I fondi di Amatrice come quelli del Viadotto Biondi

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Amatrice e le sue sorelle di macerie sono venute giù per due motivi. Il primo: c’è stato un terremoto di intensità e potenza storiche al punto da sgretolare pure Porta Carbonara che aveva resistito a tutti i sismi dal XIII secolo in poi. Il secondo: nel Lazio come in tutto il resto d’Italia i fondi, per le cose serie e pure quelle meno importanti, vengono concepiti tutti in maniera pittoresca. Se poi finiscano pure per essere gestiti dalle mani sbagliate è altro discorso.

La storia dei fondi con cui impedire il crollo dei palazzi pubblici di Amatrice merita di essere raccontata. E’ lo specchio di quello che è accaduto quasi dovunque nel Paese ed è la sintesi di quello che succede ancora adesso quasi tutti i giorni.

Dopo i sismi a L’Aquila ed in Umbria c’è paura e i cittadini vogliono essere rassicurati. Nessuno ha il coraggio di dirgli che almeno l’80 per cento del patrimonio edilizio nazionale (quindi, con molta probabilità, anche la casa in cui voi abitate) è stato edificato da più di vent’anni. E quindi è stato tirato su in base a principi e norme anti sismiche in molti casi rivelatisi superati. Bisogna rassicurare: allora il Governo (a prescindere dal colore politico) stanzia dei fondi con cui finanziare almeno l’adeguamento antisismico degli edifici strategici, cioè quelli che devono restare in piedi anche se arriva una scossa, potentissima perché è da lì che si devono coordinare i soccorsi. Sparato l’annuncio sui giornali e le tv si iniziano a fare due conti: i soldi non bastano. Che si fa? vabbé la paura è passata, invece di fare l’adeguamento‘ facciamo delle ‘migliorie‘. La differenza è che con l’adeguamento devi rendere incrollabile la struttura (ed ha un costo), con le migliorie inizi a fare qualcosa (e costa molto meno) in attesa che ci siano tempi migliori e più soldi. Così si scopre che per il tetto del campanile sono stati stanziati 63 euro per fare appena 12 buchi nei quali iniettare la malta su una superficie di 250 metri quadri; e 223 euro in tutto di malta, anche priva di cemento e sali solubili, perché così volle la Soprintendenza per tutelare il bene storico.

Non è tutto. Siccome i soldi non bastano lo stesso e in questo Paese nessuno ha mai avuto le spalle abbastanza larghe per prendere una decisione, si ricorre ad un’altra soluzione ancora: si distribuiscono i fondi a pioggia. In pratica, invece di dire ‘quest’anno iniziamo da qui e l’anno prossimo facciamo quest’altro‘ per non avere storie si concedono i fondi a tutti, ma solo una parte: il resto ce lo deve mettere o il Comune o la Provincia. In pratica il finanziamento diventa un contributo.

Se quel contributo sia la metà, tre quarti o solo un quarto dell’opera ha poca importanza. Perché nello stesso tempo lo Stato ha tagliato quasi tutti i soldi che prima girava a Comuni e Province. Le quali si sono ritrovate le casse vuote e senza i soldi da poter mettere per finanziare i lavori.

In questo gioco a poker sui mattoni e la vita della gente c’è stato qualche Comune e qualche provincia che ha detto ‘vedo’ ed ha messo i soldi: ha dovuto anticipare tutto e non solo la sua quota. Perché? Una cosa è stanziare ed altra erogare: i fondi vengono ‘stanziati’ cioè il Governo (nazionale, regionale, provinciale quando c’erano) dice ‘Ti darò questo soldi per fare quest’opera’; ma non li ha e prima che possa erogarli (cioè versarli sul conto) passano in media tre o quattro anni. Bisogna diventare bravi a fare i collage: così ad Amatrice (ma accade spesso dove si voglia fare un’opera pubblica) hanno messo insieme il finanziamento Cipe del 2010, i soldi della Regione Lazio, lo stanziamento del 2004 per la messa in sicurezza delle scuole, più quelli di un bando provinciale.

E tutto, come ha ricordato Fabio Melilli, già presidente della Provincia di Rieti, oggi deputato e segretario regionale del Pd del Lazio, solo per adeguare e rattoppare. Lo prevedeva la norma: “I commissari predispongono un piano per gli interventi urgenti volti al ripristino delle infrastrutture, del patrimonio culturale, degli edifici pubblici”. La parola chiave insomma è questa: ripristino». Non adeguamento.

E’ così che è andata pure per il Viadotto Biondi a Frosinone. Venne già la collina una prima volta, il senatore Angelo Picano ottenne lo stanziamento della somma necessaria per la messa in sicurezza della collina sulla quale passa la strada fondamentale per collegare una parte del capoluogo all’altra. Lo stanziamento venne diviso su più annualità: in attesa dell’erogazione venne decurtato e poi le altre annualità vennero cancellate. Finì che venne fatto solo il ripristino. Infatti, dopo qualche anno, il viadotto è venuto giù di nuovo.

Ma è così che funziona. Un po’ per ciascuno, così accontentiamo tutti. E se succede qualcosa piangono tutti.