Fischi e fiaschi della XXXVII settimana 2022

Fischi e fiaschi: i fatti centrali ed i protagonisti della XXXVII settimana 2022. Per capire meglio cosa è accaduto e cosa ci attende nei prossimi giorni.

Fischi e fiaschi: i fatti centrali ed i protagonisti della XXXVII settimana 2022. Per capire meglio cosa è accaduto e cosa ci attende nei prossimi giorni.

MARIO DRAGHI

Mario Draghi

Disponibile a fare di nuovo il presidente del consigli? No. Mario Draghi gela tutti. Non aggiunge parola a quella negazione. No, punto. Ha imparato la lezione: quando gli avevano chiesto, sempre in conferenza stampa, se si candidasse a fare il Presidente della Repubblica aveva risposto ‘sono un nonno a disposizione del Paese‘. È bastato per far venire giù tutto. In Italia se vuoi fare una cosa devi dire che non vuoi farla.

Mario Draghi in questi mesi ha preso lezioni da Sergio Mattarella: che addirittura aveva già fatto gli scatoloni, imballato le suppellettili, scelto la casa dove trasferisi una volta lasciato il Quirinale. Per essere sicuro che tutti lo venissero a sapere erano trapelate addirittura le foto mentre discuteva dell’affitto con la proprietaria dell’alloggio. E da ‘ambienti vicini‘ si apprendeva che avesse già versato la caparra. Solo allora lo hanno richiamato di corsa.

Lo stesso fecero con Giorgio Napolitano, richiamato mentre era in macchina ed andava via.

La mossa è doppiamente intelligente. Perché in questo modo si toglie di dosso l’etichetta che hanno provato ad appiccicargli Matteo Renzi e Carlo Calenda. Dicendo: se volete Draghi premier votate noi. Il fatto è che Draghi è Draghi perché è Draghi e non perché lo dicono Calenda e Renzi; e per continuare ad essere Draghi ha bisogno che né Calenda né Renzi né altri gli stiano troppo vicini.

Che ci sia bisogno di un Draghi bis è evidente: la Francia ha annunciato che non ci venderà il gas, lo stesso farà la Germania, mentre l’Algeria s’è rimangiata l’accordo su input parigino. E non lo fanno perché siamo antipatici e brutti. Lo fanno per una mossa intelligente, vincente a causa della nostra stupidità: se loro non ci vendono il gas e noi continuiamo a non produrcelo, la nostra industria è morta. Il collasso è già cominciato. Poi passeranno a comprare le macerie a prezzi da saldo. A quel punto, con cosa si pagheranno i Redditi di Cittadinanza non si sa.

In questo quadro, l’unica via d’uscita internazionale si chiama Mario Draghi. Che, se vuole rendersi disponibile, deve fare solo una cosa: dire di No.

Lezione ben appresa.

BRUNO ASTORRE

Bruno Astorre e Matteo Orfini

I numeri parlano chiaro. Fuori dalla Ciociaria è bastato fare gli indifferenti, trattare la cosa con sufficienza, derubricare tutto ad una faccenda locale dai contorni opachi. Ma nei collegi della provincia di Frosinone la comunità Dem è confusa: frastornata dalle polemiche innescate da un video dopo del quale si è parlato di polizze finora rivelatesi chiacchiere, assunzioni per gli amici smentite dalla presenza della Guardia di Finanza nelle selezioni per i primari, traffici di monnezze inesistenti dal momento che i rifiuti ce li gestiamo in house e senza possibilità di presenze camorriste.

A dire basta alle chiacchiere e scuotere il Partito è stato per primo il Segretario provinciale Luca Fantini: mobilitando tutti ed avviando il tour porta a porta; poi ha rotto il silenzio Mauro Buschini: elencando quelli che ritiene siano i successi del centrosinistra sul territorio (cita ospedali riaperti, sanità risanata, finanziamenti ed opere ai Comuni…) sui quali l’attenzione era stata distratta dal video. (Leggi qui Buschini, tra San Sebastiano ed il portabandiera).

Ora arriva più sostanziosa iniezione di stabilità alla comunità del Partito Democratico. La porta ad una settimana dal voto il Segretario Regionale Bruno Astorre. Ci ha messo la faccia. Venendo a sgomberare il campo dai dubbi e dai veleni interni: lo ha fatto con l’intervento tenuto sabato mattina a Pontecorvo. Dove ha messo in chiaro: nessun trappolone interno, nessun golpe in arrivo. Le voci di un imminente commissariamento della Federazione? «A Luca Fantini va riconosciuto il merito di avere saputo tenere il Partito al riparo da questioni esterne. E di avere lavorato per mettere in evidenza il tanto lavoro compito dal centrosinistra in questi anni sul territorio». Lodi a scena aperta.

L’ex presidente nazionale del Partito Matteo Orfini è candidato sul territorio. «Io e Matteo veniamo da sensibilità diverse. Ma la sua scelta di candidarsi qui è un vantaggio per tutti. Perché un dirigente nazionale e la sua elezione significa che questo territorio è centrale nell’attenzione del Partito».

Il segnale è che il Partito è unito, non è lacerato da nessuno scontro tra bande, l’avversario è il populismo con il sovranismo. Ed i video con le loro poelmiche sono solo un’arma per distrarre.

Primum Vivere.

RICCI, RENNA, RUBERTI

Sonia Ricci con Andrea Renna

I morti strappati via dall’ondata di fango nelle Marche impongono di dare un’occhiata nel giardino di casa. E partire dalla considerazione che lì ci sono state tre alluvioni in sedici anni ma nessuno dei grandi progetti di sistemazione idraulica è stato realizzato; come sempre i fondi ci sono ma nessuno firma niente e scarica la colpa alla burocrazia.

Bisogna avere il coraggio di dire che le Marche ed il Lazio hanno una situazione idrogeologica simile e che tutto il territorio italiano sta così perché nessuno se ne cura. Spesso per paura delle responsabilità: la burocrazia è un pretesto.

Piaccia o no, nel Lazio in questi anni è stata avviata una campagna di grandi opere idrauliche che porta scolpiti tre nomi. Quelli dei vertici dell’Associazione dei Consorzi di Bonifica: Sonia Ricci (presidente) Andrea Renna (direttore). Ma soprattutto un nome che in questo periodo non va di moda: Albino Ruberti. È stato lui a lanciare una sfida a Renna e Ricci che lo stalkerizzavano con la necessità di realizzare i lavori di sistemazione idraulica del Lazio. Ha individuato una serie di fondi Ue in scadenza ed ha detto: “Siete capaci in un anno di fare i progetti, farli approvare, aprire i cantieri, realizzare le opere, rendicontarle nella maniera certosina che richiede l’Europa?

A prescindere dai modi pittoreschi di esprimere le sue arrabbiature, l’allora Capo di Gabinetto della Regione ha sempre avuto una abilità tecnica non comune. Renna e Ricci i progetti li avevano già nei cassetti. In un anno hanno messo in sicurezza Fiumicino (l’aeroporto rischia di finire sott’acqua al minimo temporale e Renna prima di andare a dormire controlla se le idrovore funzionano), aree del Nord e del Sud del Lazio. I temporali tropicali qui si sono abbattuti (non con la potenza eccezionale ed imprevedibile registrata nelle Marche) ma i danni non ci sono stati. E in larga parte è stato merito di quelle opere.

Il clima è diverso.

FLOP

ENZO SALERA

Sergio Messore ed Enzo Salera

Io non mi devo ‘contare’ in base ai voti presi da Sergio Messore. Mi sono contato nel 2019 quando in pochi scommettevano sul nostro progetto ed invece abbiamo vinto le elezioni comunali andando a governare la città di Cassino”.  Che il sindaco di Cassino Enzo Salera sia uno bravo lo dicono i fatti: in due anni e mezzo del suo mandato ha tenuto la squadra unita come non si vedeva da decenni in municipio; i risultati finanziari li ha centrati, al punto che i ministeri l’hanno autorizzato a fare concorsi ed assunzioni; la legge la conosce: fino ad oggi tutte le trappole giudiziarie che hanno tentato di piazzargli sono fallite ed il numero degli scandali sta a zero; i finanziamenti li ottiene, i cantieri li apre. È sul senso della prospettiva politica che dovrebbe lavorare un po’ Che significa? (leggi qui: E ora Salera si smarca da Messore).

Significa che puoi essere un eccellente sindaco anche se non vivi nel terrore dei fantasmi. Coinvolgi e lasci parlare un po’ pure gli altri e magari prendi pure qualcosa di buono da ciò che ti dicono. La rappresentazione plastica di questo limite sta nella sezione cittadina del Pd: solo quando Salera non ha potuto più potuto contenere le richieste di Congresso gli organismi dirigenti sono stati rinnovati; tentando poi di lasciare il Partito come una specie di soprammobile, funzionale alla sua amministrazione; logico che una parte del Pd che vuole il confronto ed il dibattito si sia messa di traverso. Per evitarlo gli sarebbe bastato fare una riunione a settimana, partecipare, ascoltare e poi tracciare la sintesi.

La realtà è che Enzo Salera è tutto sindaco e poco politico: ha una grandissima capacità di pianificazione e di visione amministrativa ma poi si perde nell’ultimo miglio. È quello nel quale mettere tutti insieme, assegnare a ciascuno un ruolo, convincerli a marciare spediti nella stessa direzione a prescindere dalle differenze. Mica erano scemi i segretari del Pci che una volta vinto il Congresso nominavano l’avversario sconfitto come Responsabile della loro Segreteria. Non era inciucio: era collegialità.

Salera non la ha perché teme gli agguati. Vero che in una piazza come Cassino ne ha buone ragioni. Altrettanto vero che i suoi avversari gli danno buoni motivi per dubitare: un caso su tutti, il suo capogruppo Gino Ranaldi una volta eletto in Provincia è stato lasciato senza incarichi. Ma esistono livelli del Partito per compensare queste mancanze.

La sua frase dell’altro giorno, non mi devo contare su Messore è vera e logica sul piano politico. Ma nel pragmatismo saleriano va letta nel senso “I miei avversari vorrebbero fare un paragone sui voti, Sezione per Sezione, Comune per Comune, con i numeri di 5 anni fa, addebitandomi un’eventuale calo. Ma 5 anni fa c’era un quadro politico del tutto diverso ed il parallelo non si può fare”.

Siccome Salera vive in un mondo suo, non si rende conto che quel messaggio, all’esterno, può essere interpretato in modo diverso. Come un voler scaricare l’uomo che lui con forza ha voluto come candidato, accompagnandolo a Roma per firmare e facendosi fotografare con i big nella sede del Nazareno. In realtà intendeva dire altro. E con un chiaro senso politico.

Se si rendesse conto che oltre il suo mondo ne esiste un’infinità di altri con i quali entrare in contatto e contaminarsi, sarebbe completo. Invece gli piace essere tutto sindaco.

Lo sostengo ma non mi conto.

MATTEO RENZI e GIUSEPPE CONTE

Foto: Sara Minelli / Imagoeconomica

La sfida lanciata da Giuseppe Conte a Matteo Renzi è il marchio di quanto sia approssimata, superficiale e scaduta la politica italiana. Nemmeno dai palchi della destra più radicale si è mai sentito un tale esercizio di bullismo, mai c’è stata una tale sintonia con il linguaggio mafioso.

Si possono avere idee differenti. Si può pensare che l’Italia sia un Paese basato sul lavoro e quindi i soldi vadano impiegati per creare posti e stipendi con cui dare dignità alle persone; altrettanto è legittimo pensare che l’Iitalia debba essere un Paese basato sul reddito. Poi però se qualcuno ti fa notare che le fabbriche stanno chiudendo, che il reddito non c’è più chi lo finanzi, devi rispondere argomentando: non puoi dire vieni qui senza scorta.

Dal suo punto di vista, Conte ha messo a segno una mossa eccezionale: ha restituito l’immagine del difensore del Reddito contro quelli che invece vogliono mandarti a lavorare per farti guadagnare più o meno la stessa somma. Gli porterà voti, tanti. Ma se il prezzo di questi voti deve essere la prepotenza, il bullismo, la violenza fisica, allora deve essere chiaro che è questo il Paese che si vuole costruire: quello nel quale non vige la legge dello stato ma la legge di chi è più bullo.

Matteo Renzi ha fatto benissimo a gridare allo scandalo ed all’aggressione fisica, denunciando lo stile mafioso. Ma in quanto a bullismo non ha molti margini di spazio: è lui ad averlo introdotto in una politica che aveva bisogno di una profonda revisione più che di una rottamazione. Proprio per questo, non può contestare a Conte il bullismo verbale. Semmai può rivendicarne il copyright.

MATTEO SALVINI

Salvini e Meloni

Inutile girarci attorno: Giorgia Meloni gli sta portando via pure il midollo politico, i voti di Fratelli d’Italia sono quelli del centrodestra, sottratti agli alleati. Una volta si chiamava fagocitazione.

Il tentativo di Matteo Salvini per avere una visibilità ed un’identità nella quale tenere uniti i suoi elettori storici, lo hanno portato pericolosamente troppo ad Est. È evidente che stiano tutti in quello sbilanciamento i segnali nascosti nei messaggi che stanno arrivando dagli Usa e dall’Ue: con gente che ha troppo in simpatia Vladimir Putin non hanno intenzione di starci.

Perché quella in atto non è una guerra tra Russia ed Ucraina ma tra Russia ed occidente. Dove le bombe sulle nostre fabbriche non vengono lanciate né da cannoni né da mortai ma chiudendo i rubinetti del gas. Ed i segnali che arrivano dalla Finanza mondiale (quella che ha in mano buona parte delle cambiali con il nostro debito) sono chiari: non è nemmeno pensabile cambiare fronte, né chiedere sconti.

Per questo, giocare la carta dell’Est, può rivelarsi un gioco in prospettiva rischioso.

Nord Est si. Est no