Covid e crisi strutturale, l’industria-calcio ha perso 3 miliardi

Il Sole 24 Ore ha studiato lo stato di salute dei 3 campionati professionistici. La fotografia è inquietante e getta ombre sul futuro. La pandemia ha acuito i problemi di un settore già in rosso da tempo. Negli ultimi 15 anni si sono verificate perdite per oltre 7 miliardi, bruciato 1 milione al giorno

Alessandro Salines

Lo sport come passione

Un dato è inquietante: tra squilibri strutturali e lockdown per il covid l’industria calcio italiano (Serie A, B e Lega Pro) ha perso nell’ultimo triennio 3 miliardi di euro. Insomma un settore sempre più in crisi con bilanci in rosso ed un indebitamento lordo che si spinge stabilmente sopra i 5 miliardi.

La fotografia scattata da Il Sole 24 Ore sullo stato di salute del calcio tricolore è a tinte fosche e dovrebbe far riflettere tutti: società, Leghe, Federcalcio, Coni ma anche il Governo. Servono rimedi, sacrifici e soprattutto un cambio di strategia, una rivoluzione culturale. Il calcio italiano deve reinventarsi per salvare il suo futuro, come si legge nell’articolo firmato da Marco Bellinazzo, giornalista specializzato nel calcio economy.

Il covid detonatore di una crisi già grave

La Federcalcio

L’ultimo triennio, segnato dalla pandemia, ha acuito una situazione economica-finanziaria molto pesante. “Le conseguenze della pandemia sono state devastanti, ma hanno fatto da detonatore di una crisi che, anno dopo anno, ha eroso i fondamentali economici del sistema”, scrive il quotidiano della Confindustria.

Tre stagioni fortemente negative. Nel 2019-20  il rosso è stato di 829 milioni, mentre nella seguente (2020-21) il disavanzo ha toccato quota 1,3 miliardi. Non è andata meglio in quella che si concluderà il 30 giugno con una stima intorno al miliardo. Nei 12 anni precedenti, secondo il “Reportcalcio” della Figc, i 100 club professionistici avevano accusato un deficit complessivo di 4.1 miliardi (la maggiorparte si è registrato in Serie A).

In tre lustri insomma più di 7 miliardi di perdite, bruciato 1 milione al giorno. Numeri da brividi, numeri ancor più significativi nei giorni dello scontro Lega-Figc sull’indice di liquidità con il ricorso al Tar da parte della federazione e una bocciatura delle misure adottate per assicurare maggiore sostenibilità e controlli più serrati. Con la paradossale conseguenza che alle società di Serie A per iscriversi è stato richiesto il rispetto di un rapporto tra attività e passività più basso (0,5%) di di Serie B e C (0,7%). “I presidenti di A hanno dovuto versare nelle casse delle società 4,3 milioni e quelli di Lega Pro 12 milioni”, ha commentato con una vena polemica Francesco Ghirelli, presidente della Lega Pro.

Botteghino, plusvalenze e costo del lavoro

I diritti tv restano la principale fonte di ricavo per le società di calcio

L’analisi de Il Sole 24 Ore si è concentrata sulla diminuzione delle entrate che negli ultimi 3 anni hanno riguardato il botteghino e la famigerate plusvalenze. Le porte chiuse negli stadi e le misure covid hanno tolto alle società professionistiche mezzo miliardo di entrate. Un danno enorme per i club di Serie B e C che non possono contare sui milioni derivanti dai diritti tv. Anche gli introiti relativi alle plusvalenze sono calati, contribuendo al rosso di bilancio.

Nel 2018-2019 la cifra aveva quasi raggiunto il tetto dei 900 milioni (attirando le attenzioni della magistratura sportiva e di quella ordinaria), divenendo la seconda fonte di entrata dopo i diritti media. Nel biennio 2020-2022 ha subito un calo di oltre un terzo che si è tradotto in mancati surplus contabili di oltre 600 milioni. Sul fronte uscite preoccupa invece il costo del lavoro che continua ad incidere parecchio. Il monte ingaggi resta alto ed anzi nel 2020-21 è pure aumentato del 10%.

Qualche segnale di miglioramento nella stagione conclusa ma non basta per riequilibrare i conti. Tuttavia i contratti pluriennali rendono il sistema piuttosto rigido ed inattaccabile.

Cinque miliardi di debiti, poche misure di sostegno

Poche le misure del Governo a sostegno del calcio

Sotto il profllo patrimoniale i debiti del calcio italiano sono stabilmente sopra i 5 miliardi. Il Sole 24 Ore sottolinea come le poche misure di sostegno del Governo nei confronti delle società (che, va rimarcato, assicurano un prelievo fiscale e contributivo di oltre un miliardo all’anno) non regalano fiducia nel medio-lungo termine.

La sospensione dei versamenti di tributi e contributi fino al 31 luglio hanno aiutato, ma le obbligazioni andranno prima o poi onorate. Stesso discorso per lo stop agli ammortamenti e per la rivalutazione agevolata di marchi e altri asset prevista dal Decreto Agosto del 2020. Il beneficio immediato di 1 miliardo che si tradurrà tuttavia in ulteriori ammortamenti (sia pure a lungo termine, come per i brand) che graveranno un capitolo del passivo che già nella stagione 2020-21 aveva oltrepassato il miliardo.

Come uscire dalla crisi

Gabriele Gravina dovrebbe convocare gli stati generali del calcio

“Il Sole 24 Ore” ha provato a dettare una ricetta per affrontare la situazione e magari trovare la giusta medicina. Per questo è stato intervistato Ernesto Paolillo, banchiere e ex amministratore delegato dell’Inter di Moratti e del triplete.

L’esperto dirigente pone l’accento soprattutto su un modello di calcio baso sulla valorizzazione dei giovani e quindi dei vivai: E’ lì che si trova la vera ricchezza – ha detto Paolillo I centri sportivi e i modelli per valorizzare i giovani dovrebbero essere al centro di ogni business plan. Di talenti italiani ce ne sono. Ma si perdono perché non esistono regole che obbligano le squadre a schierarli in prima squadra. Ma senza giocare nel calcio dei grandi i giovani, mi creda, non maturano”.

Invece noto la tendenza a ricorrere alla scorciatoia di arruolare il giocatore straniero più esperto per non rischiare. E perché, non bisogna nasconderselo, il calciomercato è dominato da agenti che hanno mille interessi per fare affari all’estero. Serve un nuovo modello anche federale per far crescere i giovani. Una nazionale più forte è un toccasana anche per le società di Serie A”.  E’ un po’ la politica che il Frosinone sta provando ad adottare, puntando sui giovani e sulle strutture oltre che sul brand.

Per Paolillo poi ogni ramo dell’azienda-calcio dovrebbe essere gestito con rigore e messo a reddito. E i diritti tv ma anche il paracadute per le retrocesse hanno appiattito le società che non s’impegnano a fondo per sviluppare nuove fonti di ricavi. “Definirei la situazione critica, è evidente la divergenza di vedute tra la Figc e la Lega Serie A sulla governance del calcio come sulle regole economiche da seguire. E quando non c’è una visione comune è impossibile costruire. O ricostruire – ha chiosato Paolillo –  Servirebbero degli stati generali del calcio italiano per raccogliere idee ed energie da economisti, sociologi, esperti di marketing e nuove tecnologie e altre figure professionali. Aprirsi al contributo di tutti e non lasciare che le discussioni ristagnino tra i soliti addetti ai lavori”.