Dal ring alla sala operatoria: il medico che ha reso lo Spaziani un po’ Grey’s Anatomy

Giancarlo D'Andrea è il Direttore di Neurochirugia nella Asl di Frosinone. Ha 'inventato' il nuovo reparto. Grazie al quale ora si operano i tumori al cervello anche allo Spaziani. Con interventi su pazienti da svegli

Non ha mai amato le retrovie, ha puntato al podio fin da ragazzo. Nello sport come nella vita. Ha conquistato il titolo italiano professionistico di Full-contact, una disciplina della Kickboking, e fuori dal ring ha avuto la stessa voglia di emergere. Per farlo ha scelto la neurochirurgia ed ora è al vertice del reparto da poco istituito all’ospedale Fabrizio Spaziani di Frosinone.

Durante la chiacchierata con lui, si passa spesso dallo sport alla medicina, ma quando inizia a parlare di interventi al cranio con paziente sveglio, beh, è in quel momento che nella mente di una appassionata di Grey’s Anatomy si materializza l’immagine di Derek Shepherd.

Ma Giancarlo D’Andrea opera nella realtà, non in una serie televisiva.

È arrivato a marzo del 2018 in Ciociaria, per lavorare. Ma il suo legame con questa terra è innato, affonda le radici nella sua famiglia, lo porta poco lontano dal capoluogo, a Giuliano di Roma: sua madre è originaria del piccolo centro, i suoi nonni abitavano lì, le sue estati da bambino e adolescente le trascorreva nella loro casa di campagna, lontana dal caos della capitale.

E in Ciociaria le sue passioni per il lavoro e per lo sport trovano modo di esprimersi. Una palestra di via Mastruccia, a Frosinone, è il posto in cui si dedica alla kickboxing, allenando altri ragazzi, il vecchio ospedale Umberto I del capoluogo è invece il luogo in cui comincia a prendere confidenza con la sala operatoria. Da studente universitario, al terzo anno, comprende bene che fare esperienza in una piccola struttura, in cui c’è bisogno concreto di una mano durante gli interventi chirurgici, sicuramente è più appagante e formativo: l’alternativa sono i grandi policlinici, in cui però si guarda da lontano, senza avere, almeno all’inizio, davvero contezza di ciò che avviene con il bisturi e gli altri strumenti.

È nel blocco operatorio del vecchio Umberto Primo che muove i primi passi, ma adesso che è uno dei più affermati neurochirurghi in circolazione, ed ha scelto di tornare a Frosinone, da dove praticamente ha cominciato.

La difficoltà più grande? “Far capire ai pazienti che ora, anche se si ha un tumore al cervello, si può essere operati qui, senza dover andare a Roma o chissà dove”.

Ma per il territorio è una grande novità. E come ogni cosa nuova, ci vuole un po’ di tempo per accettarla. Ormai però sono decine e decine gli interventi eseguiti, sette quelli su persone sveglie, solo in anestesia locale. “In alcuni casi è fondamentale poter interagire con i pazienti”, per poter capire esattamente quali sono gli effetti di ciò che si sta facendo.

E mentre il dottor D’Andrea racconta, fa esempi per far capire con esattezza ciò che intende, torna prepotente l’immagine di Sheperd. Ma il Seattle Grace Hospital dove operano Derek e Meredith non c’entra. Siamo davvero a Frosinone, al Fabrizio Spaziani. E dopo la giornata in sala operatoria, D’Andrea va a dormire nella sua casa di Giuliano di Roma, per arrivare subito in ospedale qualora il paziente ne avesse bisogno. Di Giuliano è anche lo zio Benedetto, colui che gli ha trasmesso l’amore per la cultura, che lo ha pungolato negli anni, fin dai tempi del liceo classico, spingendolo ad avere sete di sapere.

Perché un affermato neurochirurgo romano accetta di venire allo Spaziani di Frosinone?«Perché qui c’era un reparto tutto da inventare».

E che significa?«Che ho potuto allestire un reparto nel modo che ritenevo fosse più funzionale, partendo da zero».

E perché è così importante? «In questo modo un reparto è efficacissimo: il nostro reparto è pensato per non essere un doppione degli altri già esistenti a Roma bensì per fare quel tipo di interventi sui quali c’è più richiesta in tutto il Lazio, in questo modo completiamo l’offerta della Sanità regionale e qualifichiamo la provincia di Frosinone dandole un ruolo ben definito».

Perché proprio la testa? «Perché è più difficile».

Cosa c’è da operare dentro la testa? «Ad esempio i tumori, sono molti più di quelli che pensiamo».

Quanto tumori alla testa operiamo allo Spaziani di Frosinone? «Due terzi dei miei interventi sono stati di quel genere».

Cosa prova quando apre la testa di un paziente ed ha davanti a sé il tumore? «Provo l’infinita soddisfazione di poter togliere le sofferenze ad un essere umano».

E quando lo rivede dopo il post operatorio?«Ho vinto io e non la malattia».

Vince sempre, dottor D’Andrea? «Non si può vincere sempre. Ci sono dei casi nei quali il tumore si è insediato in alcune aree particolari del cervello e so benissimo che se andrò ad intervenire lì determinerò delle conseguenze sul paziente, ad esempio impedendogli di camminare o di usare un braccio o di articolare bene la parola…».

Che si fa in questi casi? «Si discute a lungo con il paziente, più giorni: si decide insieme a lui se è meglio un anno di vita in più ma con una limitazione e quale. Non si può vincere sempre».

A Frosinone ha operato al cervello un paziente sveglio. «Non esageriamo: è più corretto dire un paziente in anestesia locale ma che era comunque cosciente e poteva sentire ciò che dicevamo, parlare con noi, interagire Coin noi».

Cos’è: un esperimento da laboratorio? «No, è stato fondamentale: c’era lo psichiatra accanto a noi, interagiva con il paziente, io facevo domande e chiedevo di compiere azioni come aprire a chiudere la mano. È stato determinante». Com’è andato l’intervento? «Abbiamo vinto, noi medici ed il paziente».

Da quando si è cominciato a parlare della possibilità di istituire neurochirurgia a Frosinone, di polemiche ce ne sono state tante. Nessuno all’inizio credeva che il progetto sarebbe diventato realtà. A chi ha gettato fango, parlando di “reparto fantasma” o di “propaganda elettorale”, D’Andrea ha risposto con la concretezza. E con i numeri, quelli degli interventi eseguiti: ha già superato i cento. “Me ne hanno dette tante” ammette, ma lui non se l’è mai presa, preferendo andare avanti dritto per la propria strada, consapevole di percorrere quella giusta. 

Anche perché cosa vuoi che sia un po’ di fango per uno abituato ad affrontare la Spartan Race. Al traguardo va via con una doccia: restano però i successi e le soddisfazioni ottenute durante il percorso, pur insidioso, e l’obiettivo raggiunto. Ora c’è la prossima Spartan Race di Orte, e ci sono nuove conquiste da ottenere per lo Spaziani.