Gli alfisti ed i 110 anni di un mito intramontabile

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I 110 anni dell'Alfa Romeo e i personaggi nostrani che si sono innamorati di quel rombo. Dalla 164 di Petrarcone alla 1750 di Ferrara, dall'Alfretta di Patrizi alla Brera di Mastroianni. L'Alfasud di D'Alessandro o la GT Junior di Mamalci. E tantialtri ancora. Una storia che a Cassino trova un senso ancora più netto. Perché a Cassino le Alfa le fanno.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il morbo ha un sintomo preciso. Se ti è entrato nel sangue, si sta diffondendo nel tuo organismo, dopo pochi giorni si manifesta. Con un dubbio, un tarlo nella mente: “passo il week end in pista con l’Alfa o al letto con la ragazza?”. È il segnale di una mutazione: quella che trasforma un comune automobilista in un Alfista, cioè il felice proprietario di un’Alfa Romeo. Si ritiene che il vero Alfista sia quello che sceglie la ragazza ma lo fa con rammarico.

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Nelle ore scorse l’Alfa Romeo ha spento 110 candeline e lo ha fatto con la soddisfazione assoluta di essere riuscita in una cosa che alle case automobilistiche non viene sempre bene: creare una categoria. Sostanziare cioè un certo modo di intendere l’auto e sagomarlo in un certo modo di vedere la vita, fino al punto che i due coincidono.

E fino al punto da marchiare la storia con il fuoco di un rombo che solo quelli del Biscione conoscono. Quelli che ci hanno lavorato dal 24 giugno 1920. È la storia che si fa rombo, ammortizzatore sdrucciolo e assetto sportivo. Ma anche eleganza innata e predona, anche quando devi andare a fare un’ortopanoramica.

L’Alfa Romeo la ami. Come si ama un marchio che a Cassino ha una cifra emotiva ancora più alta. Perché a Cassino le Alfa le fanno. Come la amano le persone di cui abbiamo raccolto la voce.

Peppino Petrarcone: un sindaco da corsa
GIUSEPPE GOLINI PETRARCONE

Giuseppe Golini Petrarcone è stato due volte sindaco di Cassino. Viene da una vera stirpe di alfisti, e lo ricorda con orgoglio. L’orgoglio di essere stato anche il sindaco ‘sprint’ della Città Martire guidando un’Alfa.

«La mia passione per la Casa Automobilistica del Biscione è nata quando ero ancora un bambino. Ricordo ancora con nostalgia la Giulietta blu di mio nonno Francesco Casale. Con lei le due Giulietta Sprint di mio zio Marsilio, una rossa e l’altra grigio metallizzato. Tutte e due purtroppo preda del ladri in quel di Roma. Ricordo ancora il mio pianto quando lo seppi. Poi, sempre in famiglia, ricordo una fiammante Alfetta di mio zio Renato. Montava un impianto stereo allora modernissimo».

Il bambino cresce, asciuga le lacrime, diventa giovane avvocato: arriva il momento di comprare l’auto. «Quando finalmente è arrivato il mio momento non ho avuto dubbi: ho scelto un’Alfa Romeo. Era appena uscita l’Alfa Romeo 164, che era l’auto del cattivo, Tano Cariddi nello sceneggiato “La Piovra”. Lusso sportivo ma con classe, potenza ed eleganza, cavalli sotto un abito da sera».

L’ALFA 164

L’ordine dal Concessionario è una formalità. Alfa Romeo aveva a Cassino la sua casa storica all’ingresso della città. «La ordinai alla concessionaria Alfa Romeo di Mario De Rosa. Era un’auto bellissima, blu scuro elettrico. Qualche anno dopo lo stesso compianto Mario invitò me e mio fratello sul circuito di Vallelunga. Lo fece per la presentazione delle nuove Alfa Sprint ed Alfa Spider. Le provammo e ne rimanemmo entusiasti, tanto che immediatamente la ordinai e nel giro di qualche settimana mi fu consegnata. Alfa è uno stile: in strada e nella vita».

La Spider del ’96 e il fascino che non muore mai. Peppino Petrarcone ne rimane rapito. «Era nera con interni crema, da brivido! Forse non era proprio adatta per il ruolo che svolgevo. Correva (è il caso di dire) l’anno 1996; ero sindaco di Cassino».

Alfisti si rimane dentro. «Ancora oggi, pur non possedendo più un’Alfa Romeo, ne subisco il fascino indiscusso. Ma mai dire mai! Spero, e credo sia un auspicio di molti, che questo nostro stabilimento continui a sfornare tante auto ancora di quel marchio, che si impose nel primo Campionato del Mondo di Formula 1 nel 1950. Che bella storia!».

Marco Ferrara: sfrecciare con i bolidi disegnati da Bertone
Marco Ferrara

Già vicesindaco di Frosinone ed oggi Capo ufficio Stampa della Asl con un piede nella meritata pensione, Marco Ferrara non ha dubbi. I colori dell’Alfa sono come i colori della squadra del cuore: per sempre.

Lui la butta subito sulle prestazioni. Prova provata che è alfista doc. «Sono Alfista da sempre, sin da bambino grazie a mio padre. Ed ancora oggi, ormai ultra sessantenne lo sono. Eh si, perché se si è alfisti lo si è per sempre. È come la passione per la propria squadra del cuore. Oppure, per chi la ha, una fede politica che non muta alle prime convenienze. Conservo ancora l’adrenalina, l’entusiasmo irrefrenabile, che mi suscitava agli inizi degli anni ‘70 il rombo del motore. Un motore da 2600 cc e la velocità quasi da F.1 per quei tempi (224 all’ora effettivi)».

Da bambini si pensa che tutto sia una corsa a premi, una sfida ad arrivare primi. In autostrada c’era poca storia, crescendo e diventando proprietario di una mitica 1750 si scopre che in montagna c’era più gusto.

«Impossibile dimenticare la sensazione di orgoglio e la “fanaticheria” che mi permettevo nel salutare e lasciarmi dietro in Appennino qualunque auto osava avvicinarsi o sfidarmi. Questo mentre andavamo a Bologna a trovare mia zia. L’Autostrada del Sole non era così trafficata, realizzata da pochi anni aveva un manto stradale che permetteva quelle folli velocità. La stessa cosa con la successiva 1750 verde bottiglia con sedili in pelle. Ambedue carrozzate da quel sarto mago della matita che di chiama Bertone».

ALFA ROMEO 1750 GT VELOCE

Poi la mette giù tecnica, roba fina. «Il rombo, la potenza, la tenuta di strada (grazie al ponte De Dion montato sulle vetture da corse). E ancora, la precisione e la morbidezza del cambio a 5 marce (tra le poche ad averlo di serie) costituivano elementi quasi esclusivi e performanti. E poi le discussioni con gli amici del quartiere dove c’era chi tifava Lancia e chi Fiat, allora rigorosamente separate e competitive. Si discuteva come per le squadre di calcio, poi sarebbe accaduto per le passioni politiche».

C’era un reparto core guidato dal mitico ingegner Carlo Chiti, impegnato in una sfida alla tecnica ed alla rivale Ferrari.

«L’Alfa aveva le versioni quadrifoglio verde ancora più cattive e performanti. In pista battagliava, spesso vincitrice. Lo era nelle corse del Mondiale Marche con Ferrari e Porsche. Lo risultava con la ’33’ magistralmente preparate dal grande ingegner Chiti. Un alfista vero non può dimenticare neppure che la Ferrari ha avuto come mamma l’Alfa Romeo. E che dalla mitica Casa del Biscione si staccò il Grande Enzo Ferrari».

Giuseppe Patrizi: le mie strade di manager fatte tutte in Alfa
Giuseppe Patrizi

È stato è stato Presidente della Provincia di Frosinone. Ma prima Peppe Patrizi ha rivestito il ruolo di manager nell’industria nazionale. Dalla Motta di Ferentino a quella di Milano, dalla CGD Discografica ed i suoi festival di Sanremo al Pastifico Amato in Campania.

«Essere Alfisti in quegli anni era un obbligo. Trasmetteva un senso di successo, traguardo, personalità. Un giovane manager rampante non poteva che essere Alfista».

Eleganza e velocità. In garage Peppe Patrizi ha avuto due Giulietta negli anni Ottanta, poi «una Alfetta 2000 diesel e una Alfetta quadrifoglio oro. E ancora un’Alfa 90-6V. Mi colpiva l’affidabilità e la grinta che avevano nel motore. Se affondavi il pedale sentivi tutta la potenza scaricata a terra. Auto che già all’epoca tenevano conto della comodità e dei lunghi viaggi». L’ex manager ed ex presidente della Provincia è un alfista che deve al Biscione una cosa forse ancor più importante del brivido di un motore tellurico.

«Ho girato l’Italia in lungo e in largo con le Alfa. La sera ero a Ferentino e la mattina facevo colazione a Milano: mai avuto un problema. Erano auto fatte davvero bene».

Alessio Mastroianni e l’arroganza stilistica della Brera
ALFA ROMEO BRERA

Alessio Mastroianni, manager della Osi, una delle principali società specializzate nella Green Technology nel centro Italia tiene in punta di lancia il design di Alfa. Una sorta di marchio di stile cioè che disegna perfettamente l’accezione alta che al design si dà a tutto ciò che è tricolore. Lui si gioca l’asso della Brera.

«Per amare una Brera occorre amare il design, nell’accezione italica del termine. Non è solo un discorso di materia, forme e linee. Sono vibrazioni emotive che raccontano il tuo modo di essere e di affrontare la vita. Vita sportiva, elegante, leggera, impegnata».

Se n’è innamorato appena l’ha vista in strada. Mostro di stile e potenza, concentrato di italianità.

«Personalmente è una sorta di logo della mia persona, in grado di adattarsi ad ogni contesto. Per questo non me ne priverò mai, anche quando sarò costretto a cambiare. Esistono pochi elementi in grado di trasmettere una sana arroganza stilistica. Non è esagerazione, ma consapevolezza di appartenere ad un grande Paese, in grado di produrre simili capolavori».

Carlo Maria D’Alessandro: amarcord in Alfasud
Carlo Maria D’Alessandro Foto © Stefano Carofei / Imagoeconomica

Ex sindaco, Carlo Maria D’Alessandro è anche uomo è uomo di amarcord. «Ricordo ancora il giorno in cui andammo a prendere la Alfasud 1200 Quadrifoglio Bianca, presso la concessionaria Alfa Romeo del compianto Mario De Rosa. Con noi c’era anche mio zio Cesare Cerrone, grande esperto di autovetture».

La memoria del bambino rimanda ricordi precisi. «Era una macchina sportiva molto particolare. Veloce, con guida aggressiva, ottima ripresa. Ed anche non difficile da manovrare nonostante in quegli anni non esistesse il servosterzo».

Guidare un’Alfa non era semplice. Trazione anteriore, retrotreno da dominare, nervosa nelle curve: occorrevano doti che non erano necessarie per le berline più tranquille. «Non posso dimenticare le prime guide con mio padre. Ero quasi in preda al panico per paura di qualche “inconveniente”. Purtroppo fummo costretti a darla via perché era una 5 porte molto lunga. Mio padre, che non vedeva da un occhio aveva grosse difficoltà a guidarla. Decise perciò di darla via. Devo essere sincero, me ne sono privato con grande dispiacere. Questo perché è stata la macchina della mia adolescenza. E la prima sulla quale ho imparato a guidare».

Ranieri Mamalchi e la mitica T.I.
Ranieri Mamalchi

Il presidente Ranieri Mamalchi è un manager di spessore internazionale: è stato a lungo il capo della diplomazia di Acea ricoprendo l’incarico di Responsabile delle Relazioni Esterne. Al Governo è stato il potentissimo Capo di Gabinetto nel Ministero delle Politiche Agricole. A Frosinone ha guidato una delle fasi più turbolente di Ato5. Anche lui è un appassionato di Alfa Romeo.

È lui a ricordare il rispetto che le Alfa suscitavano anche negli avversari. «“Ogni volta che vedo passare un Alfa Romeo io mi tolgo il cappellodiceva Henry Ford, uno che di auto se ne intendeva». Ricorda i molti gli alfisti noti del ‘900: «le guidavano Benito Mussolini, Gigi Riva, lo Scià di Persia, che condividevano con tutti gli altri, la moltitudine dei meno noti, l’emozione che la guida ed il rombo dell’Alfa gli procurava».

In casa Mamalchi l’Alfa entra presto. «La prima auto che ho conosciuto in vita mia fu una Alfa Romeo: la Giulietta T.I. di mio padre. Mi sembrò subito bellissima. Mio padre ne parlava benissimo, con orgoglio, questo provocò il mio innamoramento. Poi ci furono altre Alfa Romeo in casa. Il simbolo dell’Alfa mi ha accompagnato nella crescita stimolando una sviscerata passione per la guida».

ALFA ROMEO GIULIETTA T.I. FOTO THESUPERMAT

Impossibile, con queste premesse, non essere un Alfista. Infatti, «quando arrivò il mio turno fui sicuramente fortunato e riuscii a coronare il sogno, cullato fin dall’infanzia, di avere la mia prima Alfa Romeo: una Giulia GT junior 1300. Ero anch’io, come mio padre, un alfista».

Guidare un’Alfa voleva dire trasmettere a chi ti guardava un messaggio chiaro. Quello che oggi verrebbe chiamato Lifestile o Status. «Possedevo un auto che non era solo un mezzo di trasporto, ma una filosofia, uno stile di vita, un’ icona italiana ammirata in tutto il mondo. Eppoi mi sembrava di avere mio padre vicino e di poter condividere con lui, che mi aveva fatto appassionare alla guida ed insegnato tutto quello che sapevo, l’emozione del rombo caratteristico del motore e quella particolarissima sensazione di spinta sul sedile che provavo quando, spingendo sull’ acceleratore, si apriva il doppio corpo del carburatore ed il rombo diventava musica».

Le versioni sportive poi erano fatte per appassionare. Non occorreva altro. Ci si concentrava sulla guida, ci si godeva la strada. «Quella musica teneva compagnia, non c’era bisogno di autoradio per sognare, si ascoltava il motore. Ed anche un piccolo spostamento aveva il sapore di un’avventura, qualcosa che sembrava non poter essere per tutti, ma solo per chi…era nato alfista. Che bello!»

Andrea Amata e l’icona del Duetto
Andrea Amata

Editorialista e già vice presidente della Provincia Andrea Amata di Frosinone, chiama in causa un must assoluto. Come altro chiamare il Duetto?

«Sin da adolescente il sogno ricorrente di guida aveva le fattezze dell’Alfa Spider. Rappresentava l’icona stilistica per eccellenza del segmento sportivo automobilistico. La famosa “Duetto”, abbozzata da un gruppo di disegnatori della Pininfarina negli anni ‘60. Un’auto che ha avuto una longevità di produzione che premiò l’intuito visionario di chi ne principiò il successo planetario».

Chi è nato negli anni Sessanta ha preso in pieno quel mito, ne ha subito il fascino, anche se era bambino.

«La mia generazione è cresciuta con il mito indiscusso della spider dell’Alfa. Quando ho avuto la possibilità di coronare il sogno di gioventù non ho esitato ad acquistare, a 27 anni, un’Alfa Romeo Gtv/Spider 1.8i 16V Twin Spark. Era colore argento con cappotta di tela nera. Aveva cambio rigorosamente manuale per gestire e domare la potenza del veicolo senza filtri. Aveva la dote di rimanere in assetto stabile, ma non rigido, in curva, appagando in modo estatico il piacere di guida».

Alfa Romeo Gtv/Spider 1.8i 16V Twin Spark

Guidare un’Alfa dava un piacere che spesso si decideva di fare i viaggi in auto e non con il treno. «Ricordo un week end trascorso in Toscana. Un’emozione che ricordo con grande nostalgia».

«Nostalgia intesa non come rimpianto per il passato, bensì come “venerazione” per la vocazione. A cosa? Ad essere avanguardia di una tendenza che il marchio Alfa ha rappresentato negli anni. Steve Mc Queen negli anni ’60, dopo aver testato la guida dell’Alfa Romeo Spider ne elogiò le caratteristiche. “It is a very forgiving car. Very pretty, too” (L’auto è facile da guidare. Ed è anche molto graziosa)».

Daniele Natalia, l’irlandese e il pezzo unico
Daniele Natalia

Il sindaco di Anagni Daniele Natalia ha un aneddoto gustosissimo. «Quando ho compiuto 18 anni mio padre mi diede la sua macchina. Era un’Audi che mi conteneva 10 volte». Iniziano le scorribande per le strade di Anagni, le uscite verso Roma. Ma la passione è in agguato, spesso dietro un angolo o oltre un incrocio. E così fu per Natalia.

«Vidi questo bellissimo Duetto giallo. Ecco, quello è stato il mio primo finanziamento».

Finanziamento? «Si, impazzii letteralmente per quella macchina. Era bella, aveva una personalità tutta sua. Come si può spiegare: fu passione, amore a prima vista, colpo di fulmine. Al punto che un giorno tornai a casa e dissi che volevo comprare quella macchina. Mio padre mi disse: “L’auto già ce l’hai. Il tuo è uno sfizio e se è uno sfizio te lo paghi tu“.

Finì di fronte ad un impiegato di banca, cn papà Natalia a fare da garante ed il figlio che affronta la sua prima responsabilità da adulto: pagare le rate con puntualità. «Lui mi garantì, ma a pagare fui io, puntualissimo e mettendo in gioco la mia ‘paghetta’».

ALFA ROMEO DUETTO

Il Duetto è una passione unica, inimitabile. «A quell’età avere un Duetto era bellissimo. Faceva una scena incredibile, una vera macchina ‘alla Fonzie ciociaro’. Quando la diedi via me ne pentii subito dopo».

Andò ad un appassionato, un intenditore. «La comprò un collezionista irlandese. La particolarità di questo Duetto era che si trattava della versione 1600 a benzina. Non la facevano di colore giallo. Siccome però quella era appartenuta ad un dirigente dell’Alfa Romeo lui se l’era fatta verniciare apposta. Quel colore era previsto solo per la versione 2000. L’irlandese lo venne a sapere e dalla madrepatria scese in Italia e se la portò da lui».

Mario Abbruzzese, l’autarchia ritrovata, nel nome dell’Italia
Mario Abbruzzese Foto © Daniele Scudieri / Imagoeconomica

Già presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Mario Abbruzzese è un ‘pentito’, e come tutti i pentiti è il più accanito fan dell’Alfa.

«Dopo tanti anni alla guida di macchine straniere ho deciso. Ho voluto acquistare in un momento difficile per le case automobilistiche del nostro paese un prodotto Made in Italy. Credo che in questo particolare momento storico bisogna dare fiducia all’Italia e alle nostre eccellenze. Questo è il motivo che mi ha spinto ad acquistare la mia Stelvio, un’auto con delle prestazioni eccellenti, con un’ ottima tenuta di strada e una tecnologia all’avanguardia. Ho viaggiato molto con la mia auto e tutti i suoi confort hanno reso i miei viaggi speciali e meno faticosi».

Oggi Alfa è anche un concentrato di tecnologia, al passo con i tempi e con le sfide, cercando di mantenere quella sua caratteristica particolare. «Vi voglio raccontare però un aneddoto. Ero impegnato in una delle mie campagne elettorali e un giorno di febbraio freddo e nevoso non ebbi nessun problema (senza catene a bordo) a superare la tempesta. Un esperienza di guida, unica, che non avevo mai provato. Acquistare Italia fa bene all’Italia!».

Tradimento e pentimento di Danilo Picano

Danilo Picano, commercialista e già amministratore di Cassino, fa cominciare la sua storia da un ‘tradimento’. «È bene che inizi dalla fine della storia. Sai che la passione è una forte emozione che si tramuta in amore e a volte in rabbia. Il 29 febbraio, deluso dai continui rinvii del debutto dell’Alfa Tonale, preso dalla rabbia, ho acquistato una Bmw X2. Lasciando così per la prima volta il “biscione” dal giorno in cui ho preso la patente. Ho abbandonato quel biscione che solo chi lo ha nel cuore, sa che è simbolo di forza e potenza. Non dimenticherò mai la mia prima Alfa Romeo 147».

Bella, piccola, potente, incollata a terra. «La comprai dalla mia concessionaria di sempre, Ecomotori di Davide Papa. Aveva qualcosa di diverso dalle altre auto e per questo ne andavo fiero con i miei amici».

Un’auto capace di affrontare grandi viaggi senza protestare. «Arriviamo al 2008, quando tornando da un viaggio a Barcellona, in aereo avevo un pensiero fisso, l’Alfa Romeo Brera. Un coupé con gruppi ottici con tre faretti per lato, vergenti verso il classico trilobo con un profilo cromato di comprovata eleganza. Un’arma di seduzione di massa. Non ci pensai neanche un minuto».

«Siamo nel 2013, con l’arrivo della prima figlia le esigenze di vita sono cambiate. Serviva una macchina più spaziosa. Ritornai sempre nella stessa concessionaria ed acquistai una Giulietta. Arriviamo ai giorni nostri. La Giulietta avevo oramai deciso di cambiarla e desideravo un piccolo Suv. La passione mi spingeva ad aspettare ancora il nuovo Tonale. Niente da fare. Solo annunci. La passione è diventata rabbia. Come è andata te l’ho raccontato all’inizio della storia. Comunque ti posso assicurare che è stata una bellissima storia».

L’incendio indomabile di Veronese
ALFA ROMEO ALFASUD SPRINT VELOCE

Paolo Veronese si occupa di sicurezza e prevenzione: la sua Technology evita che scoppino gli incendi nelle fabbriche e fornisce gli estintori per domarli. Ma c’è un focolaio che non ha mai potuto domare: la passione per l’Alfa Romeo. «L’amore per questo marchio è per alcuni diventata quasi una religione: l’Alfismo. Il mio primo contatto diretto con un Alfa Romeo fu all’età di 13 anni, mio padre ebbe un incidente con la sua Renault andò in mille pezzi e mentre decideva se comprarne una nuova o riparare la Renault acquistò da un amico una Alfasud Sprint Veloce color crema. Per chi non la conoscesse vale davvero la pena andare a vedere cosa l’alfa Romeo era stata capace di realizzare».

Già l’Alfasud era uno dei primi esempi di vettura a metà tra lo sportivo ed il familiare ma la versione SV non ammetteva vie di mezzo: grinta e velocità. «Mi ricordo il piccolo motore con carburatori a doppio corpo, e un volante pionieristico: il pilota (perché così si sentiva chi portava quell’auto) aveva tutti i comandi sul volante anche la regolazione dell’aria. Vista la mia età non ho mai avuto modo di guidarla ma è da sempre rimasta nel mio cuore.

Arriva il momento della patente. E della prima auto. Naturalmente un’Alfa Romeo. «Qualche anno più tardi avrei preso la patente, cominciato a lavorare e potuto finalmente acquistare un’Alfa. Alfa GT un amore a prima vista. Un auto a metà tra la comodità di una berlina (posti posteriori comodi e grande bagagliaio) unita a tutta la sportività che ti aspetti da una coupe».

Ma cosa cerca un Alfista? «Ecco l’esperienza di guida è forse la cosa che più si ricerca quando si acquista un’Alfa. Il potersi sentire “pilota” anche mentre sei in città, che non vuol dire correre o fare scorribande ma poter sentire un contatto diretto tra la strada e il volante. Come quando per andare sulle Dolomiti noleggiai una 159 sportwagon… finché non la guidai tra i tornanti e le salite quella parola sport non mi era poi così chiara! Non si tratta di velocità ma di affinità… le alfa sono in grado di creare un legame unico tra la strada e il conducente».