Franco Battiato, il re del mondo ad Anagni

Franco Battiato ed il suo concerto ad Anagni. Il 'trucco' per convincerlo. La cena dopo il concerto. E l'incontro con un sindaco che conosceva Guenon e Gurdjieff. Ecco perché 'Il Re del Mondo'

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Strano come il rombo degli aerei
da caccia un tempo,
stonasse con il ritmo delle piante
al sole sui balconi…
e poi silenzio… e poi, lontano
il tuono dei cannoni; a freddo…
e dalle radio dei segnali in codice.
Un giorno in cielo, fuochi di Bengala…
la Pace ritornò
ma il Re del Mondo,
ci tiene prigioniero il Cuore.
Nei vestiti bianchi a ruota…
Echi delle Danze Sufi…
Nelle metro giapponesi, oggi,
macchine d’Ossigeno.
Più diventa tutto inutile
e più credi che sia vero
e il giorno della Fine
non ti servirà l’Inglese.
…E sulle Biciclette verso Casa,
la Vita ci sfiorò
ma il Re del Mondo
ci tiene prigioniero il Cuore.

Sulla grandezza musicale di Franco Battiato artista unico ed inimitabile scomparso in settimana fa hanno scritto molto in questi giorni con competenza, passione e gusto. Rimpiangendo quello che io consideravo il miglior artista italiano contemporaneo, ripercorrendone la vita e citando fiumi di canzoni ognuno con il proprio verso preferito, illuminante e denso di significato.

A me piace oggi fare una cosa più semplice e banale ricordarlo per quelle poche ore in cui abbiamo condiviso lo stesso tempo e lo stesso spazio. Un privilegio che con il proprio artista preferito non è riservato a tutti.

Anche se quell’incontro non ebbe niente di casuale. Lo volli fortemente. Adoravo Battiato e la sua originalità sin da ragazzino. Il primo album che comprai era “La voce del padrone” alle scuole medie. Meraviglioso, da li in poi li comprai tutti.

La spiritualità dello schiaffo

Franco Fiorito e Franco Battiato

Correva il 2003 ed erano esattamente 700 anni dallo schiaffo di Anagni. L’avvenimento che più di tutti ha caratterizzato la storia della nostra città ed indirettamente, con il più forte scontro che la storia abbia mai visto tra potere temporale e spirituale, tutta la civiltà occidentale.

Nel programma di celebrazioni era previsto un grande concerto e, seppur fosse un avvenimento che aveva segnato per sempre la storia della civiltà cattolica, per il suo intenso significato simbolico era uno scontro sulla spiritualità. E su questo contai per convincere Battiato. Sulla celebrazione della spiritualità. 

Chi pensa che i cantanti che hanno già raggiunto certa fama vengano facilmente a cantare in celebrazioni di piazza sbagliano. Con Gigi D’Alessio e Antonello Venditti percorremmo la via delle amicizie con concittadini ciociari che li conoscevano bene Pierluigi Germini e Gianluca Giudici. I Pooh invece  letteralmente li truffammo dicendo che era un concerto a pagamento, salvo poi avvisarli qualche minuto prima che per motivi di sicurezza avevamo dovuto aprire le piazza. Loro sorrisero capendo subito. Il loro manager non la prese bene urlando per tutto il resto della serata che ci avrebbe fatto causa.

Con Battiato fu ancora più complicato perché il manager ci oppose subito un fermo e risoluto no. Fu così che già un anno prima iniziò un lavorio diplomatico fatto di documentazione sullo schiaffo, sulla città e sulle intenzioni di questa celebrazione.

Alcuni mesi prima fummo invitati io e Gianluca al concerto di apertura del suo tour all’arena di Verona per avere occasione di spiegare al maestro, che in realtà odiava farsi chiamare maestro, il progetto del concerto celebrativo dello schiaffo di Anagni.

La mosca nel bicchiere

Franco Battiato (Foto: Ale3me)

E così incontrai per la prima volta di persona Battiato nel backstage dell’arena di Verona pieno di fogli su Anagni e lo schiaffo, determinato a convincerlo a venire. E dopo anni di canzoni testi e libri ascoltati e letti sfoderai tutte la armi di cui ero in possesso per convincerlo. Lui partì subito dicendo freddo che non era cattolico e non si sarebbe sentito a suo agio ma io giocai subito l’asso spiegando sinteticamente la nostra visione.

Che seppure lo schiaffo di Anagni era un avvenimento incentrato sul campo religioso, sulla figura di Bonifacio ottavo, non era solo un avvenimento della storia della chiesa ma di tutta la cultura moderna perché non parlava di contrasti ecclesiastici ma della  guerra tra il potere temporale e spirituale, laddove con la forza prevalse, ma solo provvisoriamente il primo. E dunque lo schiaffo era il più alto e violento contrasto sulla spiritualità della storia. Il centro della questione era la spiritualità non la religione.

E anni di ascolti appassionati funzionarono perché nella chiave spirituale l’idea lo convinse e seppur stanco del concerto appena terminato annuì definitivamente dandoci appuntamento a qualche mese dopo. Per la felicità nostra e del suo manager.

Fu un incontro di pochi minuti che ricordo con un affetto particolare per un piccolo divertente accenno di umanità. Il concerto aveva un allestimento molto scarno, l’orchestra intorno, ed un tappeto orientale al centro leggermente rialzato su cui giaceva solo una bottiglia di acqua ed un bicchiere.

Ad un certo punto della serata in pieno concerto si interrompe dopo aver bevuto un sorso d’acqua, chiede scusa e dice sorpreso. Scusate ho ingoiato una mosca che era caduta nel bicchiere. E scoppia in una fragorosa risata seguita dall’applauso del pubblico.

Quando lo incontrammo finito il concerto ci guardò e ci disse con quello sguardo un po’ allampanato “avete visto ho mangiato una mosca dal bicchiere. Non è tanto per la mosca disse. Ma io sono vegetariano aggiunse.” e rise di nuovo. E noi con lui.

Battiato senza collocazione politica

Franco Battiato (Foto Cerroni / Imagoeconomica)

Ed il giorno dello schiaffo e di quel concerto venne e fu un concerto meraviglioso senza dubbio il più bello ed il più partecipato nella storia della nostra bella città. Un mare di persone affollava il centro storico altrettante non riuscivano ad entrare. Un amore incondizionato quello di Battiato con i suoi ammiratori. Pervicace, convinto e viscerale. La sua musica i suoi testi o li detesti o te ne innamori.

In Italia o si è Pertini o si è Battiato“, disse un giorno Giorgio Gaber. Solo che Franco Battiato non si è mai fatto classificare, e qui sta la sua bellezza e la sua eternità. È sempre stato semplicemente “un cantante“, come amava definirsi, sfuggendo alle rubricazioni dell’Italia ideologica. Diceva “Vamos a la plaja è un capolavoro”, ma allo stesso tempo non si faceva fotografare da Sorrisi e canzoni.

 “Marx entra ed esce dai dischi caldi, ma non riesce mai a piazzarsi fra i primi dieci“, diceva, dopodiché a Catania si schierò senza esitazioni contro il candidato di Silvio Berlusconi, il sindaco Umberto Scapagnini, che i catanesi con feroce ironia avevano ribattezzato “Sciampagnini“. Fu un mito per certa destra ma finì per qualche settimana a fare l’assessore con Crocetta alla regione Sicilia per poi fuggirne rapido.

Tutti hanno cercato di collocarlo politicamente ma senza riuscirci perché era incollocabile. Anche io cercai goffamente di affrontare l’argomento e mi rispose con una frase che poi usò spesso. “Né destra né sinistra ma in alto”. E me lo disse con una serenità talmente distaccata che non ebbi paura a crederci immediatamente.

La cena e la visita ad Anagni

La cena dopo il concerto ad Anagni

Tante volte incontrando artisti o persone famose ricevi un senso di delusione rispetto all’opinione che ti sei fatto. A me è capitato quasi sempre. Con Battiato no. Quelle ore trascorse in città me ne hanno restituito un’immagine diversa da quella che mi aspettavo, ma migliore.

Una persona realmente colta, umile umana disponibile. Si alzò dalla cena per firmare autografi  senza nemmeno una smorfia quando tutti gli artisti odiano farlo. Volle visitare la città e la cripta della cattedrale. Ne rimase innamorato. Volle cenare insieme e conversammo amabilmente su prospettive inaspettate.

Eravamo seduti al ristorante del Gallo, dove storicamente fanno tappa tutti gli artisti, e la conversazione tra amenità varie andò a finire su Renè Guenon. Uno dei miei autori preferiti e certamente anche di Battiato che non ha esitato a dare il nome di un suo libro come titolo alla meravigliosa canzone “Il re del mondo” ed a citarlo in “Magic shop” cantando in un verso “l’esoterismo di Renè Guenon”.

Diciamoci la verità la cosa lo sorprese perché è un autore non noto al grande pubblico. Io stesso lo andavo a comprare a Roma nella libreria Europa, l’unica dichiaratamente di destra nella capitale, nelle Edizioni Mediterranee, le rare volte che la librerie non l’avevano incendiata. Poi Adelphi pubblicò quasi tutta la bibliografia e lo rese più conosciuto e fruibile al grande pubblico.

E così tra un piatto vegetariano ed un altro, vero sacrilegio per il ristorante che sforna il famoso timballo alla Bonifacio ottavo, la discussione si incamminò sul concetto di tradizione di Guenon e sul saggio su “l’esoterismo di Dante” dello stesso autore. Argomento che rese ancora più attuale il legame tra la storia anagnina e l’avvenimento celebrato. Fu uno dei dialoghi più belli mai fatti in vita mia, per lo più lo ascoltavo sereno spiegarmi la sua visione, felice di avere trovato chi apprezzasse i riferimenti culturali della sua musica.

Il Re del Mondo

Foto: rabendeviaregia

Che poi io penso seriamente che “Il re del mondo” e “La crisi del mondo moderno” di Guenon dovrebbero trovare spazio in tutte le librerie che si rispettino, ma lo condividono in pochi.

Ad un certo punto ex abrupto gli chiesi se il maestro citato in “prospettiva Nevskij” fosse Gurdjieff e lui mi guardò stupito e replicò “molti apprezzano le mie canzoni ma non ne conoscono il vero significato” e mi fece i complimenti. Mi lusingò, ma non ebbi necessità di studiare le sue canzoni per quell’incontro tanto le conoscessi ed ascoltassi già da sempre.

E quelle ore passarono con un piacere ed una velocità  inusitati per lasciare spazio poi al concerto che fu meraviglioso. Ricordo la piazza saltare nel medley finale, temevo crollasse la piazza, era così piena di gente e di gioia che non sarebbe passato nemmeno uno spillo.

E con quel concerto terminò quel felice incontro con un uomo dai tanti volti e dai tanti dei. Un uomo realmente spirituale. Ma umano, normale, gentile modesto.

Battiato come Empedocle

Franco Battiato era certamente caro a più di un dio. Probabilmente a tutti, perché tutti onorava. Come Empedocle, suo conterraneo, aveva vissuto molte vite. Era stato donna e prete di campagna, mercenario e padre di famiglia. E ragazzo e ragazza, pesce muto che guizza dal mare, uccello che vola nello spazio tra le nuvole con le regole assegnate a questa parte di universo. Ma restava una splendida persona.

Franco Battiato (Foto: Massimiliano Maugeri / Imagoeconomica)

Quando ho dovuto scegliere una frase per celebrare la sua dipartita ne avrei potute scegliere cento ma ho propeso per il verso di prospettiva Nevskij che diceva “e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire” che è stato il mio mantra nei momenti più difficili della mia vita.

E quando ho dovuto scegliere un titolo per questo articolo ho scelto “Il re del mondoper quello che vi ho raccontato, per il titolo mutuato da Guenon e per quel dialogo anagnino. Perché è una canzone straordinaria e perché Battiato senza volerlo il re del mondo, almeno musicale, e forse non solo, certamente lo è stato.

Lo dovremmo ricordare più spesso in questo universo di cultura banalizzata ed americanizzata dove la spiritualità, la tradizione, il confronto fra le culture è sovrastato dal nulla.

E chissà se anche lui avrà ricordato in quel momento che “più diventa tutto inutile più credi che sia vero e il giorno della fine non ti servirà l’inglese…”.

(Leggi qui tutti gli articoli di Franco Fiorito).

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