Sedici anni per l’omicidio di Emanuele: perché non c’è ergastolo e c’è un assolto

La sentenza descrive uno scenario preciso. Che a molti fa gridare all'ingiustizia. Perché si è arrivati ad una pena di 16 anni. Come mai non è stato inflitto l'ergastolo. Perché c'è un'assoluzione.

Come si fa a spiegare tre condanne a 16 anni ed un’assoluzione, per l’omicidio di Emanuele Morganti? Come si fa a dire alla gente perché nessuno ha avuto l’ergastolo per quel delitto bestiale, barbaro e feroce? Sotto il profilo umano è impossibile trovare una risposta: non c’è. Inutile perdere tempo anche a cercarla. Non è una risposta ricordare che la Giustizia non deve essere vendetta. Non è sufficiente di fronte ad un ragazzo braccato, accerchiato, massacrato, picchiato a morte senza pietà.

L’unica risposta possibile è quella fredda come il marmo nelle aule di Giustizia. Asettica come gli articoli ed i commi del Codice Penale che è stato applicato in maniera rigorosa sotto il profilo tecnico.

Per tentare di comprendere perché si è arrivati a quelle pene bisogna partire da un presupposto. Nel nostro Codice Penale sono previsti 4 tipi di omicidio.

L’omicidio Volontario: prendo la macchina, aspetto che il mio avversario attraversi la strada e lo investo con la chiara intenzione di ammazzarlo; qui c’è pure l’aggravante di avere premeditato (pensato prima ed organizzato) tutto.

Poi c’è l’omicidio Colposo: mi metto in macchina, faccio retromarcia, mi distraggo e investo una persona uccidendola; ho ucciso per colpa, cioè per imperizia e negligenza.

Poi c’è l’omicidio non voluto. È l’omicidio come conseguenza di un altro reato minore; non ho la patente ma guido lo stesso, investo una persona e muore; l’omicidio è la conseguenza del reato minore (la guida senza patente) non c’è imperizia perche non ho le competenze per portare la macchina.

Infine c’è l’omicidio Preterintenzionale: si uccide andando al di là delle proprie intenzioni. In pratica: mi metto in macchina, voglio solo sfiorare e spaventare il mio avversario e invece gli procuro delle ferite mortali. Sono andato al di là della mia volontà di spaventare ed al massimo di ferire.

È proprio questo le scenario ipotizzato dalla corte d’assise di Frosinone nel caso dell’omicidio di Emanuele Morganti. I tre condannati (Michel Fortuna, Mario Castagnacci e Paolo Palmisani) sono stati ritenuti colpevoli di avere picchiato il povero Emanuele ma non avevano – dice la sentenza – l’intenzione di ucciderlo.

Non c’è omicidio volontario e quindi non c’è ergastolo perchè – dice la Corte – non hanno iniziato a picchiare con l’obiettivo di ammazzare. C’è una componente di dolo: cioè ho picchiato scientemente. C’è una componente di colpa: hanno ucciso andando al di là dell’intenzione.

La pena prevista nel massimo è di 18 anni. Ne sono stati inflitti 16 che quasi il massimo del massimo. I giudici hanno dovuto tenere conto del fatto che che gli imputai sono incensurati ed un minimo di atteuazione va applicato.

Non c’è l’aggravante dei motivi futili ed abbietti perché può essere applicata solo per i casi dolosi: se io vado al dilà dell’intenzione non posso averlo fatti per motivi futili o abbietti.

L’assoluzione a Franco Castagnacci è scattata invece perché non ci sono elementi per poter dire che l’imputato abbia materialmente partecipato al pestaggio. È di quello che era stato chiamato a rispondere.

La Procura della Repubblica ipotizzava uno scenario diverso: nella sua ricostruzione, il pestaggio era avvenuto in modo così violento e selvaggio che gli autori si erano assunti il chiaro e concreto rischio di andare oltre le intenzioni. Cioè, per tornare agli esempi fatti con la macchina: se io mi metto al volante, aspetto il mio rivale, lo investo centrandolo in pieno, mi assumo tutto il rischio di ammazzarlo anche se intendevo solo spaventarlo.

È per questo che la Procura (autrice di un lavoro certosino, millimetrico, paziente al di là di qualsiasi parola) aveva chiesto condanne che andavano dall’ergastolo a 24 anni di carcere.

Sulle valutazioni e ricostruzioni della Corte d’Assise, ora la Procura della Repubblica ed i familiari della vittima (ma anche gli stessi imputati), una volta lette le motivazioni dettagliate che verranno scritte e depositate entro due mesi, potranno ricorrere in appello chiedendo di rimettere tutto in discussione.

Questa è la tecnica. L’aspetto umano è un altro. E lì non c’è risposta.