Il titolo è fuorviante anche a fare la tara alle virgolette: in queste ore ad essere passata sotto scanner non è una giudice che ha sfidato il Governo in carica, ma una toga che ha applicato la legge. Se non si parte da questa imprescindibile chiave di lettura si cade nel trappolone infido di una partigianeria che non serve. Non serve perché quella di cui si parla non è, o non dovrebbe essere, una disfida. Non è il derby sceneggiato da decenni tra la magistratura che qualcuno bolla come politicizzata e gli esecutivi che, porelli, ce la mettono tutta nel provare a migliorare le cose.
Poi, maledetta lei, ti arriva la solita ed immancabile “toga rossa” o “cane sciolto” e addio palpiti di civiltà e tanti saluti all’equalizzazione tra poteri dello Stato. Come se equalizzare equivalesse a riconoscere che l’uno è subordinato all’altro al punto da decidere con un “favor” indiscutibile. Come se Iolanda Apostolico, giudice originaria di Cassino, fosse in calibro col suo cognome ed “apostola” di un potere quarto e virato di antagonismo che mina una certa politica. Il problema è un altro, ed è quello per cui quello giudiziario è un potere che non mina nulla, semplicemente esiste nella misura in cui applica le norme vigenti.
Oppure censura quelle che, pur in vigore, non sono in afflato con regole di rango superiore. Insomma: che non va crocifisso quando passa il lapis sotto le cappellate di quell’altro potere.
Le tre possibilità, tutte neutre
A volte lo fa in sintonia di certo non cercata con le linee politiche, altre in maniera distonica. Altre ancora in maniera mista ma mai, mai e poi mai come precondizione o causa, sempre e solo come effetto del tutto irrilevante ai fini delle strutture di regola adoperate. Come quando nel guidare l’auto incontri panorami mozzafiato o discariche: al di là di quello che ti rimanda il lunotto e del fatto che ti piaccia o meno l’auto sempre in un modo si guida.
Che significa? Che la giudice Apostolico ha fatto “solo” il suo lavoro. E che per l’ennesima volta quel lavoro di altissimo rango è stato appaltato dai due lembi di un Paese polarizzato nella sua scema rincorsa alle stirature di comodo. Le condizioni per trattenere chi era stato trattenuto non erano rilevabili, tutto qua. Si chiama Procedura e non ha altri nomi.
Abile arruolata da entrambe le parti
Il dato è che la Norma non flette. Invece c’è chi l’ha arruolata nelle file della Giustizia Giusta e chi l’ha intruppata nei ranghi di quella Rossa e grida allo scandalo. Nessuna delle due: la giudice Apostolico non sta con la Giustizia come valore etico che è una Chimera da sci-fi, sta con la Legge, che è un’altra cosa. Perché significa non stare con nessuno degli ambiti che la regole prevede ma solo con essa.
La applica e decide cose in punto di Diritto. Come ad esempio non convalidare il trattenimento di tre tunisini e mettere alla berlina giuridica una cosa che zoppicava già dalla sua genesi. Cioè il decreto Cutro in alcune sue parti di dubbia legittimità su più piani, in primis quello Costituzionale di massimo rango.
La vicenda è nota: il Tribunale di Catania ha dichiarato illegittimo il provvedimento del questore di Ragusa che relegava quattro migranti in un centro di trattenimento “perché in contrasto con la normativa europea” ed apriti cielo. Per inquadrare il problema da un punto di vista normativo, per avere uno schema di riferimento bisogna andare un attimo a silloge. Breve ma necessaria.
Cosa ha deciso il Tribunale di Catania
Il Cpr è di fatto un luogo di detenzione provvisoria fino a 18 mesi. Il centro di trattenimento a quattro settimane è normato a livello europeo ma la Corte Ue lo ha già messo alla berlina con un giudicato su Viktor Orban. Ed anche se in Italia la Consulta non ha (ancora) detto la sua sono entrambi in odor di violazione dell’articolo 13 della Costituzione. Che recita: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Cioè, se non lo decide un Gip dietro istanza motivata di una Procura in Italia non puoi mettere nessuno – italiano, turco, marziano o barattolo – dove non voglia stare.
Non sono previste deroghe e non ci sono emergenze che tengano: non si fa, punto. Il Cpr è anche un luogo dove, secondo un decreto attuativo del Decreto Cutro del Viminale già in Gazzetta Ufficiale, ci vai ma puoi anche non andarci. Come? Pagando 5000 euro o poco meno (quasi paro paro il tetto al contante, diremmo se fossimo maligni). Parlare di “scafismo di Stato” è un’iperbole buona per il lessico da opposizione, ma parlare di legge fatta malissimo e perciò permeabile a bocciature giurisprudenziali è un fatto.
Ecco, questo è un possibile ring sul quale però serve un suggello che non potrà che arrivare dalle toghe di rango massimo. Però è un campo di azione, lettura e disquisizione sul tema, almeno. E la chiosa è un principio, quello intoccabile anche se a declinarlo non è un giudice. I Governi esistono perché il fatto che debbano esistere lo dice e regola la Costituzione, non malgrado la Costituzione esista.
La Rotta Suprema e chi la rompe
Cioè, ogni esecutivo, nel legiferare, dovrebbe tener conto della rotta suprema che ci siamo dati oltre 70 anni fa, comunque la si pensi.
Veniamo alla politica, che in Italia a quei valori ha aspirazioni di conformità e non sempre obblighi di aderenza. Era davvero necessario mettere la giudice Apostolico alla berlina andando a fiutare, scremare e setacciare la sua vita, le sue pagine social, il tono delle sue parole?
Serviva davvero arruolare pattuglioni di praticanti, addetti di segretaria politica, trifolau di indizi su conclamata indole socialista per avere la “prova provata” che lei avrebbe agito sull’onda di ciò che pensa nel privato e non sul registro di ciò che è nel pubblico? La toga cassinate ha risposto a tono: “Non voglio entrare nella polemica, né nel merito della vicenda. Il mio provvedimento è impugnabile con ricorso per Cassazione, non devo stare a difenderlo. Non rientra nei miei compiti. E poi non si deve trasformare una questione giuridica in una vicenda personale”.
La caccia alla prova provata di “comunismo”
Il che dice tutto e lo condensa in pochi righi che pesano come ghisa perché segna un confine netto tra individuo pensante e funzione. Ma la ghisa non basta, non quando la mistica dello “scontro tra politica e magistratura” diventa amo da carpe per avere potabilità mainstream o per corroborare una linea di pensiero. Linea che si vorrebbe far intendere sconfessata ad arte per frenare un esecutivo che lotta come un titano nel nobile intento di fermare maree cannibali. E che invece viene azzoppato da sabotatori interni. Chiariamola meglio: che la giudice Apostolico abbia o meno idee che sono in endorsement concettuale con quanto è contenuto nel dispositivo che ha firmato non è la prova che usa il suo ruolo per fare politica.
E’ solo la maledetta prova regina del fatto che a volte quello che fai coincide con quello che pensi anche se non mischi le due cose. Ma questo non ha fermato i raggi X. Leggiamo per frame sciolti usando Open: “Si chiama Iolanda Apostolico, ha 59 anni ed è la giudice del tribunale di Catania che ha disapplicato il decreto del governo Meloni che prevede il trattenimento dei richiedenti asilo nei Cpr”. Un salto e restiamo nel procedurale: “La giudice ha naturalmente disapplicato anche la garanzia finanziaria da 4.938 euro ai richiedenti asilo per evitare la detenzione nei Centri di Permanenza e di Rimpatrio”.
Ci sta, fin qui ci sta, poi si va di fumus, quello che da noi diventa puntualmente arrosto. “Ma chi è Iolanda Apostolico? La magistrata è originaria di Cassino in provincia di Frosinone. Non è iscritta a correnti. (…) Il Giornale però ha scandagliato anche il suo profilo Facebook. Il quotidiano ha conservato alcuni suoi status. Il primo post che compare nella bacheca di Apostolico è una petizione, condivisa nel luglio 2018, che chiedeva una ‘mozione di sfiducia’ nei confronti di Matteo Salvini, da poco stato nominato ministro degli Interni”.
Orrore: un marito “simpatizzante di MD”
In caso non bastasse c’è altro materiale probatorio eh? “Lo stesso ha poi fatto nel giugno dello stesso anno con un articolo dal titolo ‘Open Arms e Sea Watch: la richiesta di archiviazione della procura di Palermo’. Nell’elenco delle pagine seguite su Facebook Apostolico ha ‘Free Open Arms’, ma anche quella dedicata a ‘Open Arms’”. Ma questo è nulla, eccola, la prova regina, greve, grave, precisa e concordante. “La giudice è sposata con Massimo Mingrini, funzionario giudiziario dipinto come un simpatizzante di Magistratura Democratica”.
E l’Anm? Quella di Catania ha detto la sua con il presidente Alessandro Rizzo. Lo ha fatto esprimendo “una posizione ferma e rigorosa a tutela della collega Iolanda Apostolico, persona per bene che ha lavorato nel rispetto delle leggi, e respinge con sdegno le accuse a lei rivolte. Il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario andrebbe improntato a ben altre modalità“. Al Tg4 invece hanno detto che l’Anm è “venuta in soccorso” della Apostolico.
Le posizioni dell’Anm e di Meloni
Giorgia Meloni deve fare Giorgia Meloni e non ci ha rinunciato: “Sono rimasta basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania, che con motivazioni incredibili rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione. Dichiarando unilateralmente la Tunisia paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”. Le motivazioni per cui i tre chiedevano asilo erano flebili e risibili? Non cambia nulla in Procedura perché in discussione c’è la facoltà di trattenere a prescindere, non di trattenere “nel caso che…”.
In alcune cose la premier potrebbe addirittura invocare terreno per spuntare un’oncia di ragione impugnabile per ricorso, ma il problema è un altro. Il problema sta tutto nelle casacche che ad ogni costo dobbiamo cucire addosso a qualunque persona o funzione non sia in comparaggio con la linea politica del momento.
In quello e nella tigna da bracchetti infidi che mettiamo nel portare al mulino delle nostre tesi tutta l’acqua che serve. Anche quella che poi indichiamo come sporca. Tutta quella che ci vuole per additare nemici invece che registrare benedetti equilibri.
E magari, a traino, farci anche un po’ i fattacci nostri su quel privato che da totem abbiamo fatto diventare collutorio, quando ci fa comodo abbatterlo.