«Dove eravamo rimasti?»: l’indifferenza sul mito di Enzo Tortora

Quarantuno anni fa andava in onda la mitica trasmissione di Enzo Tortora 'Portobello'. Lo specchio di un Paese che sa fare bene la caccia alle streghe. Soprattutto quando può mettere al rogo l'uomo di successo. Giustificando così la propria invidia. Ed i propri insuccessi.

Lucio Marziale

Idee Controcorrente

Stasera riparte Portobello, la storica trasmissione ideata nel 1977 da Enzo Tortora.

Una trasmissione rivoluzionaria, con il pubblico che interagiva in diretta con gli “inventori”, di cui l’Italia si scoprì piena.

Una trasmissione che ne conteneva almeno altre due: fu un primo abbozzo di Chi l’ha Visto?, ma anche di Fiori d’Arancio, per persone sole che sole non volevano più stare.

Arrivò ad avere ascolti di 28 milioni di italiani: più o meno la metà del Paese era sintonizzata tutta assieme sul pappagallo più famoso di tutti i tempi.

Un successo popolare senza precedenti, con spettatori ovunque: anche nelle patrie galere.

Proprio da un carcere, il detenuto Giovanni Pandico inviò dei centrini da vendere in trasmissione; i centrini andarono smarriti, Pandico se la prese con Tortora, uomo da 28 milioni di ascolti a settimana.

E, da “pentito”, lo accusò di essere un affiliato alla camorra, spacciatore di grandi quantità di cocaina nel mondo dello spettacolo. Altri detenuti “pentiti” si accodarono alle accuse, e in cambio uscirono dal carcere per essere ospitati in più confortevoli strutture penitenziarie.

La intellighenzia di sinistra, intanto, detestava Portobello: troppo buonista la trasmissione e troppo mieloso e antipatico quel conduttore, un vecchio signore liberale, Enzo Tortora, mai legatosi al carro vincente della sinistra comunista padrona della RAI.

Nacque il “Caso Tortora”, con la stampa progressista dell’epoca, in testa Corriere della Sera e La Repubblica -e naturalmente L’Unità– a dare addosso al presentatore “antipatico”, e che era giusto ritenere colpevole solo per questo fatto, solo per quella sua trasmissione “Portobello”, così popolare, anzi, così “populista”.

Solo mesi dopo, il 24 giugno 1983, arrivarono Enzo Biagi, con un suo memorabile fondo su Repubblica: “E se Tortora fosse innocente?”; e soprattutto Marco Pannella, che lo elesse nel 1984 al Parlamento Europeo, da dove Tortora si dimise – con il voto contrario del deputato Otto d’Asburgo – per tornare agli arresti in Italia, fino alla sua trionfale assoluzione, dopo quattro anni dall’arresto.

Alcuni di quelli che ne sostennero in aula l’accusa e ne ottennero la condanna, vennero promossi e mandati nel palazzo di Giustizia di Cassino. Non se ne pentirono mai: dissero di avere agito secondo coscienza.

Tortora, vittima anche di quella coscienza, volle tornare a presentare “Portobello”, riprendendo il famoso incipit: “Dove eravamo rimasti?

Volle tornare nella trasmissione che lo aveva portato tanto in alto da farlo cadere tanto pesantemente, a salutare i “suoi” 28 milioni.

Ma sette mesi di carcere e quattro anni di gogna giudiziaria, gli avevano minato il corpo, conducendolo in breve tempo alla morte.

Ai suoi funerali, ai funerali dell’uomo da 28 milioni di ascolti, dei grandi nomi dello spettacolo erano presenti solo Mike Bongiorno e Jocelyn.