Fischi e fiaschi della IV settimana 2022

Fischi e fiaschi: i fatti centrali ed i protagonisti della IV settimana 2022. Per capire meglio cosa è accaduto e cosa ci attende nei prossimi giorni.

Fischi e fiaschi: i fatti centrali ed i protagonisti della IV settimana 2022. Per capire meglio cosa è accaduto e cosa ci attende nei prossimi giorni.

FISCHI

SERGIO MATTARELLA

Il Presidente Mattarella riceve la comunicazione della sua rielezione

Rieletto con un boom di voti secondo soltanto a quello che portò al Quirinale Sandro Pertini, il presidente “partigiano”, il più amato tra gli italiani. Sergio Mattarella aveva altri programmi.

Per settimane aveva continuato a ripetere di non essere interessato al bis per cercare di favorire l’ascesa di Mario Draghi. Ma le meschinità di Partiti piccoli piccoli e di mezzi leader hanno creato un clima diverso, “punitivo” nei confronti del Presidente del Consiglio, colpevole di essere di un altro pianeta.

Quando tutte le votazioni precedenti erano fallite miseramente, tutti sono andati in ginocchio da Mattarella a chiedergli di salvare il Sistema e loro stessi. A quel punto il presidente non ha avuto scelta. Le istituzioni non si sollecitano e non si rifiutano, semplicemente si servono. A questo punto Sergio Mattarella è l’unico vero punto di riferimento dei cittadini italiani e sulle macerie dei Partiti potrà fare quello che vuole. Perfino ballare fino all’alba.

Gigantesco.

GIULIANO AMATO

Giuliano Amato (Foto Alessia Mastropietro / Imagoeconomica)

Il clamore della votazione per il Quirinale ha fatto passare completamente in secondo piano un altro fatto di dimensione politica straordinaria. Giuliano Amato è stato eletto presidente della Corte Costituzionale, il vertice supremo del nostro sistema giudiziario. Un organo in grado di cambiare gli assetti legislativi come o più del Parlamento.

Il Dottor Sottile era in corsa anche per il Colle, ma quando ha capito che l’egocentrismo di Silvio Berlusconi, l’approssimazione di Matteo Salvini e la mancanza di prospettiva politica di Giorgia Meloni non avrebbero portato mai ad una sua indicazione per essere eletto, allora ha indossato la tuta da palombaro, si è chiamato fuori e si è concentrato sulla carica di numero uno della Consulta.

Andando a completare un triangolo da sogno per le istituzioni repubblicane: Sergio Mattarella al Quirinale, Mario Draghi a Palazzo Chigi e Giuliano Amato alla guida della Suprema Corte.

Scacco matto.

MATTEO RENZI

Matteo Renzi (Foto Francesco Benvenuti / Imagoeconomica)

Sul piano politico ha vinto sempre e soltanto lui. Con un manipolo di 40 grandi elettori. Sette anni fa trionfò portando per la prima volta Sergio Mattarella al Quirinale. Ma era il leader del Pd e poteva contare su un’ampia maggioranza. Stavolta è alla guida di un piccolo Partito come Italia Viva e ha dovuto cambiare in corsa.

Per mesi ha giocato una sola partita, quella finalizzata a far eleggere Pierferdinando Casini. Quando si è reso conto che tutti i nomi sarebbero stati massacrati dai franchi tiratori, ha virato nuovamente su Sergio Mattarella, intestandosi la frase che ha cambiato tutto: “In aula c’è un’onda che spinge per Mattarella.

In questa legislatura ha messo la firma in tutti i passaggi decisivi: l’estromissione di Matteo Salvini dal Governo, la nascita dell’esecutivo giallorosso, l’affondamento del Governo guidato da Giuseppe Conte, l’ascesa di Mario Draghi a Palazzo Chigi, il bis di Sergio Mattarella.

Che aveva preannunciato: “Oggi gli faccio il cucchiaio”.

Io sono leggenda.

FLOP

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini (Foto Francesco Fotia / Imagoeconomica)

Impossibile immaginare che qualcuno avrebbe potuto fare peggio. Ormai politicamente ossessionato da Giorgia Meloni, ha voluto a tutti i costi recitare il ruolo di king-maker. Ma non è stato né maker né tantomeno king.

Ha “bruciato” riserve della Repubblica come la presidente del Senato Elisabetta Casellati e la responsabile dei Servizi Segreti Elisabetta Belloni, non è stato in grado di convincere Silvio Berlusconi a ritirare una candidatura che ha mandato all’aria il centrodestra prima che si iniziasse la partita, ha avversato l’ipotesi di Mario Draghi soltanto perché era quella che voleva il suo numero due Giancarlo Giorgetti.

In più ha provato ancora una volta a rilanciare quell’asse gialloverde che è stato il più grosso fallimento politico di questa legislatura. Inoltre è la terza volta che si smarca dal centrodestra: la prima quando ruppe l’alleanza e andò al Governo con Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, la seconda quando ha deciso di sostenere Mario Draghi lasciando a Giorgia Meloni le praterie dell’opposizione, la terza quando, per disperazione, ha detto sì al Mattarella bis.

Il centrodestra non esiste più in Parlamento. Per giorni ha fatto la spola da un Palazzo della politica all’altro, per non portare a casa neppure uno zero a zero.

A picco.

BERLUSCONI-TAJANI

Al fondatore e unico leader di Forza Italia torniamo ad augurare una pronta e completa guarigione in tempi rapidi. Ma nella partita del Quirinale le scelte di Silvio Berlusconi sono state semplicemente fallimentari. Ma il fallimento più grande è quello di non aver messo in piedi in un quarto di secolo uno straccio di classe dirigente in grado di potergli dire che sta sbagliando. E’ circondato da yes man che non fanno altro che incensarlo e dargli ragione, negando l’evidenza. Per portarlo sistematicamente a schiantarsi, come succede ormai da troppi anni a questa parte.

Il suo “cerchio magico” ha affondato Forza Italia e la stessa immagine di Berlusconi. La candidatura alla presidenza della Repubblica è stata un errore politico di dimensioni planetarie. Non aveva i numeri e mai sarebbe stato eletto. Quando lo hanno capito pure i tanti “cicisbei” era troppo tardi, perché poi è scattata la logica del “dopo di me il diluvio”.

Forza Italia è andata in pezzi e Annamaria Bernini, Mara Carfagna, Renato Brunetta e Mariastella Gelmini hanno fatto capire ad Antonio Tajani che a lui non riconoscono alcun ruolo. Nelle trattative di questi giorni, infatti, Antonio Tajani e Forza Italia sono stati ininfluenti.

Asfaltati.

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte (Foto Sara Minelli / Imagoeconomica)

Ha cercato in tutti i modi di far vedere che decideva lui, ma tutti hanno capito che non determina nulla all’interno del Movimento Cinque Stelle. Quando Enrico Letta ha optato per la scelta di non ritirare la scheda sul voto per la Casellati è apparso chiaro che lo aveva fatto perché non si fidava dei Cinque Stelle nel segreto dell’urna.

Il segretario del Pd aveva ragione, perché qualche ora dopo Matteo Salvini da una parte e Giuseppe Conte dall’altra annunciavano, pur non pronunciando il nome, la possibile candidatura di Elisabetta Belloni. A quel punto Luigi Di Maio è andato su tutte le furie perché nei giorni precedenti aveva detto: “Elisabetta è mia sorella, non provate a bruciarla”.

Giuseppe Conte voleva le elezioni anticipate, ma non è riuscito a mettere in piedi uno straccio di strategia. Davanti alle telecamere le solite dichiarazioni politicamente vuote che non aggiungono e non tolgono nulla. Il Movimento Cinque Stelle, prima forza parlamentare del Paese, è rimasto ancora una volta a guardare. Si è accodato dopo che tutti gli altri aveva già scelto. Adesso Luigi Di Maio cercherà la spallata definitiva a Giuseppe Conte per la leadership anche formale del Movimento.

Un disastro (politico) tira l’altro.