Le donne con la cesta in testa e la gonna sotto al ginocchio (di F. Dumano)

Foto: copyright Archivio Piero Albery

Le donne portavano la cesta sulla testa, le più abili nemmeno la reggevano. Dentro c'erano i profumi di un tempo sparito. Gli ortaggi, il pane che avevano prodotto. Era il 'porta a porta' di quell'epoca. nella quale...

Fausta Dumano

Scrittrice e insegnante detta "Insognata"

Ricordi in bianco e nero… Spuntavano all’improvviso, a piedi e con le ceste in testa. Noi si ammirava l’abilità… Qualcuna addirittura non reggeva neanche la cesta con la mano…

Sbucavano a piedi e con dignità attraversavano il salotto culturale, la piazza municipio. Erano le ”signore del porta a porta”, consegnavano a domicilio i prodotti della loro campagna.

Le loro ceste diffondevano dei sapori e degli odori che ti si sono attaccati nell’odorato e nell’olfatto dei ricordi.

 

La piazza in quegli anni aveva un look diverso, con l’ auto si sostava, le donne del porta a porta calzavano scarpe basse e indossavano gonne sotto il ginocchio. Ricordi in bianco e nero… Anni ’70, solo allora iniziammo a vedere le cittadine con i pantaloni e le scarpe alte. Erano gli anni in cui arrivavano i pantaloni alla zuava.

Ricordi in bianco e nero, quei pantaloni erano oggetto di critiche, dal tipo ”ti si è allagata casa?” Un po’ come i risvoltini oggi.

 

I pantaloni, le donne con i pantaloni, ricordi in bianco e nero… Io sono cresciuta in una piazza dove i pantaloni delle donne sono arrivati presto.

Correva l’anno 1961 quando un prete tuonava contro l’uso femminile del vestito degli uomini. Era il cardinale Siri. Una foto della mitica Marlene Dietrich in un viaggio d’oltreoceano fece storia. Ricordi in bianco e nero, quei pantaloni peccaminosi del ’61 fanno eco a ”Volevo i pantaloni’ un romanzo autobiografico della Cardella che fece breccia alla fine degli Anni 80 tanto da diventare un film.

 

Nel salotto culturale della piazza convivevano le donne con la cesta in testa e la gonna sotto il ginocchio con le ragazze con i pantaloni alla zuava. La 500 era diffusa, si parcheggiava anche in piazza. Ricordi in bianco e nero: davanti al bar ci sono le sedie di legno accatastate. Era tradizione che durante le feste estive le sedie si accatastassero per aprirle la sera, quando la piazza si riempiva fino all’ultimo centimetro calpestabile.

Ricordi in bianco e nero, quest’angolo della piazza narra anche la storica edicola, oggi di Margherita Rea, in quegli anni della signora Ada, l’edicola aveva nella piazza un altro locale che era adibito a libreria. Lì davanti, nel periodo delle feste, c’era il ritrovo degli emigrati rientrati ad Arpino dall’estero, insieme alle loro famiglie.

Iecche a loche è different”: il dialetto di Arpino si fondeva con una lingua americanizzata. Le sedie accatastate accoglievano la babele linguistica. Mentre le signore con la cesta in testa e la gonna fino sotto al ginocchio, passavano e portavano le mercanzie del loro orto e del loro forno, casa per casa. Ricordando, anche a quegli uomini tornati da lontano, il profumo della loro infanzia.

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