Daniele Nardi, il lutto e l’icona: antidoto al banale (di L. Grassucci)

Il giorno del lutto cittadino per Daniele Nardi. Non icona ma testimonianza. Antidoto al banale che ci sta inghiottendo, giorno dopo giorno

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Sezze è in lutto cittadino. Segna così la partecipazione alla morte di Daniele Nardi. Un segno collettivo che, forse, mancava da tempo perché è difficile ritrovarsi nella società liquida. Di quel liquido che taglia le identità per fare le indifferenze.

Daniele Nardi era il contrario della liquidità con la solidità della sua volontà. Ma Sezze? Dobbiamo vedere se questa idea è stata una necessità o un bisogno.

Nel primo caso è quasi un dovere, un modo per segnare il momento che resta fugace. Nel secondo caso è un sentire profondo, è interrogarsi.

Interrogarsi su un ragazzo che rompe gli schemi del vivere quotidiano, che deve aver trovato questa forza in qualche radice che va definita, compresa, scoperta. Sezze non ha un pantheon di eroi, per dimenticanze rapide, per la violenza del tempo delle necessità che si quasi vergogna dei bisogni.

Ci fu Luigi Di Rosa, figlio di un muratore e di una casalinga, padre iscritto al Pci e lui alla Fgci: il 28 maggio 1976, giorno del comizio a Sezze di Sandro Saccucci, esponente del Msi, ex parà sospettato di aver partecipato al tentato Golpe Borghese nel ’70. Quel comizio è una provocazione, un insulto ad una città antifascista. Da un’auto del corteo di Saccucci partono alcuni colpi di pistola è uccidono Luigi Di Rosa

Luigi Di Rosa è stato un momento forte, identitario, significativo di un tempo in cui la politica passava dalle utopie del bene da venire alla prassi del bene preteso con la forza. Uno spartiacque davanti ad un dramma e quella figura l’abbiamo consumata tanto da quasi dimenticarla.

Daniele è lo spartiacque tra la società leggera della mediocrità quotidiana al ritorno all’eccezione, alla passione, al cavaliere che va per tutti alla ricerca del Santo Graal. Fallisce, come Parsifal, ma si arrende per ultimo.

Perché questi momenti di trapasso hanno qui, dico a Sezze, momenti di significato? Non c’è necessità di esserci, ma bisogno di interrogarsi. Sezze ha nel suo dna qualcosa che la sintonizza con la storia, la anticipa, la concretizza in un dolore.

Abbiamo bisogno di un pantheon civile, di eroi umani, come umanissima è la “nostra” cultura.

Oggi non c’è necessità di un ricordo, c’è bisogno di domande. Siamo nati di piano con monti gentili alle spalle, perché l’impresa? Siamo nati con la politica che si mitigava nella umanità del nemico che più che avversario si faceva, diverso nell’unità, perché la “violenza”?

Domande e confronto, altrimenti non serve, altrimenti è indifferenza, è banale l’eccezionale. Qui si è capaci di… non di eroi, ma di segni umani di caparbietà. Perché? Perché questa civiltà non banale sta omologandosi e i balzi di vitalismo si fanno eroismo e non società?

Naturalmente non ho risposte, ma c’è l’evidenza e Daniele Nardi non è icona, ma testimonianza, antidoto al banale e alla retorica. Daniele propone a Sezze una opportunità di riscoprirsi, è un’Araba fenice collettiva, altrimenti saremo banale periferia della periferia del mondo.