Fca, l’allarme nascosto nelle parole di Bonomi e Gualtieri

Foto © Sara Minelli / Imagoeconomica

Ieri sera, a distanza di poche ore, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ed il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri hanno toccato il tema Fca. C'è preoccupazione. Cosa c'è nel futuro degli stabilimenti italiani. In particolare cassino Plant

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il segnale arriva pochi minuti dopo le ore 20 di giovedì. Carlo Bonomi, neo presidente della più potente organizzazione di industriali italiani, riceve il battesimo di Bruno Vespa negli studi di Porta a Porta. È da lì che manda il suo segnale di preoccupazione sul futuro di Fca. Lo fa rispondendo alla domanda sulle garanzie chieste allo Stato per il maxi prestito bancario domandato dal principale gruppo metalmeccanico nazionale.

Io mi aspetto – dice il presidente di Confindustria – che tra le condizioni che pone il governo ci sia un controllo molto serio attento che questi soldi arrivino alla filiera“. Una risposta gli arriva quasi in diretta dagli schermi di La7 dove è impegnato il ministro Roberto Gualtieri ospite di Corrado Formigli a Piazza Pulita. Rivela’‘Decideremo di imporre delle condizioni molto rigide per questo prestito chiesto da Fca e se non saranno rispettate perderà il finanziamento”.

Più dai leasing che dalle auto

Carlo Bonomi a Porta a Porta

A cosa si riferiscono il presidente degli industriali italiani ed il ministro dell’Economia?

Per comprenderlo bisogna fare un po’ di passi indietro. E tornare all’epoca in cui al timone dell’allora Fiat arrivò con pieni poteri Cesare Romiti. Non è un ingegnere, non si intende né di auto né di meccanica: si è laureato in Scienze Economiche e Commerciali studiando di notte e lavorando di giorno per mantenersi dopo la morte del padre. Si racconta che nel suo primo incontro da Amministratore Delegato con i vertici Fiat, Cesare Romiti stupì tutti perché non chiese né di modelli né di stabilimenti. Chiese di conti, di cash flow, di esposizioni, rating: Fiat da quel momento diventò ciò che è un moderno gruppo industriale multinazionale. È finanza. Non è un mistero che oggi buona parte dei proventi non venga tanto dalle auto prodotte ma dagli interessi sui leasing con i quali paghiamo oggi le vetture.

Non è un caso che fu un genio della finanza a prendere una Fiat ormai decotta ed al capezzale trasformandola in un’eccellenza dai conti in ordine. Sergio Marchionne prima di essere un visionario era anche un abilissimo uomo di finanza, arrivato a Torino dal mondo delle banche e del credito.

La zavorra europea

Il ministro Gualtieri a Piazza Pulita

Oggi la finanza è l’elemento fondamentale di Fca. I suoi conti sono in buona salute. Ma hanno una zavorra. pesantissima. È la divisione europea. Che si chiama Fca Italy: a lei fanno riferimento una quarantina di società collegate e che agiscono in Polonia, Serbia, Marocco, Germania, Danimarca, Norvegia e tanti altri Paesi.

Gli utili non vengono da Fca Italy. Meno ancora vengono dall’Italia. Se a questo ci aggiungiamo il capolavoro di avere ideato degli ecobonus andati interamente ad ingrassare i conti di aziende concorrenti straniere il quadro è più chiaro.

Gli utili vengono dagli Usa. È lì che si vendono le macchine dalle quali si ricavano i profitti. Sergio Marchionne lo aveva capito e per questo aveva cambiato completamente il paradigma che per oltre un secolo era stato declinato dagli Agneli: l’auto per tutti. Fare le Panda e le Punto, motorizzare l’Italia come Ford fece con l’America, costava tanto e faceva guadagnare poco. Per questo decise di puntare su gioiellini come Giulia e Stelvio realizzati in una fabbrica di eccellenza come Cassino Plant. Puntare su suv ed auto più impegnative per tentare di risalire anche in Europa. Perché sono sempre fatte con 1 pianale, 2 assi, 4 ruote ed una scocca: come le Panda ma rendono dannatamente di più.

Sergio Marchionne fece in tempo a raggiungere il suo traguardo: mettere in ordine i conti. I numeri europei non hanno mai raggiunto il punto di equilibrio ma hanno ridotto le perdite in maniera sensibile, al punto che gli utili americani tengono tutto a galla. E questo per consentire alla Famiglia di decidere cosa fare: comprare un altro player mondiale e costituire un gruppo più grosso, oppure cedere tutto e concentrarsi su settori più redditizi.

La scelta è stata quella di vendere a Psa Peugeot.

Perché il prestito

John Elkann © Imagoeconomica, Sergio Oliverio

Se Fca vende allora a cosa le serve il prestito? Lo scenario economico finanziario è questo: il debito accumulato tra il 2015 ed il 2018 ammonta a 4,6 miliardi. La cura Marchionne basata su auto più redditizie ha fatto aumentare del 20% i ricavi. Che però sono ancora lontani dal pareggiare i costi. Senza i conti Usa la divisione europea sarebbe ancora troppo lontana dal tenersi in piedi da sola.  

Il prestito? Il totale del debito Fca Italy è intorno ai 9 miliardi e circa 4 sono esposizioni verso i fornitori. Fca Italy ha chiesto quei soldi proprio per pagare i fornitori.

Ma attenzione: non è un’operazione da canna del gas. Tutt’altro. È finanza. Una cosa è fare fronte a 4,4 miliardi di debiti a tassi bancari. Ben altro è fare fronte a quello stesso debito contando su un prestito garantito all’80% a tassi irrisori. In pratica Fca Italy punta alla liquidità a costi quasi azzerati: risparmia in questo modo circa 120 milioni l’anno di soli interessi, rispetto a quanto gli costerebbe andare a chiedere il denaro in qualsiasi altro modo. 

I rischi per l’Italia e Cassino

Giulia e la sua avversaria francese

I dubbi di Carlo Bonomi e Roberto Gualtieri sono basati su un’addizione: 9 miliardi di debito esistente più altri 6 chiesti ora portano il totale 15 miliardi di debito senza avere margini con i quali poter garantire che lo si ripagherà.

L’arrivo dei francesi di Peugeot Psa cambierà del tutto le regole del gioco. Alessioporcu.it lo ha indicato dal primo momento: nulla impone alla nuova società di manetenere in piedi tutti gli stabilimenti che oggi fanno parte di Fca in Italia ed in Europa. E tra quelli che rappresentano un doppione c’è proprio Cassino Plant. Dove, per dirla tutta, è stata appena decretata la fine di Giorgio: la piattaforma sulla quale sono state realizzate Giulietta, Giulia e Stelvio. (leggi qui Fca saluta Giorgio, la ‘base’ su cui nascono Giulia e Stelvio).

Cassino Plant è un sito di eccellenza ma oggi produce auto che rischiano di non avere futuro: in Francia hanno la Peugeot 508 e nessun motivo per sopprimerla a favore di Giulia.

Chiudere gli stabilimenti italiani avrebbe rappresentato un insulto alla memoria degli Agnelli. Ma la nuova multinazionale Psa Fca sarà sganciata da queste logiche. E l’Italia è la prima a rischiare di pagare il conto della fusione. È per questo che a distanza di poche ore, Carlo Bonomi e Roberto Gualtieri hanno espresso le loro preoccupazioni sul destino di quei soldi chiesti da Fca. Non è una preoccupazione per si soldi. Ma per il futuro dell’Automotive italiano.