I tre segnali per il Pd con la vittoria di Antonio Pompeo

La vittoria di Antonio Pompeo invia tre segnali importanti al Partito Democratico. Sono quelli che hanno portato al risultato maturato mercoledì nelle urne.

Una bottiglia di Dom Perignon del 2006. Per stapparla e festeggiare la rielezione di Antonio Pompeo a presidente della Provincia di Frosinone si è rivisto anche Francesco Scalia.

Un’istantanea scattata con il cellulare li ritrae tutti sorridenti, con il calice alzato: il presidente confermato, tutti i big di ogni componente, il senatore uscito di scena per fare il professore universitario e l’avvocato dopo le elezioni di marzo.

 

Primo, unità

È il primo dei segnali che il risultato delle elezioni di ieri sera a Frosinone invia al Partito Democratico Nazionale. E cioè: la capacità di includere, al di là delle differenze, si è rivelata ancora una volta l’arma in più per vincere le elezioni. La stessa utilizzata con ostinazione da Nicola Zingaretti lo scorso inverno mentre costruiva al sua cavalcata verso la riconferma in Regione Lazio mentre in tutto il resto d’Italia il Pd si riduceva in macerie.

Non contano i numeri, non c’entra niente se chi viene incluso porta talmente poco da poterne anche fare a meno. Conta il segnale di unità, capacità di aggregare, saper tenere unita la squadra. Proprio per non generare la minima scollatura, Francesco De Angelis nei giorni scorsi ha lasciato libera Sara Battisti di votare il candidato ordinano al congresso regionale rimanendo dentro la sua componente che invece ha votato in modo plebiscitario il candidato avversario.

 

Secondo, capacità

la grande intuizione di Antonio Pompeo in questa tornata elettorale è stata quella di proporre un centrosinistra diverso da quello visto fino ad oggi.

Non un Pd che discute guardandosi l’ombelico. Ma un sindaco e presidente iscritto al Pd che porta risultati amministrativi: la Provincia che si ritaglia un ruolo nonostante la catastrofe della riforma Delrio, la Provincia che convoca i parlamentari e gli assegna i compiti da fare a Montecitorio e Palazzo Madama per stimolare la crescita del territorio, la Provincia che fa squadra e ottiene l’Accordo di Programma con il pacco di milioni con cui attirare nuovi investitori.

Non è la rivincita dell’amministratore sul politico. Amministrare significa fare delle scelte, condividerle, ottenere il consenso di tutti, mediare. Questa è politica.

Ma è la politica che i cittadini non sentono da tempo, sommersi da un dibattito che può appassionare al massimo qualche vecchio trombone di Partito.

 

Terzo, la scia

C’è una scia vincente in questo centrosinistra nel Lazio. Fatto di amministrazione, fatto di contatto con la gente. Nicola Zingaretti non aveva alcuna speranza di farcela lo scorso marzo: ha vinto perché è lui, non perché è del Pd. Se qualcuno lo ha dimenticato, dalle urne regionali a marzo è uscita un anatra zoppa: vittoria del presidente, niente maggioranza al centrosinistra.

Allo stesso modo, la matematica non lasciava margini per una riconferma di Antonio Pompeo. Perché oggi quasi tutti i Comuni più grandi in provincia di Frosinone sono nelle mani del centrodestra.

Il risultato che è uscito è stato del tutto diverso. Costruito sul concetto del sindaco dei sindaci, sull’allergia per le sagrestie di Partito e le Direzioni Politiche, pur rimanendo all’interno di un solco definito e preciso di centrosinistra.

 

Unità, capacità e scia: tre elementi sui quali il Pd potrà riflettere, una volta finita la bottiglia di Dom Perignon.

 

 

 

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