Federlazio fotografa la ripresa dopo il covid

Il risultato dell'indagine Federlazio nel primo periodo del 2021. Segnali di fiducia dalle imprese del Lazio. E della provincia di Frosinone. Ecco quali

Marco Barzelli

Veni, vidi, scripsi

Resistenza, ripresa, incertezza: è l’asindeto che rappresentò l’andamento delle piccole e medie imprese regionali dopo la prima ondata del Covid. Ovvero fino al mese di luglio 2020. Ora Federlazio presenta anche gli effetti della seconda e della terza: i risultati dell’indagine condotta nell’aprile 2021.

Stavolta qualche certezza c’è: abbastanza da parlare di speranza, fiducia e crescita. Su tutti un dato che parla anche per gli altri: il 70.2% delle 450 aziende laziali campionate (316) non prevede alcuna riduzione di personale. In provincia di Frosinone addirittura il 74.3% delle 75 Piccole e Medie Imprese interrogate: 56. Non intendono lasciare alcun dipendente a casa dopo il blocco dei licenziamenti: che per ora durerà di sicuro fino al prossimo 30 giugno. Perché è ancora incerta la proroga fino al 28 agosto per chi richiede la Cassa Integrazione Covid e la CIG ordinaria. Anche se, per chi ottiene quest’ultima, il Decreto Sostegni bis prevede un’agevolazione: l’esenzione dal pagamento del contributo addizionale fino a fine anno – tra il 9 e il 15% in base al periodo di utilizzazione – a condizione che, per l’appunto, non venga licenziato nessuno.  

Segnali positivi

Foto: Janno Nivergall / Pixabay

Ancora una volta, sulle conseguenze del Covid-19, la lente di ingrandimento della Federlazio: l’Associazione delle oltre 3.200 piccole e medie imprese territoriali, animate da 70 mila addetti a favore di un fatturato annuo di più di dieci miliardi di euro. Il focus ha riguardato 450 realtà, di cui 75 della provincia di Frosinone, in rappresentanza dell’intero tessuto economico e produttivo.

La maggior parte di quelle ciociare, ovvero il 55% – 41 – ha dai 10 ai 49 impiegati. Mentre i restanti 29% e 16% – 22 e 12 – ne hanno, rispettivamente, tra 1 e 9 e oltre 50. A distanza di sei mesi dall’ultima rilevazione, in ogni caso, l’attività produttiva resta fortemente penalizzata. Ma un’evoluzione positiva viene mostrata da tutte e tre le variabili: ordinativi, produzione e fatturato.

Fino alla prima rilevazione, effettuata lo scorso ottobre, l’80% delle PMI – 60 su 75 – aveva subito una contrazione degli ordini di acquisto: meno forniture di beni o servizi. Ora, invece, si parla di un 71.4%: 54. Ovvero 6 in meno: -8.6%.

A registrare una crescita, però, è appena il 3.6%: 3. In autunno erano state 4: il 5.2%. Che corrisponde più o meno ai dati legati alla produzione. Che, in considerazione di un aumento delle imprese che dichiarano di non aver avuto sostanziali variazioni – dal 14.9 al 32.1%, ossia da 11 a 24 – non vede più in riduzione l’80.1% bensì il 64.3% del campione – non più 60 bensì 48.

Il risultato, però, è più o meno lo stesso: le imprese che continuano a veder calare il fatturato non scendono sotto il 77%. Pur con un leggerissimo rialzo (77.8%), restano più o meno 58.

La Cassa Integrazione

Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Il campanello d’allarme, firmato Cassa Integrazione Guadagni Covid, si era acceso per il 76.9% delle PMI dopo la prima ondata targata Coronavirus. Ovvero per 58 piccole e medie imprese. Ora questo dato preoccupante, sul piano economico come a livello di ripercussioni sui lavoratori e le loro famiglie, è associato al 70.6%: 53, ovvero 5 in meno.

Si potrebbe leggere con una minima dose di fiducia. Se non fosse che nel 62.5% dei casi (49 aziende su 75) la cassa integrazione è stata richiesta per più della metà dei dipendenti. È una percentuale che rispecchia su per giù anche la situazione regionale.

Ma, restando in provincia di Frosinone, la CIG è stata richiesta per oltre tre mesi dalla maggioranza delle aziende coinvolte nell’indagine: il 54.2%, ovvero 41. Il 25% (19), invece, sono andate oltre i sei mesi. Nel Lazio sono state, nell’ordine, il 62.1% e il 18.9%: quindi, rispettivamente, 279 e 85 delle 450 totali. A livello provinciale, pertanto, si è ricorsi maggiormente alla CIG più duratura.

Il lavoro smart

Smart Working (Foto: Imagoeconomica)

Passiamo poi a uno dei tormentoni dell’emergenza Covid: lo Smart Working. Quel “lavoro agile” che in Italia, senza doversi dare forzatamente un tono, potremmo chiamare benissimo “lavoro da casa”.

In Ciociaria, andando oltre la media regionale (43%), ha riguardato il 44.1% delle 75 imprese indagate: le 33 che, ovviamente, potevano ricorrere a tale soluzione. E il dato è sorprendente visto che il campione è rappresentato perlopiù da manifatturiere, edili e impiantisti: che, per forza di cose, danno il meglio in presenza.

Ad oggi, però, nel 63.6% delle aziende in questione – 48 – non c’è più nessuno che lavora “agilmente” dalla propria abitazione. Nel Lazio la percentuale è più alta: 73.6%, ossia 331 PMI su 450. Meno della metà del personale, per qualche giorno a settimana, continua invece a lavorare in Smart Working nel 33.4% dei casi provinciali. E nel 20.8% di quelli regionali. La volontà, una volta finita la maledetta pandemia, è chiara: i tre quarti delle imprese non vuole continuare ad adottare alcuna forma di SW.   

Il lento ritorno alla normalità

(Foto: ELEVATE / PEXELS)

«Quanto tempo ci vorrà prima che nella sua azienda si torni alla situazione precedente alla pandemia?», ha chiesto la Federlazio alle proprie associate.

«Ci siamo già tornati», ha risposto il 20.7%: in 16. «Da 6 mesi a 1 anno», spera il 58.8%: in 44. «Almeno due anni», non si è sbilanciato troppo il 17.6%: in 13. «Non credo ci si tornerà più», si è ormai rassegnato il 2.9%: i due “pessimisti” del gruppo.

Nel Lazio si è già ripreso il 24.4% (+3.7 rispetto alla Ciociaria) e ha perso ogni speranza l’8.7% (+5.8). Nei prossimi mesi del 2021, poi, il 60.9% dei piccoli e medi imprenditori laziali e il 65.7% di quelli ciociari vorrebbero fare investimenti nelle loro aziende, «ma – c’è il “ma” – occorrerà valutare». La maggior parte dei laziali (il 77.5%) vorrebbe investire nella digitalizzazione. In provincia di Frosinone, invece, in distribuzione e marketing: il 71.4%, a fronte del 68.2% aspirante “tecnologico”.

La fiducia di Polito

NINO POLITO

Uno dei dati più significativi, come detto, è il blocco dei licenziamenti. Anche secondo il presidente della Federlazio Frosinone Nino Polito: «Rivela che le imprese sono fiduciose, avendo evidentemente buone ragioni per farlo, di poter rilanciare la propria attività e riportarla, anche se con inevitabile gradualità, alla situazione pre-pandemica. Per questo non intendono ridurre la forza lavoro, che resta una componente imprescindibile in qualunque strategia di rilancio».

«I risultati della nostra indagine convergono tutti nel rimarcare che lo spirito e la tempra della gran parte dei nostri imprenditori, non escono fiaccati da questa catastrofe del Covid-19. Le imprese si sono già rimboccate le maniche per ricominciare con decisione a fare quello che riesce loro meglio: creare ricchezza, lavoro e sviluppo».

Roberto Battisti, direttore dell’Associazione provinciale delle PMI, guarda proprio all’impulso proveniente da questo spirito imprenditoriale. Lo fa con un auspicio: «Dovrà anche essere assecondato però da un profondo ripensamento del nostro modello produttivo e imprenditoriale. Deve saper raccogliere convintamente e permanentemente le sfide dell’innovazione, della green economy, della sostenibilità e delle energie rinnovabili. E deve saper accordare un’attenzione privilegiata al tema della valorizzazione delle risorse umane e a quello del consolidamento finanziario e gestionale delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie».

«Tutto questo presuppone però un altrettanto improcrastinabile rinnovamento nel funzionamento della macchina dello Stato in tutte le sue articolazioni, senza il quale qualunque sforzo del nostro sistema economico verrebbe vanificato, confinandoci ai margini dell’agone competitivo internazionale, in una posizione subalterna che non possiamo assolutamente permetterci».