Franzo Grande Stevens, l’uomo di Montecassino celebra il padre di Fca Cassino Plant

Franzo Grande Stevens, l'avvocato della famiglia Agnelli, l'uomo che si è formato a Montecassino e che ha contribuito al salvataggio dello stabilimento Fiat di Cassino, celebra un altro grande al quale Cassino Plant deve tantissimo: Sergio Marchionne

Franzo Grande Stevens, non è stato soltanto l’avvocato dell’Avvocato. Ma è stato un gentiluomo d’altri tempi che con la sua cultura e la sua preparazione ha vissuto, attraversato, conosciuto, buona parte dei momenti chiave della storia d’Italia.

A Montecassino ci torna ogni anno. Spesso con i nipotini. Assiste alla Messa solenne nel giorno di San Benedetto. Perché l’avvocato dell’Avvocato Gianni Agnelli tra quelle mura ci si è formato. Ce lo accompagnò la madre nel 1936 quando lui aveva appena 8 anni. Lo affidò al collegio dei benedettini affinché avesse una formazione solida e seria.

Nelle sue memorie, annota che «Si cominciava il mattino in palestra: per un’ora si saliva e scendeva per la pertica. Poi a lezione per 4 ore». C’è rimasto fino all’arrivo dei tedeschi, poco prima del bombardamento e della IV distruzione.

Ha avuto un ruolo chiave negli anni Novanta: quando lo stabilimento di Piedimonte San Germano era destinato alla chiusura. È stato lui, l’avvocato, a spalancare le porte dell’Avvocato a quella delegazione partita da Montecassino e guidata dall’allora padre abate Bernardo D’Onorio. Ottenendo la sopravvivenza dell’impianto.

 

Oggi, Franzo Grande Stevens celebra un altro grande uomo al quale lo stabilimento Fca Cassino Plant deve tantissimo (leggi qui I due voli di Marchione che hanno rivoluzionato Cassino Plant). Lo fa con una lettera aperta, indirizzata al Corriere della Sera.

 

 

di Franzo Grande Stevens

È molto difficile per me parlare di Sergio Marchionne che con Gianluigi Gabetti è stato il mio migliore amico di una vita.

La sua scelta di amministratore delegato della Fiat (oggi Fca) è dovuta a Umberto Agnelli, che prima di morire raccomandò a Gabetti e a me di chiamarlo in azienda.

Umberto aveva valutato Marchionne dai risultati eccezionali che aveva raggiunto lavorando per la Sgs, Société Générale de Surveillance, società di assicurazioni ginevrina. Umberto ci disse che quest’uomo aveva avuto un’idea geniale: quella di incaricare un suo uomo in ogni scalo marittimo o aereo del mondo. Questo incaricato doveva garantire all’acquirente i beni di qualsiasi genere (dal petrolio alle noci alle castagne e via di seguito) e che essi corrispondessero alla qualità dichiarata dal venditore.

In questo modo i tempi dell’accertamento e le qualità promesse dalla società di assicurazioni erano praticamente annullati. E i clienti assicurati dalla Sgs ricevevano subito il pagamento. Non era infatti necessario un accertamento delle qualità dei beni venduti, in quanto ne rispondeva la società assicuratrice. La Sgs ebbe un enorme sviluppo. E questa fu la ragione principale per la quale Umberto Agnelli, sul punto di morire, consigliò a Gabetti e a me di assicurare alla Fiat quest’uomo. Così facemmo.

 

Quando conobbi Marchionne gli citai per caso, nel nostro colloquio, un filosofo e mi accorsi che egli conosceva benissimo la filosofia a cominciare da Voltaire e Machiavelli: e gli consigliava perciò il «senso della disciplina» e la consapevolezza dell’«importanza della cultura».

La prima gli veniva dall’infanzia che fu difficile. Da ragazzino, dopo la scomparsa del padre maresciallo dei carabinieri, con la mamma emigrò da Chieti negli Abruzzi a Toronto in Canada, presso una zia che commerciava in dettaglio ortofrutticoli. Un trasferimento affatto facile per lui. Imparò così il rigore e capì il binomio disciplina-cultura.

Sergio è un uomo che sarebbe piaciuto a Giovanni Agnelli, che da sabaudo illuminato aveva dimostrato sempre grande interesse per gli intellettuali e per i sofisticati meccanismi finanziari dedicando del tempo ad affrontare tematiche di cultura illuministica e storica.

Giovanni Agnelli ne avrebbe apprezzato la «unicità».

 

Marchionne in Canada completò i suoi studi dimostrando grande interesse per la filosofia. Gianluigi Gabetti ed io, memori di quanto ci aveva detto in punto di morte Umberto Agnelli, invitammo Sergio e riuscimmo a portarlo alla Fiat. Qui ci incontravamo e ci consultavamo molto spesso da veri e grandi amici su ogni questione importante del gruppo (a quest’ultimo egli, con l’aiuto di Obama, aveva potuto aggiungere la Chrysler donde il cambiamento di Fiat in Fca).

Gabetti ed io avremmo potuto considerarlo per la nostra età un figlio (il mio primo ha soltanto quattro anni di meno) e invece divenne un nostro fratello, che ci consultava e ci insegnava che cosa vuol dire occuparsi del successo di una grande azienda.

 

Il dolore per la sua malattia è indicibile. Quando dalla tv di Londra appresi il giovedì sera che egli era stato ricoverato a Zurigo, pensai purtroppo che fosse in pericolo di vita. Perché conoscevo la sua incapacità di sottrarsi al fumo continuo delle sigarette.

Tuttavia, quando seppi che era soltanto un «intervento alla spalla», sperai. Invece, come temevo, da Zurigo ebbi la conferma che i suoi polmoni erano stati aggrediti e capii che era vicino alla fine.

Alla società, ad Elkann, che è esponente e leader della proprietà, la mia commossa partecipazione.

Marchionne ha lasciato una società che ha raggiunto l’incredibile risultato dell’azzeramento del debito e l’avvio di una vita di successi. Mi auguro che sulla strada che egli ha tracciato, sul suo esempio, la Fca prosegua con gli stessi risultati.

Soltanto così il grande dolore di tutti noi potrà alleviarsi.

 

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