L’insostenibile leggerezza delle dimissioni (di F. Fiorito)

Dalle dimissioni di Papa Celestino V a quelle di Carlo Maria D'Alessandro. Dal trono papale a quello di Uomini e Donne. Le dimissioni sono un atto dirompente: per questo - "una volta annunciate - non si ritirano. Altrimenti la gente non ci crede più".

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Come è legato indissolubilmente il nome di Bonifacio VIII alla mia città, Anagni, così lo è il nome del suo predecessore Celestino V, forse quasi quanto Fumone, nel cui castello trovò la fine dei suoi giorni.

Pier da Morrone, eremita, fu eletto papa col nome di Celestino V. In seguito rinunciò alla Tiara. C’è chi dice su pressione dello stesso cardinale Caetani.
Un gesto che ha fatto storia.

Dante lo pone con ogni probabilità tra gli ignavi dell’Antinferno, indicandolo come “colui che fece per viltade il gran rifiuto”.
Insomma un ignavo ed un vile secondo il Sommo poeta. Tutto per la sua rinuncia, per le sue “dimissioni”.

Il giudizio non cambiò per secoli, tentò, solo in evo recente, Ignazio Silone a riabilitarne l’immagine nel suo libro “L’avventura di un povero Cristiano”.

 

Lodevolmente ma con poche chances, in fondo rimarrà sempre il dantesco Papa del gran rifiuto.

Così le rinunce, le dimissioni, nei secoli fino al giorno d’oggi sono sempre viste come fughe, come un segno di inadeguatezza, di debolezza.

Suscitano barlumi di rispetto solo quando hanno un motivo vero evidente chiaro, qualcosa contro cui con quel gesto si lotta: un’ingiustizia, una trappola, una vendetta, un’illegalità. Quando sono chiare, inequivocabili ma soprattutto irrevocabili.

In tutti gli altri casi sono giudicate con sfumature che variano dalla debolezza personale alla farsa.

In politica poi sono un arte più complessa ed articolata che la sceneggiata napoletana. Generalmente una pantomima che nasconde comunicazioni sempre sottese e mai dichiarate.

Uno strumento che non è un approdo verso un termine certo ma il suo completo contrario: un esorcismo rivolto alla salvezza ed alla personale serenitá.

Insomma quasi mai sono vere. Sono uno strumento di ricatto.

 

Andreotti soleva ripetere “le dimissioni non si annunciano, si danno!” Per sottolinearne,il loro carattere aleatorio ed il loro sfacciato uso ed abuso.

Ecco, caso più unico che raro, il carattere da sceneggiata delle dimissioni trova nell’ordinamento italiano la sua più limpida consacrazione quando autorizza, ad esempio, legalmente il dimissionario sindaco a fare ammuina per venti giorni prima di decidere realmente il destino definitivo di quella dichiarazione.

Insomma come dire le dimissioni dei politici sono in genere talmente false che tanto vale codificarlo per legge.

E questo dice tanto sulla fiducia che la nostra nazione ripone nella parola dei governanti.
Ma che siano vere o no l’unica certezza è che sono sempre un vulnus.

Se reali portano alla fine di un amministrazione.

Se finte, comunque, sempre pongono fine al rapporto di fiducia che si è instaurato tra il sindaco e i propri concittadini.

 

Soprattutto da quando la nuova legge sull’elezione diretta ha posto al centro della questione esattamente questo. La fiducia tra cittadini e sindaco.

Ad un sindaco si chiede sicurezza, forza, capacità, dedizione. Nessuno apprezza mai le scuse continue secondo le quali non si può governare, che la maggioranza è un peso, che la burocrazia opprime. Ecco le dimissioni sono una firma sotto a queste incapacità ed il sigillo alla fine del vero rapporto sindaco popolo.

 

Basterebbe guardare molti casi in epoca recente. Le dimissioni di Ignazio Marino sindaco di Roma. Lunghe scenate e discussioni fino al ritiro. Conseguenza? Perdita di fiducia del popolo, perdita di fiducia dei Partiti. Risultato: sindaco caduto ad opera del suo stesso Partito e finito nel dimenticatoio. Sindaco nemmeno ricandidato.

Altri mille casi identici fino ad arrivare per esempio ad Anagni dove il sindaco di centrosinistra si dimise poi ritirando le dimissioni ma fu poi fatto cadere dal suo stesso Partito e non ebbe la forza di ricandidarsi.

 

Le dimissioni allora non dovrebbero mai darsi per un atto d’ira, per ripicca, senza una reale convinzione.

Sono, un gesto violento, irreparabile. Se ne esce veramente con dignità solo con una conferma forte e decisa.

E nulla di questo fa presagirlo se un sindaco accetta di stare venti giorni sull’Aventino a farsi tirare la giacchetta, a cercare garanzie, a ricattare moralmente e materialmente la propria maggioranza o, peggio ancora, a cercare di formarne una nuova.

Nulla di questi ruoli da sceneggiata convince i cittadini che si stia agendo per il loro bene e non per potere o egoismo.

Il rapporto sindaco cittadini, come un cristallo prezioso, all’atto delle dimissioni è rotto. Ed è irreparabile.

Inutile raccogliere i pezzi e tentare di incollarli, la storia recente insegna che è inutile.

Nessuno dei sindaci dimissionari, dopo il loro ritiro, ha fatto una bella fine. È drammatico ma inequivocabile.

 

Una cosa sola è certa queste sono decisioni da prendere da soli sentendo veramente dentro la cosa giusta da fare senza ascoltare i soloni che ti rimbambiscono di consigli interessati e che finiscono solo per confonderti.

Infatti come diceva de Andrè: “si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”.

Ma la politica dei giorni nostri ovviamente scompare di fronte alla portata storica della vicenda celestiniana che nella sua potenza evocatrice costringe a riflettere su temi quali la dignità, la giustizia, la spiritualità. Troppo importanti per essere fermati da delle semplici “dimissioni”. Per fortuna.

E se infine potessi con leggerezza permettermi un dialogo immaginario direi:

«In fondo caro Celestino il paragone tra la ieraticità papale e la prosaica politica italiana è certamente blasfemo ed irriguardoso. Ma non ti stupiresti oggi, se potessi vederlo e sentirlo con i tuoi occhi, che quando capiterà di parlare di “rinuncia al trono” nessuno penserà al tuo “gran rifiuto” ma andranno tutti a cercare notizie su quello di Uomini e Donne».

 

Ma nell’epoca dei tronisti o degli aspiranti tali, non stupitevi, ogni aberrazione è possibile.