Dal medico di base (Il caffè di Monia)

Un caffè con il sorriso... Dopo una lunga fila dal medico di paese. Quello dove tutti si incontrano. Ed iniziano a parlare. Attaccando bottone con un semplice e micidiale "Caldo eh?"

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Ieri ci sono stata. Mi è toccato. Non per me. Io dal medico di base ci vado giusto se mi esplode un rene a tradimento. Non è vero che i malanni se sono degli altri si sopportano meglio, soprattutto quando sei tu a dover portare la croce dell’attesa.

Imbocco la stradina lucente di sole, larga più o meno un palmo di mano di gerboa, che di dita ne ha tre. Appena svolto eccoti venire contro la prima auto che scende. Non ci passiamo. Lui mi guarda. Io lo guardo. Sono una donna, fatti da parte. Ma pare che non importi nulla a nessuno. Il sole brucia, abbasso occhi e frizione e vado di retromarcia. Riprovo, questa volta mi ha detto bene.

La stanza di attesa è una brace. Stracolma di esseri malati che a giudicarli a colpo d’occhio devono stare lì dai tempi di Giolitti. Sicuramente uscirò di qui quando le mie figlie saranno diventate nonne e gli Aprericena veloci si faranno sull’Aperiluna.

Già sono entrata con il piede sinistro e la situazione mista alla temperatura mi rende insofferente a tutto e a tutti. Dò una rapida occhiata intorno. Solitamente non sono una fisionomista e anche quando guardo mia madre mi distraggo e potrei giurare di vederla ogni volta per la prima volta. Ma alcune facce di questi qui sono certa di averle già viste. E proprio lì, su quelle sedie. O sono sfigati cronici o il dottore ha pagato una sorta di figuranti. Più gente va a farsi curare da lui, più il medico è ritenuto uno “che ci capisce”.

Dalla porta d’ingresso fa capolino una signora. Fazzoletto in mano, dentiera imbarazzante che a ogni colpo di starnuto pare volerti schizzare in faccia: “Chi è l’ultimo?”. Lei signora. Lei è l’ultima.

La fila non si muove, nessuno entra, nessuno esce. “E come sta la famiglia? E Antonio ha messo i dentini? E hai sentito delle coliche di Cettina?” La signora non ha certo problemi di gola e continua ad urlare una conversazione al cellulare con un interlocutore che deve essere o sordo o un santo. Quarantacinque minuti da corista della Bertè, mi rendono partecipe delle menate di casa sua e degli esiti di ogni esame e risonanza che ha fatto negli ultimi due mesi. Perchè da quello che ho potuto capire la signora fa un esame ogni volta che compare un brufolo.

Il volume dello smartphone è talmente alto che riesco a sentire distintamente anche il suo interlocutore e avere il quadro completo della situazione che si sta consumando in casa.

La noia attanaglia tutti e qui scatta automatico il voler attaccare bottone. Un tizio si avvicina. “Caldo eh?”. Fantasioso il nonnetto. E’ vero se si va dal medico è perchè non si sta bene. Ma che questo mi deve tossire e scarcagliare ogni tre parole a cinque centimetri dalla faccia, mentre mi racconta per filo e per segno tutte le operazioni alle quali si è sottoposto dal 1973, proprio no.

Di fronte, seduto, uno dei figuranti, è stoico fino alla morte. Trattiene ogni starnuto e le sue vene si gonfiano a vista. Ma lui non cede. Trattiene tutto. Che Dio ti benedica. Esce un paziente ed eccoti in griglia di accesso la bestia nera. Si alzano tutti contemporaneamente e per te è buio: la famiglia intera. Padre, madre, due figli adolescenti, quattro suoceri e zio Michele. Tutti in blocco, tempo stimato due ore e quarantacinque. Inizio a trasudare disappunto.

Poi il tempo passa e la rabbia si trasforma in rassegnazione. Arriva il mio turno. Sto per fare l’ultimo passo che mi separa dalla porta d’ingresso ed ecco che da dietro spunta lei, la vecchina esile ed innocente ”Signori’ per piacere devo solo ritirare una ricetta”. Ormai lo spint che ti coglie quando sai che è il tuo turno è stato smorzato. Tanto vale lasciarla passare. La vecchina esile mi scavalca e con mossa a tradimento si chiude la porta alle spalle. Esce solo venti minuti dopo. Se le sarà fatte segnare da Ippocrate quelle medicine.

Entro finalmente nello studio medico, non so più perchè sono lì. Il biglietto che avevo tra le mani è diventato prima un aeroplanino, poi una palletta scaccia stress ed infine tanti piccoli minuzzi sparsi dentro la borsa. “Buonasera dottore, mi segna due confezioni di Ansiolin per cortesia. Sa’, ultimamente sono un po’ stressata”. Tacci vostri…