna è così Miché, lo sai bene pure tu: si dicono cose in maniera accesa che senza il clima elettorale si direbbero ma in modo meno esasperato». E Fabrizio Cristofari, all’epoca segretario cittadino del Pd che voltò le spalle? «Non puoi negare che una parte di quei quattromila e rotti voti è di Fabrizio, anche solo una minima parte ma gli va riconosciuto». Fu coerente il segretario, che oggi è in corsa per sfidare Ottaviani, rifiutò la candidatura al posto di Marini ma nemmeno lo appoggiò. «Non ci interessa che tu appoggi Fabrizio ma è importante che il Partito sia unito, scegli un altro candidato da sostenere alle primarie, mettine uno tu: ma non ha senso distruggere il Pd a Frosinone per una cosa di cinque anni fa».

E Michele, come ha risposto? Non si sa. Si sa solo che a fine incontro si è avviato verso la sua vecchia utilitaria scassata, con la quale si è avviato nella casa dove abitava prima ed abita adesso, senza investimenti né terreni in zona off shore.

 

 

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