La vera missione di Umberto Fusco per salvare la Lega

Foto: © Imagoeconomica, Paola Onofri

Il problema c'è: è per questo che la Lega ha richiamato in servizio nelle Province il senatore Umberto Fusco. Cosa significa la sua nomina. E cosa comporterà

Esistono due livelli di lettura per tentare di comprendere cosa sta accadendo all’interno della Lega nel Lazio. Spiegare perché al governo delle cinque province è stato richiamato in servizio con urgenza il senatore Umberto Fusco. Valutare il reale peso di una scelta compiuta nel pieno della corsa per le elezioni Europee mentre la logica avrebbe voluto che avvenisse subito dopo

Il livello ufficiale

Il primo livello è quello ufficiale. Il ritorno in campo di Umberto Fusco secondo questa versione non è un commissariamento di Zicchieri ma è solo un affiancamento. Con il quale sgravarlo di una parte dei suoi compiti quotidiani.

Lo stesso senatore accredita questa versione nelle sue prime dichiarazioni. «Ringrazio Francesco Zicchieri per la fiducia. È pieno di lavoro: il ruolo di vice capogruppo alla Camera più quello di coordinatore regionale e la particolare situazione di Roma capitale assorbono molte delle sue energie. Gli darò una mano. Perché nella Lega conta soltanto una cosa: essere pronti a mettersi al servizio di tutto il Partito».

Anche il coordinatore regionale Francesco Zicchieri accredita questa tesi. «Fusco non si occuperà della provincia di Frosinone dove nominerò un commissario. Sarà ‘referente’ delle Province: cioè, in italiano, riferirà al Coordinatore Regionale il lavoro dei coordinatori provinciali».

Insomma, una specie di ragazzo della bottega che fa la spola tra i vari negozi e poi riferisce al gestore regionale, unico a dover decidere.

Il livello reale

Le cose non stanno così. Umberto Fusco è stato rimandato in prima linea a recuperare una situazione fuori controllo. Che rischia di avere conseguenze sulle Europee.

Il caos nel centrodestra per la scelta del candidato sindaco di Cassino ha avuto il suo peso. Così come lo ha avuto la relazione sulla inutile caduta dell’amministrazione cittadina e sui ruoli chiave ricoperti dai dirigenti della Lega: un riassunto scritto dal coordinatore provinciale Carmelo Palombo al momento di rassegnare per protesta le sue dimissioni (leggi qui Il J’Accuse di Palombo: si dimette e punta il dito su Zicchieri e Gerardi); confermato dal coordinatore cittadino Ernesto Di Muccio prima di andare via dopo. Avallato dal gruppo storico che tre anni fa centrò la vittoria (Mario pronto al si. E pure Sebastianelli. Via Lega e Tedesco. Il Pd c’è ma Sarah no).

Il primo segnale d’allarme sono stati i risultati delle Provinciali: zero leghisti eletti a Latina contro 3 eletti da Forza Italia, zero leghisti eletti a Frosinone contro 2 eletti all’interno di quella stessa lista ma con la maglietta di Polo Civico e Movimento Italia.

A preoccupare è il radicamento sul territorio. E le rappresaglie. A Cassino ad esempio ci saranno ripercussioni sul voto alle Europee: il nucleo storico che era stato messo in piedi ai tempi di Fusco eleggendo un vice sindaco e due consiglieri intende votare solo Salvini. Un segnale analogo vuole mandarlo l’ex coordinatore Fabio Forte, messo ai margini dopo le elezioni. Alessia Savo, la più votata alle Regionali, ha salutato e si è accasata in Fratelli d’Italia. Nicola Ottaviani, unico sindaco leghista di un capoluogo nel Lazio che è stato messo ai margini appena entrato nella Lega. Insieme a tutto il gruppo che fa riferimento a lui (leggi qui I Cavalieri Neri di Ottaviani e la strategia per guidare la Lega).

Ci sono poi gli attacchi leghisti al vescovo Ambrogio Spreafico che non è proprio il primo che passa ma un biblista di fama mondiale e presidente di commissione alla Conferenza Episcopale Italia. Ma anche gli attacchi a Confindustria, ad una parte dell’informazione. Elementi che tengono lontano l’elettorato moderato. Infatti, la lista per le Provinciali è stata presentata incompleta come se a consegnarla non fosse il Partito di maggioranza relativa ma una civica qualunque.

I Coordinamenti provinciali sono in rivolta. A Latina c’è il problema della mancata candidatura di Marco Scisione alle Europee che ha scavato un solco. C’è il tema della candidatura del segretario Ugl Adinolfi. Matteo Salvini non vuole la colonizzazione della Lega: da parte di nessuno e quindi né romani, né pontini, né Ugllini, perché la Lega deve essere una sola e basata sul popolo. Proprio per questo è stata bloccata all’ultimo secondo l’operazione che avrebbe portato dentro la Lega un corposo numero di preferenze nel Lazio (leggi qui Il patto romano che ha sabotato la nascita della ‘Lega 4’ in Ciociaria). E proprio per questa serie di elementi è stato deciso già da tempo che in regioni come il Lazio e la Calabria debba essere cambiato il vertice (leggi qui La strategia dei commissari per proteggere la Lega. Anche nel Lazio)

L’inchiesta sui rapporti tra alcuni esponenti del Centrodestra confluiti nella Lega ed i clan rom del Pontino rischia di portare alla luce particolari poco edificanti anche se non illegali.

Il problema c’è

Lo stesso Umberto Fusco deve ammettere che «Se tutto andasse bene non ci sarebbe bisogno di una nomina del genere». 

Il Nord della regione, controllato da Fusco, non dà nemmeno l’ombra dei problemi che ci sono nel sud. Il suo compito ora non sarà quello di garzone che deve riferire. Bensì sarà l’uomo che deve ricucire, spegnere gli incendi che si sono accesi, recuperare le situazioni.

È un segnale inequivocabile il calo di consensi rivelato in queste ore dal professor Nando Pagnoncelli che stima un calo di 6 punti per la Lega. A Cassino sono a casa in cassa integrazione gli operai di Fca Fiat Chrysler Automobiles, il primo stabilimento nel Lazio per numero di addetti, il polo nazionale del segmento D nell’Automotive: ma nessuno ha fatto mosso un dito. Manca soprattutto una strategia (leggi qui I silenzi imbarazzanti sul futuro di Fca Cassino Plant). Si sono consumati i drammi di Ilva a Patrica e Coop a Frosinone ma oltre le chiacchiere s’è più sentito nulla. Stessa cosa per i soldi attesi da Vertenza Frusinate. Così come manca per lo sviluppo del territorio: al punto che deve essere Unindustria a fare le proposte (leggi qui Giovanni Turriziani, il predicatore nel deserto). Senza ricevere risposta. Si lascia tutto il campo d’azione ad Antonio Pompeo: il dibattito per il ritorno delle Provincie sembra che sia soltanto merito suo perché altre voci non se ne sentono. Lo si attacca sull’indagine di Ferentino ignorando di averne avuta in casa una analoga.

Non è un casso che il telefono del neo Riferitore sia diventato bollente: gli hanno chiesto udienza da Arpino e da Cassino, da Arce e da Frosinone. Tutti vogliono parlargli e togliersi un po’ di sassi dalle scarpe.

Il problema c’è. È per questo che è stato mandato di corsa Umberto Fusco. (leggi qui Zicchieri dimezzato (e un po’ ballista): Umberto Fusco torna a guidare le province). Non c’è minaccia di querela che tenga.