E poi, nonostante la cura, la bestia ritorna… (di Ada Tagliaferri)

FOTO: © Can Stock Photo / Bialasiewicz

Freddo pungente. Ada Tagliaferri non si è più spostata da quel reparto. Una ragazza piange: non sempre la battaglia si riesce a vincere. Ma restiamo sempre umani: con la nostra voglia di normalità. I capelli da aggiustare, la voglia di caffè e cornetto...

Ada Tagliaferri

Infermiera mancata con la vocazione per la pulizia, di ospedali e di anime. Un viaggio all'alba e al tramonto tra corsie e barelle

Il freddo è sempre più pungente, Ada è sempre più stanca, febbraio è sempre un mese brutto, ma forse solo perché viene dopo gennaio che è fin troppo festoso. Ada è raffreddata, indossa un maglione in pile davvero orrendo, ma che la tiene calda. A volte è così, quello che ci fa stare bene è brutto, ma è necessario e se si ha il coraggio di indossarlo senza dare peso al resto del mondo allora si starà caldi e sereni.

Quando Ada entra in reparto c’è uno strano silenzio. Una ragazza è seduta e guarda fuori dalla finestra. Ada saluta ma non ottiene risposta. Oggi in sala infusione c’è poca gente e quasi tutti dormicchiano, Ada passa veloce dove può senza dare fastidio. Quando percorre il corridoio la ragazza è ancora lì, avrà poco più di trent’anni. Ada si accorge che il suo volto è rigato da lacrime che sembrano bollenti, ustionanti.

Le si avvicina e le porge un fazzoletto. Si appoggia al davanzale della finestra: “Grazie” le risponde la ragazza. “Sto aspettando mia madre, sta facendo il lavaggio del port”. Ada le dice “E’ dura, ma è importante che tu sia qui con lei”.

Oggi ci hanno comunicato che la malattia è tornata e che non ci sarà più nulla da fare. Dobbiamo riprendere con tutto, chemio, poi radio, penso che le daranno anche l’antrace. Ci hanno prospettato un piano terapeutico che sarebbe meglio portarla in campeggio nella centrale di Cernobyl. Eppure avevamo raggiunto un buon risultato. Pareva fosse tutto finito. Quando ce l’hanno detto sai qual’è stata la sua unica preoccupazione? I capelli. Che perderà di nuovo i capelli”.

Ada resta in silenzio, è profondo il dolore, talmente profondo da rischiare di esserne risucchiata. Il silenzio si fa più assordante, la ragazza non singhiozza, le lacrime continuano a scenderle sul viso, due righe perfette che le attraversano il volto.

Come farò? Sono stanca. Non ce la faccio più. Avevo bisogno di mia madre, di una nonna per mio figlio e mi ritrovo a combattere con una sentenza di morte certa. Per arrivarci siamo costrette a camminare su un sentiero fatto di dolori e insidie. Quasi quasi lascio stare, basta terapie”.

Ada la ascolta e prova a parlare con lei che non ha mai spostato lo sguardo dal panorama che si vede dalla finestra “Non devi essere così. Per quanto possa essere difficile cìè sempre qualosa in cui sperare, magari una cura o, perchè no, anche un miracolo!”.

Hai mai avuto un malato di cancro accanto? Hai mai visto tua madre morire giorno dopo giorno, cambiare, combattere e sorriderti anche nei giorni più bui solo per farti stare tranquilla e mandarti a casa da tuo figlio? Il problema non è l’assistenza, non è aiutarla a svuotare l’intestino, non è pulire il suo vomito o costringerla a prendere la terapia per bocca. Il vero problema è doverlo fare sapendo che tutto questo dolore non porterà a niente. Ho paura”.

Pensare che ogni giorno ho un pallino fisso, quel maledetto mostro è partito da un ovaio, forse quello dal quale sono uscita io, prima ancora di diventare figlia. So che sono follie, ma a un certo punto la follia diventa normalità. Cosa devo dirle? Lei che ha paura di perdere di nuovo i capelli? Sono stanca di proteggere tutti, mio padre, i miei fratelli, i miei figli. Nessuno protegge me. Tanto tu sei forte! Questo mi dicono tutti. E io tengo botta, lei è mia madre, mi ha messa al mondo. E’ un dolore troppo profondo fare i conti con questa impotenza.”

“Avrei voluto fare qualcosa per lei, se le fosse servito un rene, il fegato, un polmone, midollo. Le avrei dato tutto, ma non posso darle niente. Non posso ridare la vita a chi l’ha data a me. Sono furiosa, la testa mi esplode e non posso farmi vedere così, sto crollando e non posso permettermelo”.

Ada è attonita, schiacciata da quelle sensazioni. “Non puoi sempre essere forte per tutti, devi trovare il modo e il tempo di lasciarti andare. Una madre sa come sta un figlio, tu capisci cosa prova tuo figlio? Questo non cambierà mai. Quando lui sarà grande e poi uomo, padre e marito, tu sarai anziana e ancora basterà uno sguardo a capirlo. Tua madre lo sa come stai, e degli altri poco te ne deve fregare. Immagino che possa essere difficile, duro, quasi impossibile. L’unica cosa che puoi fare per lei è non lasciare che questa malattia porti via anche te, che ti faccia diventare un’altra persona”.

Dalla porta in fondo al corridoio esce una bella signora, truccata e profumatissima di bucato. Sorridente. Si infila il cappotto e il cappello sui suoi capelli grigi. Ada volge lo sguardo alla ragazza, un altro volto, nessuna lacrima, un sorriso stampato.

Mà, ci hai messo nà vita. T’hanno lavato con l’idrante!”.

Zitta va, che ho fatto cadere una pila di cerotti da un carrello!”.

Che rintronata che sei! Ti va un caffè e un cornetto?”.

Solo caffè a te, che ti stai allargando a vista d’occhio! Dovresti metterti a dieta”.

Ma non rompe va…tu e ‘sta dieta”.

Se ne vanno così, senza salutare, semplicemente una madre e una figlia, la prima che si preoccupa dei chili di troppo dell’altra, e l’altra che le risponde di farsi i fatti suoi. Il sentiero se si percorre in compagnia è sempre più facile da affrontare, anche se subentra la stanchezza, il buio, la paura e si fa avanti qualche malintenzionato.

Ada osserva fuori dalla finestra, proprio lì dove guardava la ragazza ma non riesce a trovare niente. Il pile che indossa è davvero brutto ma la tiene al caldo.