È il lavoro il vaccino contro la pandemia economica

Maurizio Landini (Cgil): “Oggi è il momento di vaccinare, non è il momento di licenziare”. La retorica populista tende a delegittimare il Primo maggio, che invece conserva intatto il suo valore. In questo giorno si celebra il lavoro come diritto, non come favore da elargire alle persone.

Il Primo maggio all’insegna del Covid (per il secondo anno consecutivo) non perde il suo profondo significato sociale e culturale. Malgrado la retorica populista tenda a concentrarsi sul fatto che questo evento sia superato. Non è così. E Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, lo ha detto chiaramente. Spiegando a Rai Parlamento che  “bisogna investire sulla salute, sulla sicurezza, sullo stato sociale: abbiamo visto il prezzo che abbiamo pagato a causa anche dei tagli alla sanità. Il nostro slogan per il Primo Maggio, “è il lavoro che cura l’Italia”, indica che oggi è il momento di vaccinare non è il momento di licenziare”.

La flessibilità del sindacato

FOTO: ALBERTO LO BIANCO / IMAGOECONOMICA

I sindacati si sono adattati molto bene alla situazione determinata dalla pandemia. Accettando, e anzi favorendo, formule finalizzate alla “resistenza” nel mondo del lavoro. Laddove è possibile, per ché comunque lo tsunami del Coronavirus ha spazzato via in Italia 900.000 posti di lavoro.

Ha affermato Landini: “È stato un anno complicato. Come si è visto si sono persi posti di lavoro, soprattutto donne, giovani, e nel Mezzogiorno. Credo sia stato molto importante aver fatto i protocolli di sicurezza e aver bloccato i licenziamenti. Allo stesso tempo oggi è il momento della rinascita degli investimenti e di rimettere al centro un lavoro stabile, non precario”. 

E sul lavoro che cambia ai tempi del Covid, a partire dallo smart working, ha affermato: “Il lavoro è già cambiato. Quello che viene avanti è che ognuno di noi dovrà imparare sia a lavorare a distanza che a lavorare in presenza, è la stessa persona che sarà chiamata nel suo lavoro ad avere queste competenze quindi c’è un problema di diritto alla formazione e, dall’altra parte, credo che in tutti i contratti nazionali vanno regolate le modalità di lavoro anche a distanza”.

La mentalità da cambiare

Il divieto di licenziamento è davvero il “minimo sindacale” in una situazione del genere. Perché questa è una crisi non addebitabile a nessuno. Certo non agli imprenditori, ma neppure ai lavoratori.

Non ha funzionato il sistema degli aiuti, dei ristori, dei sostegni. Non ha funzionato perché con il debito pubblico che ha l’Italia non ci sono i soldi. Tanti piccoli e medi imprenditori, artigiani e commercianti sono stati travolti.

L’esplosione dei numeri della cassa integrazione è stata fondamentale, ma non potrà durare per sempre. Quindi o davvero si pensa ad un piano di rilancio serio e credibile o non si andrà da nessuna parte. Ma tutto questo con il significato del Primo maggio non c’entra nulla. Il Primo maggio sancisce il diritto del lavoro. Ma in troppi credono che sia un favore elargito ai lavoratori. E’ questa mentalità che va cambiata.