Londra se ne va dalla Ue: ma il patto sui dazi la tiene legata (€conomie)

Il piccolo vocabolario di economia per comprendere le parole che usano tutti i giorni i notiziari. Ma che spesso non conosciamo. Londra lascia la Ue. Ma il patto sui dazi è la vera chiave di lettura.

Antonello Antonellis

Economista - Già consulente del Ministro delle Finanze

Londra se ne va. Dal 30 marzo 2019 lascia l’Unione Europea: i 27 leader Ue hanno dato il via libera politico al patto di divorzio dal Regno Unito.

Con la separazione dalla Ue il Regno Unito si ritroverà in una posizione di gran lunga inferiore rispetto a quella di membro a pieno titolo. Perché se è vero che in base all’accordo di divorzio annunciato nelle ore scorse potrà continuare a commerciare con l’Europa senza subire dazi e senza dover superare ogni giorno montagne di scartoffie burocratiche, è altrettanto vero che però deve accettare le regole Ue senza avere voce in capitolo.

In alternativa, la completa ’emancipazione’ dalla Ue significa l’introduzione di dazi e controlli a tutto il commercio con la Ue.

I dazi commerciali rappresentano lo strumento di politica economica che maggiormente ha più impatto nella vita quotidiana di tutti noi.

I dazi sono le tasse d’importazione. Ed aumentare le tasse d’importazione sulla pasta, o sul vino, o sull’abbigliamento, determina: da un lato una limitazione all’esportazione, perché costa di più importare quel prodotto; sull’altro lato, aumenta il prezzo di vendita sugli scaffali, perché incorpora la tassa pagata per l’importazione.

Ma, allora, perché, se comporta tutti questi limiti economici, la politica di imporre dazi è così attuale?

La Storia dimostra che una politica commerciale aggressiva fiscalmente nasconde interessi elettorali enormi.

Limitare l’importazione di acciaio dall’estero, ad esempio, favorisce le aziende nazionali che lo producono, ed il conseguente livello occupazionale in quel settore. Tutti voti nelle urne, come ha dimostrato la vittoria di Trump nella cosiddetta Rust Belt, la “cintura della ruggine” nel Nord degli Stati Uniti, famosa per la lavorazione del ferro ed acciaio.

Ma la guerra dei dazi è anche uno strumento di politica internazionale, perché mette pressione sull’economie di Paesi concorrenti e, spesso, però, è stata la vera causa di guerre. Uno strumento veramente pericoloso.

L’Italia è tra i Paesi più deboli in questo conflitto economico perché importa le materie prime, che trasforma e, poi, vende sul mercato mondiale. Pensiamo al grano per la pasta, il ferro per le auto, i tessuti per i vestiti, i nostri campioni industriali nazionali, ed anche locali, che rischiano tantissimo, in termini economici ed occupazionali, da questa tensione commerciale internazionale.

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