Così Zingaretti vuole vincere a Roma per fermare il centrodestra

Il presidente della Regione si rende conto che Meloni da una parte e Salvini dall’altra stanno cercando di avanzare ancora. Riuscendovi. Il risultato della Capitale è l’unica variabile che può interrompere schemi e strategie. E allora lui è in prima fila, indipendentemente dal ruolo.

Ieri mattina ha votato al gazebo di piazza Mazzini. Poche ore fa ha suonato la carica, attaccando il centrodestra: “Lasciamoli chiacchierare. Ora il centrosinistra è più forte. Tutti con Gualtieri”. Non è questione del ruolo che si occupa: Nicola Zingaretti è un leader naturale.

A Roma il candidato sindaco del Pd è Roberto Gualtieri, ex ministro del Governo Conte. Lo ha incoronato il popolo delle Primarie: nella Capitale non è andata come a Torino, la gente ai gazebo ieri c’è andata; tanta quanto nel 2016 quando a votare andarono in pochi per la delusione del sindaco Ignazio Marino e di come era finita la sua consiliatura. Pochi in più di quella volta mentre si attendeva un flop: va benissimo così, il quartier generale del Pd è soddisfatto. (Leggi qui)

Nicola Zingaretti vota alle scorse Primarie

Roberto Gualtieri è stato voluto dagli iscritti e fortemente voluto dallo stesso Zingaretti, ma anche da Goffredo Bettini, Claudio Mancini e Bruno Astorre. Nei sondaggi è dato al secondo posto, dietro Enrico Michetti (centrodestra). Ma al ballottaggio si apre un’altra partita. Totalmente sganciata dal primo turno. Contano gli uomini e molto meno i Partiti con gli apparati.

Roma può cambiare lo schema

Nicola Zingaretti doveva essere in corsa per il Campidoglio, poi è cambiato tutto. Ma lui in campo resta. Perché si rende conto che il risultato di Roma è l’unico che può cambiare lo schema che si sta affermando nella politica nazionale.

E lo schema è questo: Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni continua a crescere nei sondaggi. Matteo Salvini vuole rispondere con un Partito unico che “annetta” anche Forza Italia. Silvio Berlusconi è d’accordo,ma deve vincere le resistenze nel Partito. Però è questione di tempo.

Secondo autorevoli osservatori il Capitano del Carroccio intende allargarsi al centro perché è esattamente lì che la Meloni non può arrivare. Questo schema passa dall’elezione di Mario Draghi al Quirinale e dalla fine di questa legislatura nel 2023. A Salvini in questo momento non conviene accelerare il ritorno alla urne perché la Meloni potrebbe sorpassarlo.

Il problema dell’alleanza

Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

In ogni caso il centrodestra è attivo e in ottima salute. Il recente sondaggio Ipsos dà il Pd primo Partito dopo quattro anni, ma con il 20,8%. Poi c’è Fratelli d’Italia, con il 20,5%. Quindi la Lega, con il 20,1%. Poi c’è il più recente sondaggio: quello settimanale di Monitor Italia. Questioni di decimali quindi. Ma non è solo questo. (Leggi qui Il vento sulle vele di Draghi e Meloni, giù Lega e Pd).

Il fatto è che il Partito Democratico resta comunque intorno al 20% e al momento non ha un orizzonte credibile di politica delle alleanze. Nel momento in cui il Movimento Cinque Stelle, in attesa della leadership di Giuseppe Conte, si posiziona al centro per provare ad essere decisivo con il 14-16% dei consensi. E in questo modo è complicato per il Pd pensare ad un’alleanza con i pentastellati  in grado di essere competitiva con il centrodestra.

Nicola Zingaretti ha deciso di restare a fare il presidente della Regione Lazio fino al 2023. Ma ha una libertà di azione e un carisma che gli consentono di poter provare a fare il regista. La vittoria a Roma è l’unica variabile che può cambiare l’inerzia politica nazionale. E lui vuole intestarsi la vittoria.