Diarchia in Antimafia: con Colosimo presiederà Cencelli

Come va letta l'elezione di Chiara Colosimo alla guida della commissione Antimafia. tanta ammuina. E moltissima strategia. Che ha premiato i giocatori più abili. Che conoscono le pieghe del manuale Cencelli

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Come a Sparta. I Lacedemoni usavano affidare le sorti della città ad una doppia figura di sovrano. Perché nella tradizione quel popolo discendeva da due lignaggi che portavano direttamente ad Eracle: gli Agiadi e gli Euripontidi. Così, siccome anche in mezzo ai “300” c’era un bel po’ di democristiani, per non fare torto a nessuno, dato che non si sapeva chi avesse più sangue erculeo nelle vene era nata e si era consolidata la mezza fola per cui a Sparta c’era la diarchia. E c’era un re per la pace ed uno per la guerra.

Diarchia in Antimafia

Chiara Colosimo (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

La diarchia si è accasata anche in Commissione Parlamentare Antimafia, dove nelle scorse ore è stato eletto un nuovo presidente e confermato un presidente ad honorem: Chiara Colosimo in piena mistica da “underdogmodello Meloni. E Massimiliano Cencelli, figura-eponimo di tutti i luoghi dove qualcuno divide una torta in base a numero di golosi e galloni di ganasce.

Di Chiara Colosimo in mainstream ricordiamo due cose. Premessa: ne ha fatte altre molto più tridimensionali ma oggi al mondo ognuno è quello su cui ha fatto-generato più cagnara. Due cose dicevamo: la tigna sulla “concorsopoli di Allumierecon la tacca di mira puntata alle rotule di un incolpevole Mauro Buschini e qualche chiacchierata fuori ordinanza ma perfettamente legale con l’ex terrorista nero e stragista Luigi Ciavardini.

Entrambe le skill sono Made in Pisana. In appendice vale anche il mezzo ukase di Salvatore Borsellino che aveva inviato una lettera “inascoltata” a ché la Colosimo non salisse in scranno di vertice, ma la cosa è più da tecnici e il fratello del mai troppo compianto Paolo non se e avrà.

Il distinguo fondamentale

Massimiliano Cencelli

Di Cencelli invece sappiamo tutto ma mai abbastanza, a considerare anche come si è arrivati alla composizione dell’attuale Commissione Antimafia che da tanti colori che contiene sembra un atelier “bangla” di via Cola di Rienzo. Attenzione, la Commissione Antimafia è per definizione giuridica un organismo di garanzia ma non nel senso che in essa debbano essere “garantiti” i Partiti più rappresentativi, quando piuttosto che la sua composizione prima ancora della sua azione garantisca una imparzialità di protocolli.

Ecco, in Italia per fare una cosa del genere serve che tutti i giocatori siano al tavolo, non che il gioco sia al di sopra dei giocatori. E il distinguo è passato in cavalleria decine di volte in quasi tutte le Legislature.

Il primo dato che emerge dalla seduta di ieri è stato che Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno lasciato l’aula. Perché? Perché anche loro ritenevano che la candidatura di una “sorella d’Italia” fosse magari legittima in virtù del “peso” di Fratelli d’Italia. Tuttavia ed al contempo pensavano che la colonizzazione di tutti gli spot da parte dei “Meloni Boys” fosse un po’ troppo compulsiva per atteggiamento e divisiva su quello specifico personaggio.

Mood cencelli

Carlo Calenda (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Dafne Musolino del gruppo Autonomie è stata invece votata dal Terzo Polo a conferma dei rumors che la vorrebbero corteggiata da Carlo Calenda, che da un lato smentisce la campagna acquisti e dall’altro la fa. (Leggi qui: Le catene di Calenda le spezza Cateno, anzi no).

Pd e M5S hanno abbandonato la votazione del presidente dicevamo: e poi? Niente, in cencelliano mood ma con pezza etica sono rientrati e in gioco di squadra si sono assegnati le loro seggiole. Sono stati eletti Mauro D’Attis di Forza Italia con 29 voti e Federico Cafiero De Raho del Movimento 5 Stelle. I pentastellati hanno fatto quel che non ha fatto FdI con la Colosimo e invece di presentare un più controverso Roberto Scarpinato hanno ripiegato sul più blando e plurimedagliato sul tema Federico Cafiero De Raho, uno che con l’antimafia è burro e alici.

Di fatto Pd e M5S si sono “accordati” ed hanno portato a casa un segretario e un vice presidente. Il gruppo di Giuseppe Conte ha messo in bacheca De Raho accettando un forzista spinto da 29 voti e i Dem, al netto delle geremiadi di Walter Verini sulla Colosimo, ha accettato che la diarchia dei segretari si sostanziasse con il meloniano Antonio Iannone e con piddino Anthony Barbagallo. Insomma, “uno a me ed uno a te e poi se ti sgrano il rosario della presidente inopportuna tienitelo così ne usciamo puliti”.

Padrone, sotto e olmo

Foto © Paola Onofri / Imagoeconomica

Il manuale Cencelli è roba di rigore e nella sua applicazione prevede non solo che ci sia una fetta per ognuno, ma anche il jolly per cui se due “aventi diritto alla fetta” si mettono d’accordo su un comune terzo da lasciare a digiuno si può fare, e quello andrebbe ad essere un “messaggio politico”. E chi è rimasto a digiuno? Esattamente quelli che non avevano abbandonato l’aula durante il voto alla presidente “perché istituzionalmente è sempre bene partecipare, ma non voteremo Colosimo“.

Lo aveva detto una ligia Raffaella Paitta del Terzo Polo, salvo poi commentare a scelte fatte: “Pd e M5S si sono divisi i ruoli e porteranno a casa un segretario e un vice presidente. Non entro nel merito dei nomi, ma hanno stretto un accordo senza coinvolgere noi e anche se Cafiero De Raho è un nome di tutto rispetto, io per i vicepresidenti e i segretari ho votato scheda bianca”. Con la maggioranza briscola ovunque, con Pd e M5S “indinniati” ma a posto. E con un Terzo Polo con la forchetta in mano ma col piattino vuoto e lucido si è conclusa la lunga giornata della Commissione Parlamentare Antimafia.

E l’epitaffio figo che non manca mai? “Allora io proposi: se abbiamo il 12%, come nel consiglio di amministrazione di una società e gli incarichi vengono divisi in base alle azioni possedute, lo stesso deve avvenire per gli incarichi di partito e di governo in base alle tessere“. Chi lo disse? Massimiliano Cencelli. E aveva ragione.