Giulio Conti 2: la vendetta è un piatto che si serve freddo

Giulio Conti punta a diventare Segretario del Pd di Ceccano. Lavando così l'onta della sua esclusione dalla lista Dem alle scorse Comunali. Da Civico ha fatto perdere al Pd l'unico seggio in Consiglio

Marco Barzelli

Veni, vidi, scripsi

La politica somiglia spesso a qualche western. Stavolta a “La vendetta è un piatto che si serve freddo”. Jim Bridges vuole vendicarsi contro Perkins e i suoi uomini. Che, travestiti da indiani, hanno sterminato la sua famiglia. E va a finire che, quando gli ricapita l’occasione, riesce ad annientare la banda al gran completo: per via del sostegno dei Pellirosse. Perché l’unione fa sempre la forza: anche per la vendetta.

La variante ceccanese

Il già capogruppo Dem Giulio Conti

La variante ceccanese? Giulio Conti vuole vendicarsi di Roberto Caligiore e dei suoi uomini. Che, travestiti da civici, hanno sterminato la sua famiglia allargata: il centrosinistra. Ma nel frattempo la famiglia stretta, il Partito Democratico, lo ripudia. E va a finire che, quando ricapitano le elezioni, riescono a farsi annientare dal centrodestra: per via del suicidio politico dei Rossi. Perché chi fa da sé non sempre fa per tre: soprattutto per la vendetta. Che Conti, però, brama contro entrambi i fronti. (Leggi qui La lezione delle Comunali / Ceccano e anche qui Anatomia di una crisi: il centrosinistra a Ceccano).

Voglia di cambiamento: Giulio Conti si è tagliato la barba fatta crescere tra la prima e la seconda amministrazione Caligiore.

Tra l’una e l’altra c’era stato il terzo commissariamento prefettizio in vent’anni a Ceccano. Un periodo che ha separato il “Né destra né sinistra né affari” del Caligiore 1 dalla “Roccaforte di patrioti” del Caligiore 2. In quella fase di transizione, Giulio Conti era finito all’angolo. Lui: il capogruppo consiliare del Partito democratico; l’uomo che aveva preteso di mettere la prima firma sul documento che aveva determinato la caduta del Caligiore 1. Messo in disparte perché era ormai un cane sciolto: operava a nome del Pd ma rifiutava di essere incatenato dal Partito. Il che è come pretendere che il Partito si adegui al singolo: concetto di leaderismo che non proprio si adatta alla filosofia Dem.

Il reietto Giulio

Emanuela Piroli

In due anni è accaduto di tutto. Riassumibile in tre tappe. La prima: Giulio Conti ha orchestrato la cacciata della segretaria Emanuela Piroli; la seconda: ha annunciato la propria candidatura a sindaco; infine l’epilogo: Conti è stato fatto fuori dalla lista elettorale dei Democrat. La prima era «troppo autoritaria», la seconda era una provocazione e la terza, senza di lui, è stata fallimentare: non ha ottenuto nemmeno uno scranno consiliare. (Leggi qui La rivolta dei 25: Giulio Conti condanna la segretaria Pd di Ceccano, poi qui La rivolta del Pd contro Giulio Conti: «Fuori dal Partito» e, infine, qui Good Bye Ceccano, si candida a sindaco anche Giulio Conti).

Pur di non vederlo rieletto in Consiglio comunale, il Pd ha rinunciato ai suoi oltre 230 voti di preferenza. Che alle Elezioni amministrative 2020, vista la sua candidatura nella lista civica Città Nuova in appoggio a Marco Corsi, si sono inevitabilmente ridotti a meno di 190. Difficile spiegare ai propri elettori dem la scelta di sostenere l’ex presidente del Consiglio del Caligiore 1: partito da Forza Italia per affidarsi al civismo e farsi votare dal Pd.

Ma quanto raccolto da Conti sarebbe bastato per consentire ai Democratici per Ceccano, il Pd travestito da civico, di ottenere un seggio al posto dei cugini del Psi. E lo avrebbe centrato nuovamente lui. Che una prima piccola soddisfazione personale se l’è tolta: Città Nuova, creatura del fu amministratore filo-socialista Pietro D’Annibale, è andata meglio dei Dem. Perché sono mancati anche i voti dell’ex primo cittadino Maurizio Cerroni, che mirava a correre nuovamente a sindaco.  

Le tessere di Conti

Davide Di Stefano

A distanza di sette mesi dalla vittoria bis di Caligiore, all’insegna dell’asse FdI-Lega, si è chiuso il tesseramento nel circolo del Pd Ceccano. Nel frattempo ci sono state le forzate dimissioni del segretario Davide Di Stefano, vittima sacrificale della disfatta, punito col commissariamento. Quello disposto dal segretario regionale Bruno Astorre e concretizzato dall’omologo provinciale Luca Fantini. Affidatosi a colui che, tra le beghe interne, deve fare più l’amministratore di condominio che il commissario: il capogruppo consiliare di Frosinone Angelo Pizzutelli. Che nel suo ruolo di commissario rende noto: «In attesa dei dati relativi alle tessere online, sono 107 quelle sottoscritte in presenza dietro prenotazione, nel rispetto della normativa anti Covid».

Conti, di quelle 107, ne rivendica almeno 70 di sua fattura. In altre parole: li ha fatti tesserare lui. E lancia tre messaggi: «Che ognuno si assuma le proprie responsabilità, il congresso sia con lista unitaria e veloce, e il Provinciale non si intrometta». Andiamo per gradi. Di quali responsabilità parla? Ovviamente della decisione di farlo fuori: a suo modo di vedere «immeritatamente e a discapito del Partito». «Ma, per ora, li ho perdonati per il bene del Pd». Anche perché si è seduto sulla riva del fiume Sacco, ha aspettato ed ha visto passare i cadaveri dei suoi nemici interni. E, per ora, non serve accanirsi sui corpi delle vittime politiche.

Congresso fast

Sul fatto che il congresso cittadino debba svolgersi il prima possibile sono tutti d’accordo. In primis la già dissidente ala di Maurizio Cerroni, suo figlio Davide ed Elisa Tiberia. Che, come i Democratici per Ceccano tenuti in riga dall’ex amministratore Pietro Masi, fanno riferimento alla corrente maggioritaria provinciale Pensare Democratico: guidata da Francesco De Angelis e incarnata dai consiglieri regionali Mauro Buschini e Sara Battisti. Che ha detto “sì” a Corsi e “no” a Cerroni e Piroli: l’altra competitor, considerata troppo di sinistra, di Caligiore.

Giulio Conti e Antonio Pompeo

Conti, invece, sta con Base Riformista: la corrente minoritaria del leader Antonio Pompeo. Che, dopo la batosta elettorale di Ceccano, non ha affatto nascosto che lui avrebbe puntato su Piroli: probabilmente, senza spaccatura del centrosinistra, sarebbe arrivata ma avrebbe perso al ballottaggio. Ma almeno non sarebbe stata una figuraccia.

Ora la diretta interessata guida il coordinamento di centrosinistra “Il Coraggio di cambiare”. «La Piroli? Nella grande famiglia da ricostruire, per battere il centrodestra, nessuno è escluso», dice Conti parlando dell’ex Segretaria che ha contribuito a defenestrare. In pieno accordo con De Angelis e Cerroni. Una rottamatrice, d’altronde, non poteva di certo avere lunga vita in un partito di “grandi vecchi”. Lei li definì, senza mezzi termini, «capibastone».

Un regolamento di… Conti

Anche allora si puntò su una lista unitaria: di fatto ipocrita. Per ostentare unità e tentare di celare le divisioni. È andata a finire che i panni sporchi sono stati lavati spesso alla luce del sole. Ed erano macchie difficili da far sparire: sono rimasti gli aloni.

Perché Conti riparla di lista unitaria? Perché, ora che non è più capogruppo consiliare, punta a diventare Segretario. Ovviamente è difficile farglielo ammettere. Si limita a dire che «Giulio Conti è stato, è e resterà sempre a disposizione del Partito». Tra le righe: è ora di ripagare il torto subito. Ed è padre putativo del 70% dei tesserati.

Ma è come fare i conti senza l’oste. Perché, se non lo volevano come capogruppo, perché dovrebbero volerlo come Segretario? Da qui un ultimo e più esplicito messaggio: «A Ceccano è ora di avere massima autonomia. La Federazione provinciale non deve mettere più i bastoni tra le ruote», sbotta in conclusione il “secessionista” Giulio Conti.

Perché, come nell’omonimo western, la vendetta è un piatto che si serve freddo. Ma, dall’altra parte, la vedono come una minestra riscaldata.

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