Il gioco del cerino acceso sull’ospedale di Anagni

Il gioco del cerino acceso sull'ospedale di Anagni. A decretarne la chiusura non è né la Asl né la Regione. Ma la stessa legge che vale in tutta l'Italia. Alla quale si può portare soluzione, È sufficiente smettere di giocare

Come nel gioco del cerino acceso: l’importante è riuscire a passarlo a qualcun altro prima di scottarsi le dita. Con la storia del Punto di Primo Intervento nell’ospedale di Anagni sta accadendo la stessa cosa.

 

Quando si accende il cerino

Il cerino inizia a bruciare, per paradosso, nel momento della massima potenza politica espressa dalla città: l’ex sindaco Franco Fiorito è potentissimo capogruppo del Popolo delle Libertà in Regione Lazio, sotto il Governo di Renata Polverini. È lei a decretarne la chiusura, insieme agli ospedali di Pontecorvo, Ferentino, Atina, Arpino.

La regola del gioco vuole che chi governa tenga il cerino in mano e chi sta all’opposizione soffia per alimentare la fiamma. Così accade. La cinica realtà dei fatti dice che nessuno di quegli ospedali fosse più all’interno dei parametri di sicurezza stabiliti dai nuovi standard, soprattutto erano un lusso che non potevamo più permetterci.

Onestà intellettuale impone di dire che se non li avesse chiusi il governo di centrodestra guidato da Renata Polverini sarebbe toccato a quello di centrosinistra se avesse vinto al suo posto.

Che si potesse fare in modo diverso e che il modello di Sanità disegnato dalla governatrice (basato sulle infami macroaree) fosse una boiata che ci trasformava in sporca periferia dell’impero è altrettanto vero.

 

Orgoglio anagnino

Così come è vero che la fiamma ha continuato a bruciare solo grazie all’orgoglio degli anagnini. Negli altri centri, tolto qualche folkloristico giro di trattore ed un paio di fischi in piazza, il legnetto è diventato subito freddo e annerito.

Ad Anagni no. A colpi di ricorsi, impugnazioni, appelli e battaglie di ogni genere, la struttura è rimasta in piedi.

Perché? Per via delle stesse regole che hanno decretato la chiusura definitiva degli altri ospedali: Anagni aveva alcuni parametri che obbligavano a tenere in vita la struttura.

Ma la sentenza era scritta. Colpa di 10 miliardi di debito da risanare, un Commissario nominato dal Governo per controllare che si stessero mettendo le briglie ad una Sanità fuori controllo perché tutti avevano l’amico che non ci faceva pagare.

Il trucco fu, smantellare un pezzo alla volta.

 

Tanto fumo e pochi reparti

Chiuderlo non si poteva, per via di una sentenza. Rimase allora un Pronto Soccorso, poi declassato a Punto di Primo Intervento: se ti sbucci un ginocchio ti disinfettano, se hai qualcosa di più serio ti caricano in ambulanza e ti portano a Frosinone.

Nel frattempo, in Regione arriva il Centrosinistra di Nicola Zingaretti. Che abolisce le macroaree, cancellando l’infamia che faceva media tra i nostri scarsi posti letto e quelli in abbondanza a Roma: il risultato era una media perfetta, ma noi stavamo con meno Sanità del necessario e Roma non doveva tagliare niente.

La riapertura? Ancora impossibile, fino a quando Zingaretti non riesce a mettere le briglie ai conti.

Nel frattempo si parla del primo Ospedale Ambientale, che di ospedale ha soltanto il nome: è un centro di ricerca sulle malattie da inquinamento, con la maggior parte delle spese su Roma e qui poco più di una sede.

Di concreto arriva degenza infermieristica: posti letto per pazienti che hanno bisogno di assistenza ma non così gravi da dover occupare un posto in ospedale. È il nuovo modello disegnato da Zingaretti: sanità di territorio, in ospedale solo urgene ed emergenze.

L’amministrazione comunale e quelle dei Comuni intorno, chiedono invece di avere almeno un reparto, con pochi posti letto. Che però avrebbe il risultato tra trasformare il Ppi in Pronto Soccorso, con tutta la diagnostica necessaria.

 

La chiusura del Punto di Primo Intervento

Si arriva ai giorni nostri. L’ex Pronto Soccorso, declassato a Punto di Primo Intervento, è destinato alla chiusura.

La regola è sempre la stessa. Chi governa tiene il cerino e chi sta all’opposizione cerca di alimentare la fiamma.

Il caso finisce in Commissione Sanità in Regione Lazio. Che esprime una parere contrario alla chiusura. Tutti in festa.

Invece si chiude.

Perché? Perché il tempo delle prese in giro è terribilmente breve. Abbiamo già provato a spiegarlo: un Ordine del Giorno a nessuno si nega, un’interrogazione è quanto di più obsoleto e sorpassato esista (leggi qui L’inutile ammuina dei nuovi e dei vecchi politici).

Il parere contrario della Commissione non è una legge, vincola nessuno, impone un bel niente.

 

Il vero problema

Il vero problema è che a chiudere il Punto di Primo Intervento non è né la Asl che lo ha ordinato né la Regione Lazio che ha dato l’input. Lo impone una legge dello Stato. O meglio, un Decreto del Ministro della Sanità: il numero 70 del 2015.

Parte dalla legge Balduzzi: vieta in tutta l’Italia (quindi anche ad Anagni) il mantenimento dei Punti di Primo Intervento.

La Regione Lazio pur volendo tenere aperti i Punti di Primo Intervento, come quello di Anagni, ha il dovere di rispettare ed applicare una legge dello Stato.

 

La soluzione

La soluzione è smetterla una buona volta che il gioco del cerino. Finirla con l’obiettivo di far scottare le dita all’avversario.

La fortuna vuole che in Regione Lazio ora vada in questa direzione il nuovo percorso inaugurato da Nicola Zingaretti (obbligato, per sua fortuna, da un risultato elettorale che lo ha fatto vincere ma non gli ha dato una maggioranza).

Il problema è una legge dello Stato? La Regione deve chiederne la modifica.

Per questo domani in Commissione Sanità,  del Consiglio regionale del Lazio, in accordo con il governatore Zingaretti, il capogruppo Dem Mauro Buschini depositerà una risoluzione per chiedere al Ministro della Sanità Giulia Grillo ed al Ministro dell’Economia Giovanni Tria di apportare le necessarie modifiche al Decreto Ministeriale.

Si tratta delle modifiche che consentiranno di mantenere, ad Anagni come in altre città con casi analoghi, il Punto di primo intervento.

Ora si tratterà di vedere chi firmerà quella richiesta. Quali gruppi politici lo faranno. Da lì si vedrà se continuerà il gioco del cerino oppure se avranno iniziato a pensare alla salute degli anagnini.