E se zitto zitto Zingaretti il contratto lo fa nel Lazio (di F. Storace)

Per l'ex governatore Francesco Storace, il suo successore punterebbe ben oltre la Segreteria nazionale del Pd: vuole costruire l'arco riformatore contro i populisti.

di Francesco STORACE
già Presidente Regione Lazio
Movimento per la Sovranità

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Il governo Conte avrà un’opposizione scarsa“, afferma un autorevolissimo parlamentare della maggioranza gialloblu (ci tiene Matteo Salvini a marcare cromaticamente la coalizione).
E in molti si interrogano su che cosa faranno quelli che non stanno dalla parte del nuovo esecutivo Lega-Cinque stelle.

Si sorride alle sortite da fronte repubblicano di Carlo Calenda, che non comprende la portata dei numeri in campo.

Di fronte ad un Pd dissolto, con i soliti capicorrente a far sbadigliare il loro popolo, vanno seguite le mosse dell’unico che ha vinto le elezioni e sta a Roma: Nicola Zingaretti potrebbe aver preso la mira su un obiettivo più ambizioso che la semplice segreteria del Partito. Del resto, non a caso non è stato nemmeno invitato alla recente manifestazione romana di Santi Apostoli…

 

La sfida populista – racconta chi è vicino al governatore del Lazio – va contrastata da “un’alternativa che superi i vecchi apparati“.

Occorre costruire un arco riformatore che si rivolga trasversalmente agli elettori che rifiutano il messaggio di Salvini e Di Maio: “Se Conte ha ragione sulla fine delle vecchie ideologie – si dice alla Regione – la nostra alleanza del fare è proprio in questa logica, senza più bisogno di parole d’ordine che vanno si’ rispettate, ma che sono vecchie di settant’anni“.

Insomma, una nuova sinistra non più catalogabile semplicemente così. Ma qualcosa d’altro.

 

La riflessione avviene anche all’indomani dell’approvazione del Bilancio della Regione, dove per la prima volta le astensioni – Cinque stelle, Gruppo Misto e lista Pirozzi – hanno eguagliato  con 13 voti i 13 dell’opposizione di centrodestra.

Per durare cinque anni e guardare a tutta Italia, Zingaretti ha bisogno di consolidare la sua maggioranza: nei corridoi si vocifera che il governatore stia già preparando un “contratto” per il Lazio simile a quello di governo nazionale. Trattare per trattare, meglio farlo alla luce del sole.

 

Con quali vantaggi? Eccoli: la pace con Roma Capitale; si libererebbe dei rivali interni in città; farebbe sparire il centrodestra dall’aula della Pisana con una maggioranza che salirebbe a 35 voti contro 15. Aggiungendo il gruppo misto e Pirozzi finirebbe 38 a 12; altro risultato, un rapporto più facile con la ministra grillina alla Sanità.

Con l’obiettivo di fagocitare quegli elettori di sinistra che hanno privilegiato proprio i Cinque Stelle e che ora sono rimasto spiazzati dalla nuova alleanza di governo.

In pratica, con la modificazione genetica della noiosa macrostruttura di Partito, Zingaretti punta a costruire il polo riformatore.

Nella Regione, in misura ovviamente ridotta, un’esperienza del genere, molti anni fa, fu tentata da un sindaco, a Frosinone, che come Zingaretti veniva dalla scuola del Pci e avvertiva la necessità di rompere gli schemi: era Memmo Marzi. Come suo vice, chiamò una nostra vecchia conoscenza, un intellettuale di destra come Biagio Cacciola.
Zingaretti punta in alto, per attrarre progressisti e moderati.

Osserviamolo con attenzione per il prossimo derby tra rifornatori e populisti. Magari, se spacca i pentastellati, diventa competitivo pure lui. In fondo, se nel Lazio ha vinto, è anche perché non ha spaventato l’elettorato di destra. Meno di Parisi, diciamo.

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