L’ultima beffa di Franco Bonan, il signore della Cronaca (di A. Porcu)

La morte di Franco Bonan, antico signore della Cronaca Nera. Le MS fumate in continuazione al punto che a Il Tempo lo confinarono in uno sgabuzzino. Una vita a passare il confine tra guardie e ladri. I segreti custoditi fino alla fine. E la beffa dell'ultima 'buca' rifilata ad uno dei suoi allievi

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Per i giornalisti il “buco” è un incubo. Come il cappello a cono con le orecchie da asino. O la maestra che ti metteva dietro alla lavagna. Niente a che vedere con i crateri che si sono aperti nelle strade di Roma e stanno togliendo il sonno alla sindaca Virginia Raggi. Il “buco” è la notizia che un giornale concorrente ha in pagina mentre il tuo no perché tu non sei stato bravo a scovarla.

Franco Bonan non prendeva buchi. Li scavava nelle pagine degli altri giornali. Lo faceva dallo sgabuzzino nel quale lo avevano relegato nella mitica redazione de Il Tempo in piazza De Matthaeis a Frosinone.

Gianluca De Luca lo aveva sistemato all’ingresso, in un ripostiglio proprio accanto alla porta principale sempre aperta, con il freddo che saliva dalle scale sia in inverno che in estate. Era l’unico modo per non morire intossicati dalle MS morbide (ma solo di nome) che fumava in maniera tanto accanita che spesso se ne ritrovava due accese contemporaneamente sul posacenere. Le riproduzioni dei disegni di Michelangelo che erano sulle pareti erano talmente ingiallite dalla nicotina da sembrare originali del maestro Buonarroti.

Gianluca era il mitico caposervizio che faceva da pilastro a quell’eroica redazione, pronta a difendere con le unghie ed i denti le 3mila copie vendute ogni giorno e minacciate dalla nascita di Ciociaria Oggi. E Franco Bonan era il signore indiscusso della Cronaca Nera. Le notizie non potevano sfuggirgli. Sembrava che i fatti passassero da lui prima di accadere.

Erano gli anni in cui i computer non erano ancora arrivati nelle redazioni. Si scriveva a macchina su fogli con le righe rosse ed i bordi dopo 80 caratteri: ventiquattro righe da ottanta battute equivalevano ad una cartella. Cioè una notizia collocata più o meno a metà pagina e pagata ai collaboratori dalle 5mila alle 8mila lire.

Quando Gianluca presentava Franco a qualcuno dei giovani aspiranti cronisti, si avviava verso l’ingresso, come se volesse mettere alla porta quello sciagurato che s’era permesso di chiedere l’ingresso nell’Olimpo (a quel tempo i Giornalisti Professionisti in provincia di Frosinone si contavano sulle dita di una sola mano). Invece si fermava un passo prima del pianerottolo, apriva la porta dello sgabuzzino e tra le nuvole di fumo azzurrognolo delle MS aspirate in continuazione, indicava la figura di spalle in fondo: «Quello è Franco Bonan, se si gira e ti vede ti saluta. Se si gira di nuovo e vede che lo stai ancora guardando, pensa che ce l’hai con lui. Se proprio vuoi fare il cronista… auguri».

Il Giornalismo non è una professione. È un mestiere che si ruba a chi lo sa fare, un poco alla volta e giorno dopo giorno. In quattro anni Franco Bonan si lasciò rubare tanti segreti del mestiere. Parlava con i delinquenti e con i carabinieri. E mai a nessuno ha passato le informazioni avute dall’altro. Frequentava i due mondi, scavalcava spesso i confini, con un solo obiettivo: avere un solo dettaglio in più che gli permettesse di riuscire a capire tutto.

Geografie criminali, alleanze, regole non scritte, stili di briganti, papponi e assassini li conosceva tutti. Riconosceva i rapinatori dal modo in cui portavano a segno il colpo, intuiva come si fossero svolti gli omicidi solo da piccoli dettagli. Ormai era arrivato a prevedere quando e dove avrebbero colpito i rapinatori che negli anni Novanta assaltavano i furgoni blindati portavalori della Brink’s piazzando i candelotti di dinamite accesi sul cofano del motore.

Sapere troppe cose consente di scriverne in maniera più precisa. Il che gli permetteva di smontare molte bugie che le versioni ufficiali tentavano di rifilargli. E questo non lo rendeva simpatico a tutti. Un primario, in quegli anni, nel presentare ad un corrispondente il nuovo macchinario acquistato per il Pronto Soccorso e capace di salvare le vite, disse “Sappia che quell’attrezzo, se qui dovesse entrare Bonan, è come se non esistesse“.

Poi vennero gli anni de Il Quotidiano: esperienza che durò pochi mesi ma che lo vide formidabile direttore, capace di individuare i giovani più promettenti. E poi Ciociaria Oggi, per rilanciare le pagine della sua Ceccano.

Se nei tanti anni di Cronaca Nera e Giudiziaria ho evitato i buchi lo devo a Franco Bonan ed al suo ‘metodo’ di lavoro: mediano di fatica e non punta opportunista.

La prima buca dopo tanti anni di professione me l’ha fatta prendere lui: con la sua morte. Scoperta con un mese e mezzo di ritardo e solo per caso: mentre il cellulare era già in mano, pronto a comporre il suo numero per sollecitargli la serie di articoli sui grandi fatti di Cronaca degli anni Ottanta in provincia. Li aveva promessi il 20 gennaio, poi c’erano state le elezioni e la nostra telefonata settimanale, per un po’, era saltata. Se n’è andato una decina di giorni più tardi.

Una beffa. L’ultima. Nel suo stile da toscanaccio d’adozione. Che solo a lui posso perdonare: farmi prendere una buca.