Elly, il Papa e l’utopia del pluralismo innocuo del Pd

Elly Schlein ora dovrà dare sostanza ad un Pd costruito sul mito del pluralismo innocuo, nel quale tutto poteva stare insieme. Ma l'hanno eletta per l'esatto contrario. Dare una direzione precisa

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Konrad Lorenz si giocò la matta dell’imprinting in etologia e consegnò il suo nome ai posteri come uno dei primi ad aver capito che nel regno animale ci si affeziona e lega al primo “capo” che vedi dopo esserti affacciato al mondo. La sua ochetta Martina perciò diventò il simbolo di una scoperta poi cesellata che per molti diversi fu rivoluzionaria. E che partiva da un assunto: in poche ore dopo la nascita l’istinto porta alla fissazione su un singolo oggetto.

È evidente che Lorenz non conosceva il Pd e che la sua “legge” non vale per i sistemi complessi umani. Specie se quei sistemi non sono “in primo affaccio” sul mondo, ma devono fare comunque i conti con un nuovo “capo”. Con esso e con la difficile precondizione di essere già strutturati, di essere stati già affezionati ad altro e di aver maturato delle linee di condotta sulla scorta di quelle affezioni.

L’utopia di Elly

Elly Schlein (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Ecco, l’utopia bella di Elly Schlein parte da questa, di precondizione: la assoluta disomogeneità di ciò che è stata chiamata a guidare. Con l’ossimoro forte che una guida è per definizione elemento che omogenizza, ma al tempo stesso è il punto di ascolto di tutte le diversità della creatura che conduce in politica.

Il guaio sta tutto nel fatto che Il Pd non è “nato”, cioè non è un foglio bianco su cui scrivere le nuove rotte, ma presume di essere “risorto” e nel farlo si è portato appresso vagonate delle sue identità passate: molte sono scarabocchi su quel foglio, ma altre hanno la piena dignità del disegno.

Proprio per questo motivo Elly Schlein, nel suo discorso all’Assemblea di ieri, si è dovuta barcamenare fra un Atto Fondativo e la prosecuzione del vissuto del suo Partito. La parola chiave è “pluralismo” ma essa fa da contraltare ad un altro cardine dialettico: oggi nel Partito Democratico il solo nominare le correnti equivale a fare una gara di rutti in oratorio. E tuttavia il bisogno di ribadire che la pluralità resta cardine è assoluto. Come uscirne?

Le figure totem

Elly Schlein (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Innanzitutto con i rimandi generali e con le figure totem di gradimento o “esecrazione” ecumenica: chi non ama Papa Bergoglio che da anni dà spallate alle ruggini etiche della Chiesa? Chi non osanna Sergio Mattarella, Massimo Pompiere delle italiche baruffe? Chi non è scientemente indignato per la tragedia di Cutro e la condotta del governo Meloni? E chi non vorrebbe Patrik Zaki libero da pastoie giudiziarie terzomondiste o Giulio Regeni finalmente onorato postumo con un atto di giustizia? Chi non (rim)piange David Sassoli o Bruno Astorre?

E’ il mainstream di necessità che cela una immensa contraddizione con la quale Schlein dovrà fare i conti: quella di essere Segretaria di un Partito che fonda sulla libertà di pensiero ma che deve un po’ negare se stesso e tenere la barra dritta su un “pensiero unico” che lo rimetta in asse con le sue perdute vocazioni popolari e di sinistra. Solo che il Pd non è solo sinistra-sinistra, non facciamo l’elenco per non chiedere terabyte a Seeweb. Tanto per dirne una cocente il Pd è anche il mondo cattolico, e gente come Castagnetti, Delrio e De Micheli già mandano segnali di “timore”.

Dialettica centrale

Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica

Il Pd non è solo il partito di un Bonaccini “inertizzato” con il ruolo di garanzia della Presidenza da cui può operare a scartamento ridotto, è posto concettuale e concreto in cui la dialettica è talmente centrale che spesso degenera in caciara.

Ecco, a Schlein toccherà fare in modo che quella reazione chimica malevola non accada mai più, deve farlo con l’ortodossia di una nuova stagione di lotte sociali ma senza abiure nette. Debora Serracchaini è forse quella che ha provato più di tutti a metterci una pezza ieri, lo ha fatto spiegando che il “nuovo inizio” è già di per sé la riprova della morte del correntismo.

Poi è andata in difficoltà nel carpiato successivo: “Concretamente ognuno fa il proprio dovere all’interno di un partito nel quale ovviamente ha il dovere di dire quello che pensa, ma anche il compito gravoso di tenere insieme un’opposizione che non è soltanto il Partito Democratico ma anche più larga“. Insomma, come si fa a fare il proprio dovere restando fedeli alla libertà di pensiero se quest’ultima presuppone per definizione che a volte il proprio dovere non vada fatto?

Come si farà a tenere insieme acquasantiera e ddl Zan? Turandosi il naso e tirando dritti, ecco come di dovrà fare, almeno fino a quando la pluralità non diventi ingombro per chi la invoca o per chi la subisce. O fino a quando qualcuno non si ricordi di quello che a suo tempo scoprì Konrad Lorenz sulle papere e non decida di applicarlo agli uomini.

Con il Lingotto in mente.