Elezioni regionali senza elettori

'Piazze piene ma urne vuote' disse Pietro Nenni nel 1948 di fronte al flop della lista unitaria con socialisti e comunisti insieme. Oggi le piazze sono vuote. per capirne la ragione bisognerebbe leggere Montesquieu e Guareschi

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Piazze piene, urne vuote”: è la celebre frase pronunciata dal Segretario del Partito Socialista Italiano Pietro Nenni. La disse con amarezza nel 1948. Quell’anno i socialisti ed i comunisti unirono le loro forze per la prima ed unica volta nel Dopoguerra. Diedero vita al Fronte Democratico Popolare. Fu un flop clamoroso: la bocciatura da parte degli elettori fu senza eguali.

Il Psi ed il Pci uniti racimolarono appena il 30,98% nonostante due anni prima avessero preso, divisi, il 39,61%. Per trovare una sconfitta paragonabile a quella del ’48 bisognerà attendere il 2018. Eppure le piazze erano piene, i comizi erano affollati. Cosa era mancato?

Piazze vuote di elettori

L’indifferenza degli elettori ha mille ragioni. Nei giorni scorsi in un suo articolo Franco Fiorito ha puntualizzato sui candidati che nemmeno promettono quel che gli elettori non crederebbero. (Leggi qui: Gli indifferenti e la colata di cemento).

Ha ragione da vendere dentro una politica che non sa vedere, ma che non è capace di capire e si rifiuta di studiare. Mi permetto di introdurre un argomento lieve, apparentemente, ma che sottende il bisogno di una “politica studiante“, di candidati capaci di dire e non ripetere, di cercare altro punto del vedere. Il tema è che non si tengono elezioni al freddo, non si tengono con i termosifoni accesi, anche perchè il gas costa.

Giulio Andreotti nel 1945 venne a Castelforte e tenne un comizio rimasto celebre. Nel quale ebbe a dire: “Le fogne senza libertà sono poca cosa, ma riconosco che la democrazia, senza fogne, male odora.

I libri sono poca cosa davanti al gran parlare di niente. Ma senza i libri, della politica non resta niente: neanche il sorriso che anima le passioni e le passioni d’inverno hanno freddo.

Da Montesquieu a Guareschi

Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, noto solamente come Montesquieu è stato un filosofo, giurista, storico e pensatore politico francese. È considerato il fondatore della teoria politica della tripartizione dei poteri: secondo la quale, in uno Stato democratico il potere va diviso fra tre parti. Il potere esecutivo al Governo, il potere legislativo al Parlamento, il potere giudiziario alla Magistratura.

Nel suo testo Lo spirito delle leggi, Montesquieu scrisse

Nei climi nordici troverete popoli che hanno pochi vizi e molte virtú, grande franchezza e sincerità. Avvicinatevi al mezzogiorno, e avrete l’impressione di allontanarvi dalla morale stessa: passioni piú vive moltiplicheranno i delitti; ciascuno cercherà di prevalere sugli altri per dare piú libero sfogo a queste stesse passioni. Nei paesi temperati troverete invece popoli incostanti nel loro comportamento, sia nei loro vizi che nelle loro virtú; il clima non è sufficientemente caratterizzato per poter determinare con maggior precisione i loro caratteri.

Bastava leggere il vecchio barone francese dello Spirito delle leggi per capire che d’inverno si scia, non si vota. D’inverno è tempo di virtù, franchezza che non sta certo alla politica nella sua arte che ha bisogno di caldo di essere appassionati. Per questo la campagna elettorale per la Regione Lazio si tiene sempre in luogo chiuso, esclude la piazza, esclude la massa.

La politica non è per ogni tempo

D’inverno non vai a spasso ma stai davanti al camino a meditare con le castagne e il vino. E’ d’estate che cerchi il mare, che bevi una birra che suda il bicchiere e puoi parlare alla luna.

Se, dico se, da sempre si vota da aprile a giugno qualche domanda te la devi fare si vuoi votare i giorni della merla e pure vicino al carnevale.

Invece la politica si crede ognitempo, capace di invadere il tempo non suo. Capace di pensare ad una Coca Cola gelata a febbraio e una cioccolata bollente a luglio. Dimentica di grappa al gelo, e di tè freddo al caldo. Risultato è rito degli adepti nelle manifestazioni canoniche, assenza per il resto.

Giovannino Guareschi, nell’insuperabile Don Camillo e Peppone scrisse:

Nebbia densa e gelata l’opprime d’inverno, d’estate un sole spietato picchia martellate furibonde sui cervelli della gente, e qui tutto si esaspera, qui le passioni politiche esplodono violente e la lotta è dura.

Il clima pesa sull’agire della gente. E così spiego che andranno a votare in pochi e di voglia male, per il tempo infingardo, per il freddo che quando è troppo opprime e il sole quando picchia forte martella i cervelli.

Si dovrebbe votare al tempo del grano verde, giovane. Ma bisognerebbe aver letto Montesquieu e Guareschi

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