In fuga dai profughi: nemmeno Giuliano li vuole. Perché Frosinone non è Disneyland

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Via anche da Giuliano di Roma. A turno ma dovranno andarsene: lì potranno restarne al limite sette e cioè il numero massimo consentito nell’agriturismo che è stato preso in affitto. I 45 profughi in giro da settimane per la provincia di Frosinone non trovano pace. Né sistemazione.

Vinti in appalto da una cooperativa pugliese che aveva garantito di avere gli alloggi dove sistemarli, sono stati bloccati a Cassino appena hanno provato ad accasarsi nell’ex Alberghiero (occorrevano lavori di sistemazione), nell’ex sede della Polizia Stradale (mancavano abbastanza bagni), alloggiati per una notte in un ex mobilificio chiuso da anni, ospitati per qualche giorno nell’aula magna del museo di Pastena, infine si sono presentati a Giuliano di Roma dopo avere preso in affitto un agriturismo chiuso. (Leggi qui la loro storia). Ora lo sfratto anche da Giuliano di Roma.

Klodiana Çuka, ex migrante albanese, collaboratrice domestica con orgoglio per pagarsi gli studi, laurea e dottorato di ricerca sulla parete, è la responsabile della società Integra Onlus che ha vinto la gara d’appalto per gestire i profughi e non ha dubbi: «I profughi non li vogliono: è questa la verità».

La verità è anche un’altra. Nessuno li vuole perché il modo in cui vengono gestiti assomiglia poco al nostro concetto di accoglienza: nessuno nel municipio di Cassino è stato avvisato che stessero per arrivare 45 migranti in città, nessuno ha bussato a Giuliano di Roma prima di presentarsi nell’agriturismo dismesso. Da queste parti i sindaci si sono fatti diffidenti e tutto questo assomiglia molto al gioco del ‘facciamo a chi resta col cerino in mano‘.

Adriano Lampazzi, sindaco di Giuliano di Roma, l’altra sera lo ha detto con chiarezza ed a brutto muso durante il confronto avvenuto in prefettura: «Siete venuti a casa mia senza nemmeno bussare e presentarvi: e questo non si fa. Se non per garbo, lo dovevate fare perché sono l’autorità locale in materia di Sanità e di pubblica sicurezza e devo essere avvisato. Soprattutto, diciamoci le cose come stanno: se mi chiedevate di sistemarne 4 allora potevo pensare che si voleva fare integrazione vera, portarne 41 in una comunità come quella di Giuliano significa creare un ghetto perché l’integrazione con questi numeri è impossibile».

C’è anche un altro aspetto che Lampazzi non ha detto. E che è sotto gli occhi di tutti. Vale per quasi tutte (e quasi ci sta solo per un fattore statistico) le cooperative che si stanno occupando di gestione dei profughi. L’integrazione non la stanno facendo.

E se sono convinti di farla allora sia detto con chiarezza: non è così che si fa. Perché si dovrebbe spiegare ai ragazzi africani che arrivare in provincia di Frosinone (ma vale per qualsiasi altro punto dell’Italia) non equivale ad avere vinto la lotteria ed essere atterrati a Disneyland; gli educatori pagati per spiegargli l’integrazione dovrebbero dirgli che farsi vedere a pancia all’aria sulle panchine delle piazze ad ascoltare la musica sparata nelle cuffiette dal pomeriggio alla sera è la cosa meno adatta a creare il clima di fratellanza, dal momento che tutto il resto della popolazione ciociara intorno a loro sta correndo fino a farsi toccare i talloni alla schiena per arrivare a fine mese; non è integrazione chiuderli tutti insieme in un palazzo, magari di periferia così occhio non vede e la gente non si lamenta; non è integrazione quella che fanno molti dei sindaci che hanno aderito al progetto, accogliendo i profughi suoi loro territori ma pretendendo in cambio l’assunzione di loro concittadini nelle coop che lavano stirano e insegnano: e le attività di integrazione dove sono?

Bisognerebbe domandarsi perché i veri campioni dell’accoglienza in Italia, gente al di sopra di qualsiasi sospetto, non si immischiano. E se nel passato l’hanno fatto si sono subito tirati indietro. da qualche parte dovrebbe essere nascosto un rapporto ‘Riservato’ di Exodus ad uso esclusivamente interno. La struttura nazionale di don Antonio Mazzi ha accolto i tossici che nessuno voleva, i ragazzini sbattuti fuori dalle scuole perché le avevano incendiate, alcolizzati di ogni età, giocatori incalliti che si sono spiantati di fronte ad una slot. A tutti don Antonio ha aperto le sue porte, a nessuno ha fatto solidarietà pelosa: nel suo stile, gli ha messo una vanga in mano e gli ha detto ‘Adesso ricostruiamo la tua vita’. Perché Exodus Cassino ha detto no ai 45 profughi? E perché si è occupata un solo anno di accoglienza ai profughi?

La risposta potrebbe essere in quel dossier interno. Chi lo ha letto sostiene che si tratta di una relazione disarmante nella sua amara sincerità: solo al 20% dei profughi interessa integrarsi, quasi tutti si accontentano di quel pocket money da 6 euro al giorno che gli spetta per il solo fatto di non essere morti durante la traversata ed avere toccato il suolo europeo, non gli interessa minimamente adeguarsi ai costumi locali. E non gli interessa un fico secco di stare in Italia: puntano al permesso di soggiorno e poi via su un treno.

La situazione viene descritta in questo modo: «Se c’è una stanza piena di gente affamata e nella stanza accanto è pieno di gente che mangia a quattro palmenti, appare chiaro che prima o poi il tramezzo verrà abbattuto e tutti pretenderanno una parte di benessere». Giusto o sbagliato che sia, l’evidenza è una sola: in queste condizioni non si può fare integrazione. E così l’associazione ha detto ‘No grazie’.

Un ultimo dettaglio: i 45 migranti che stanno girando la Ciociaria da una sistemazione di fortuna all’altra, non vengono tutti da zone martoriate dalla guerra. Sono tutti dissidenti politici?