Forza Italia stava male da prima che stesse male il Cav

Il problema genetico di Forza Italia è sempre stato il vicariato. Una successione che non ci sarà. Perché il Partito è legato in maniera inscindibile al suo fondatore. Allora cosa accadrà ora a Forza Italia?

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

In casa azzurra il problema è sempre stato quello del vicariato. Il dato è ovvio dalla genesi. Ma non era mai diventato un problema perché in tutte le monarchie illuminate il grado di percezione del caos aumenta di pari passo con l’incedere di anagrafe ed acciacchi del sovrano. Mai prima. Questo accade perché da un lato c’è il timore di delfini inadeguati, dall’altro c’è l’entropia che di solito nasce quando il “trono” appare vuoto e le prospettive logiche dicono che vuoto resterà.

E il seggiolone di comando di Forza Italia, piaccia o meno, è destinato a restare vuoto a prescindere da come evolverà la situazione clinica di Silvio Berlusconi. Questo è un fatto che neanche la mistica ottimista dei vertici azzurri nella comunicazione di questi giorni riuscirà a cancellare.

Dove andrà Forza Italia

Silvio Berlusconi (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

Ovvio quindi che i problemi non siano solo quelli, legittimi, sacrosanti e condivisibili, di augurare al Cav di farcela a tutto tondo nella sua lotta contro la leucemia. Il problema altrettanto serio in chiave politica è provare a capire dove andrà Forza Italia in un dopo Berlusconi che prescinde dalla ecumenica letizia di venire a sapere che lo stesso resterà vivo, vegeto e frizzante.

Preambolo scomodo: il leader azzurro ha 86 anni, ha una neoplasia blanda che però non è roba da Tachipirina. Ed aveva iniziato a “scarrocciare” già da un anno e passa perché i vecchi hanno una loro visione del mondo in cui se erano già cesaristi diventano tali ma al cubo. Non serve un elenco e giova ricordare che non tutto quello che Berlusconi ha fatto o detto negli ultimi nove mesi rispondeva a sottili esigenze tattiche da vecchio saggio. Bastava togliere il saggio a prescindere per capire.

Poco prima di star male Berlusconi aveva rivoluzionato il Partito in modalità testuggine romana e si era ripreso alcuni vecchi nomi fiduciari. Primo fra tutti il proconsole Paolo Barelli (al posto nel neutro Cattaneo spedito in quota Bernini) a sua volta pretoriano di ferro di Antonio Tajani. Licia Ronzulli, che sta a Berlusconi come le corde vocali stanno alla gola, era rimasta al Senato ma aveva perso il coordinamento in Lombardia, che di Forza Italia è la “Betlemme”. Che cosa aveva significato quel “serrate i ranghi”?

Il ring sotto il balcone

Silvio Berlusconi © Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica

Che ben prima della malattia sotto il balcone di Arcore c’era un ring. E che agli angoli c’erano i filogovernisti di Tajani che guatavano la componente ronzulliana, che è ortodossa sul carisma ma tanto fanatica da non escludere regicidi se solo “il re” non si fosse tenuto la corte. Tutto questo con un problema in più: lo statuto di Forza Italia dice che per modificare lo stesso serve un Congresso. Chi lo ha detto? L’amministratore nazionale del Partito, Alfredo Messina, che è anche capo flabelliere e depositario del simbolo.

E chi lo vuole un Congresso azzurro? A parole nessuno perché auspicarlo significherebbe avallare la necessità di una successione. E dirlo ai giornalisti porta male. Nell’intimo quasi tutti, visto che non solo c’è il rischio che la situazione precipiti (e facciamo tutti gli scongiuri) ma il dato per cui è già precipitata. Perché? Perché solo gli illusi e gli imbalsamatori di seconda fila non colgono quello che i medici del San Raffaele, Zangrillo in primis, vanno dicendo da giorni.

Che Silvio Berlusconi sta meglio e reagisce bene, ma un suo ritorno alla guida del Partito, a parte spottoni tattici da poche settimane, è praticamente da escludersi. Anche a fare la tara alla mistica pubblicistica del leader di ferro “che ne ha passate di ben peggiori”. No, una cosa peggiore di questa, per situazione, contingenza ed esito, il Cav non l’ha mai passata. E di riflesso una situazione come questa Forza Italia non l’ha mai vissuta. Perché una cosa è il senziente ed auspicabile ritorno alla quotidianità, altra cosa è il timone politico di un partito che gioca su scacchieri come la Nato, il Pnrr e il governo assieme alle “young guns” leghiste e soprattutto meloniane.

I parafulmine per Forza Italia

Silvio Berlusconi (Foto Sergio Oliverio / Imagoeconomica)

Il dato per cui quindi le “speculazioni” sul futuro azzurro e l’analisi sui rapporti sfilacciati fra le due componenti senza più mastice siano solo fuffa per riempire colonne o blocchi è una panzana grossa come una casa. È il classico modo per usare i giornalisti come parafulmine sci-fi.

Forza Italia è a un bivio perché per la prima volta nella sua storia si sta confrontando con quello per cui Forza Italia era nata ed aveva prosperato in genesi di leaderismo: la assoluta assenza di una linea di successione e la mancata e voluta incubazione di un carisma che ne fosse ereditario.

Succede quando ti scegli un capo che sia più delle idee che vuoi diffondere o totem unico delle stesse. Che le idee cioè o cambino o migrino in altri posti. Posti dove c’è già chi, da galantuomo fa gli scongiuri per il Cav, ma da politico si frega le mani aspettando la diaspora.