Formidabile quel Sessantotto (di P. Pelloni)

Il Sessantotto, raccontato da Pino Pelloni. L'ideatore e direttore di Fiuggi PlateaEuropa. Che nella città delle terme ha commemorato i cinquant'anni da quella data spartiacque. Come nacque tutto. Come si sviluppò. Cosa portò.

di Pino Pelloni
Direttore di
Fiuggi PlateaEuropa

 

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Raccontare il ’68 senza suscitare un senso di noia e di già visto non è facile. Ricordarlo dopo mezzo secolo per quello che ha rappresentato, soprattutto trovando credito nei propri personali ricordi, ci si prova. Darne un giudizio… è altra cosa.

 

Il ’68 è stato principalmente un avvenimento che ha coinvolto numerosi Paesi differenti per storia e cultura e per appartenenze geopolitiche.

Una ribellione che, partita dagli studenti, ha finito per coinvolgere in seguito anche altri settori della società, mettendo in discussione le gerarchie politiche e i centri di potere.

Una grande presa di parola che ha modificato i processi di modernizzazione, il costume e la cultura delle società coinvolte.

 

Cinquant’anni non sono poca cosa.

Era di maggio, il maggio di cinquant’anni fa, e l’aria di Parigi cominciò ad essere impregnata dall’odore dei lacrimogeni e ad essere attraversata dagli umori della lotta studentesca per motivi che sarebbe stato difficile definire politici.

Tutto cominciò perché gli studenti del distretto universitario di Nanterre, capeggiati da un giovane di origine tedesca, Daniel Cohn-Bendit, accolsero a fischi un ministro e presero a protestare contro la divisione delle stanze maschili da quelle femminili del quartiere studentesco.

Fu la scintilla che diventò incendio e infiammò Parigi per venti memorabili giorni. Fu l’inizio di una battaglia che gli studenti combatterono come fosse stata una guerra, convinti che portasse a una rivoluzione. E, sia pure per venti giorni, fu davvero rivoluzione, con le barricate al Quartiere Latino.

 

In pochi giorni, il gran calderone che mescolava marxismo, situazionismo, culture pop e hippy, terzomondismo ed altro ancora trovò una sua sintesi nell’idea di una società nuova, la società dell’immaginazione al potere.

E questa idea dalla cartesiana Francia viaggiò per tutta l’Europa, Italia compresa. Pervase le arti, il costume, il privato in una sorta di “psicodramma collettivo” per usare le parole di Raymond Aron.

Così oggi, a mezzo secolo di distanza, stanno per ritornare come esercizio di nostalgia le celebrazioni e le giaculatorie bio-editorial-giornalistico-televisive come una grande svendita di fine stagione.

 

Non ci rimane che chiudere gli occhi e rivedere alla moviola della memoria il film di quei giorni. “Fate l’amore, non fate la guerra”… cantano gli attori del musical del sereno permissivismo “Hair”, tra misticismo e figli dei fiori mentre la voce di Joan Baez e Bob Dylan fa da colonna sonora alla protesta.

I giornali ci raccontavano battaglie civili e di libertà: il sogno infranto di Martin Luther King, la poesia-contro di Pasolini, la Grecia dei Colonnelli e la tragedia del Vietnam. Gli scontri di Valle Giulia a Roma e le polemiche ardenti al Festival di Cannes e alla Mostra del cinema di Venezia. Il referendum per il divorzio, l’impegno politico di Dario Fo, le gesta avanguardistiche di Carmelo Bene e l’America di “Easy Rider” e la famigia violata del “Teorema” di Pasolini, i sogni avveniristici di “2001: Odissea nello spazio”. I Beatles e i Rolling Stones, Marcuse e la minigonna di Mary Quant, i pantaloni a fiori, il topless.

 

Formidabili quegli anni! Si sdoganò la sessualità repressa e il mondo cambiò.

Improvvisamente tutto fu possibile. Le donne presero coscienza del proprio corpo e il femminismo difese scelte coraggiose. Cambiarono i rapporti fra i sessi. L’uomo-padrone vide vacillare il suo fragile regno. E la donna conquistò posizioni nuove, in seno alla società e alla famiglia.

Con il divorzio e l’aborto legalizzati spariva un mondo arcaico e un modo di pensare che faceva a cazzotti con il nuovo. Finalmente libere in casa e in chiesa. Soprattutto in camera da letto. Le madri guardavano le figlie imporsi in una società da sempre maschilista e trovarono una loro rivalsa.

I giorni si tinsero di rosa mentre il mondo diventava sempre più piccolo. E uno slogan gridato a Roma rimbalzava a Berlino, Parigi, Berkeley.

 

Oggi ci vien di dare ragione a Ionesco: i rivoluzionari di trent’anni fa si sono seduti, e i loro figli hanno accettato del loro messaggio solo quel che riguarda l’importanza della “qualità della vita”.

Senza essere imprigionati in un “come eravamo” che può confondere nostalgia per la propria giovinezza con l’oggettività dell’analisi, ricordare il ’68 può aiutarci a ritrovare il senso di un capacità di ribellione che oggi sembra perduta ma a cui tutta la società attuale deve qualcosa.

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