Da Reddito di Cittadinanza a Reddito di Sfaticatezza

Non si trovano lavoratori ed i posti rimangono scoperti. Colpa anche dell'idea che non è necessario lavorare per avere un reddito, e che la cittadinanza è un diritto a prescindere dai doveri. Invece non è gratis: si paga mandando i figli a scuola, pagando le tasse, rispettando la collettività, lavorando o apprendendo un lavoro.

Francesco Borgomeo

Presidente Unindustria Cassino - CEO Saxa Gres Group

Prendo spunto dall’articolo su alessioporcu.it circa la carenza di manodopera nel settore della nautica. Lo faccio per affrontare un tema ormai oggetto di contesa politica, ma non certo di approfondimento culturale: il lavoro e la sua metamorfosi. (Leggi qui: I lavoratori non ci sono più: 1 su 4 non si trova per le imprese legate al mare).

Il paradosso tutto italiano

(Foto Anthony Shkraba)

Ci troviamo infatti nel paradosso che in Italia, in tantissimi settori, non solo nella nautica, mancano lavoratori. Dall’altro lato abbiamo molti giovani che non trovano lavoro. Il mismatch tra domanda ed offerta è stato sempre il problema delle Politiche del Lavoro e della necessità di favorire quell’incontro che dá opportunità ai giovani e permette la crescita di un Paese incrementando il reddito.

Ma mentre in passato, ci siamo sempre e solo preoccupati di mantenere forte e costante il legame tra lavoro e reddito, oggi sembra che ci sia una terza via, che possa dare l’illusione che si possa avere un reddito senza lavoro, introducendo il concetto di cittadinanza.

Veniamo quindi alla metamorfosi di questo tempo, dove il lavoro ed il reddito hanno perso il loro legame indissolubile, da sempre presente nella storia dell’uomo, in virtù di una declinazione arbitraria della cittadinanza.

Lavoro, reddito, cittadinanza. Tre parole che utilizzate in modo improprio, stanno cambiando la cultura, i comportamenti, il modo di pensare.

Le parole hanno un peso

Le mie lontane reminescenze filosofiche mi portano ad approfondire il senso delle parole per capirne il corretto uso. Quindi prima di usare una parola, capiamone il suo significato;  d’altro canto le parole sono strumenti per la comprensione, e prima di usare gli strumenti dobbiamo capire come funzionano, altrimenti, come nel caso di qualunque strumento, un trapano per esempio, ci possiamo fare male.

Se apriamo l’enciclopedia Einaudi, “Lavoro” in italiano, labour in inglese, travail in francese, trabajo in spagnolo, arbeit in tedesco: questi sono i termini in alcune lingue europee.

Lavoro” e labour derivano dal latino labor che significava “pena” “sforzo” “fatica” “sofferenza” e ogni attività penosa. Corrispondeva esattamente al greco πόνος. In Francia, da labor deriva labeur e designa soprattutto le attività agricole, labour o labourage, e laboureurcolui che coltiva la terra“. A partire dalla fine del xv secolo, il termine travail assume il significato moderno di opera da fare.

Ecco quindi che il lavoro si sostanzia con il “fare“, ma anche con lo sforzo. Dalle nostre parti si dice “iamm’ a faticà“, fatica che oggi potremmo tradurre con “impegno“. Lavorare è un impegno ed è un diritto ma anche un dovere. Come un dovere è cercare lavoro. È evidente che il lavoro deve essere retribuito, ricambiato attraverso un reddito.

Il lavoro deve essere retribuito

Foto: Janno Nivergall / Pixabay

Reddito, deriva dal latino redditum, part. pas del verbo reddere.

In un buon vocabolario di latino, troviamo i seguenti significati: rendere, ridare, restituire, dare in compenso, pagare, soddisfare. In altri termini, già nelle origini classiche, vi era il concetto della relazione socio-economica. Il reddito è garantito e concesso sulla base d’un’attività svolta: se così non fosse, non esisterebbero le forme della restituzione, del compenso e della soddisfazione. Emerge tra le altre cose, la natura del flusso quale relazione almeno tra due attori; unitamente alla valutazione della prestazione e a una qualche unità di misura di pertinenza.

Quindi, io lavoro ed ho diritto ad un reddito, un compenso. In caso di assenza di lavoro, di una prestazione, di un’azione, mancherebbe quel flusso quale relazione, e quindi non potrebbe essere concesso alcun reddito.

Il reddito improprio di cittadinanza

Foto © Imagoeconomica, Vince Paolo Gerace

Ora è chiaro che nel caso del Reddito di Cittadinanza, l’uso della parola reddito è impropria.

Lo Stato, infatti eroga un reddito a fronte di nulla. Non mi viene richiesto un lavoro, un’azione, del tempo, delle competenze, nulla. Si dice, mi viene erogato in quanto cittadino, è un reddito per la cittadinanza.

E qui veniamo all’altro strumento improprio, la parola cittadinanza. Anche in questo caso, usiamola dopo averne capito il significato.

Senza scomodare l’antica Grecia, o il diritto romano, o ancora la Costituzione francesce del 1795, ci basta citare la nostra Costituzione che all’articolo 4 recita “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo la propria possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società“.

Ecco quindi che la cittadinanza non è “gratis”, e non la si paga con soldi, ma con l’esercizio di un’etica pubblica che presuppone, ovviamente diritti, ma soprattutto una coscienza del dovere (e non il semplice obbligo sanzionato dalla legge). Per sintetizzare, potremmo dire che la cittadinanza si esercita in un pacifico e consapevole esercizio di diritti e doveri.

L’ingiusto reddito

A questo punto torniamo sulle nostre tre parole ormai slegate: esiste un reddito senza lavoro, ma che in virtu dei soli diritti vantati, va erogato.

Non ci sono obblighi del fare, del formarsi, del cercare lavoro, non ci sono obblighi dell’essere un buon cittadino, mandando i figli a scuola, pagando le tasse, rispettando la collettività. C’e un diritto a percepire un reddito per una legge imposta a maggioranza da forze politiche che ne hanno fatto una battaglia elettorale. E cosi si è passati dalla promessa di un lavoro, alla promessa di un posto (dove si poteva anche non lavorare) oggi si è passati direttamente alla promessa del reddito. Sempre in cambio di voti.

La deriva elettorale sta determinando una deriva culturale, che porta all’idea che non è necessario lavorare per avere un reddito, e che la cittadinanza è un diritto a prescindere dai doveri.

Ci siamo definitivamente riempiti la bocca della parola diritti, senza sapere che per ogni diritto c’e un dovere.

Diceva Aldo Moro: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere“.

Ora, se vogliamo che questo Paese si salvi, dobbiamo fare di tutto per tenere legati reddito e lavoro. E proprio in virtù di quella cittadinanza tanto preziosa, dobbiamo tenere legati diritti e doveri (e forse suggerire ai nostri politici di conoscere il pensiero di Aldo Moro).