Gli appunti miliardari di Conte che la Ciociaria si ostina ad ignorare

Nel Recovery Fund ci sono 40,1 miliardi di euro. Che potrebbero finanziare la transizione green in provincia di Frosinone. le diverse visioni. I ritardi dei sindaci. Le regole. E la cucina a vista

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo ha detto questa mattina parlando a Montecitorio: «Recovery fund in tempi rapidi». Ha spiegato che «rappresenta un profondo e irreversibile cambiamento di paradigma delle politiche economiche dell’Unione». Lo ha fatto alla vigilia del vertice europeo che darà il via libera alla riforma del fondo salva-Stati (il famoso Mes).

A spingerlo è la consapevolezza che i miliardi previsti dal Fund sono l’ultima occasione per modernizzare il Paese. E se si sbaglia ad impiegarli sarà la fine per le prossime generazioni: obbligate a restituirli senza che nulla sia stato costruito.

Il pilastro per la Ciociaria

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

Un pilastro da 40,1 miliardi, uno dei 6 sui quali poggia il piano per modernizzare il Paese. I soldi sono nel documento di Ripresa e Resilienza messo a punto dal Governo Conte2: è quello finanziato dal Recovery Fund europeo e del quale questa mattina ha parlato il premier a Montecitorio. Lì il capitolo più ricco è quello per dare vita ad una rivoluzione verde. E una parte arriverà nel Lazio. Compresa la provincia di Frosinone.

Serviranno per passare dai combustibili fossili a quelli green. Tanto per essere chiari: Londra prevede di eliminare i veicoli a benzina entro il 2030, nei Paesi scandinavi vanno più di fretta. In Ciociaria la politica non si pone il problema: si divide tra favorevoli e contrari al Recovery come se fosse un derby di calcio. Il paradosso vuole che tra i pochi ad affrontare la questione di quei 40,1 miliardi ci siano le imprese del settore: chi fino ad oggi si è occupato di petroli ha già iniziato ad immaginare un mondo green. (Leggi qui A dicembre arriva il carburante green che fa bene all’Ambiente).

Perché è vero quello che da anni denunciano gli ambientalisti: una fetta concreta dello smog che finisce nei nostri polmoni viene da quei combustibili fossili e dalle polveri generate dalle stufe a pellet. Se n’è accorto qualche mese fa il sindaco di Anagni: la prima ondata di pandemia ha bloccato il traffico ed i livelli di inquinamento nell’aria sono scesi di poco; ha bloccato poi le fabbriche: il Pm10 è sceso di nulla; è arrivata la primavera ed abbiamo spento i riscaldamenti: l’aria si è pulita. (Leggi qui Dopo Covid-19, «La mia città green, smart, produttiva: nessuno provi a fermarci»).

Le regole del gioco

L’Europa ha stabilito che bisogna interrare il meno possibile

Ci sono alcune regole del gioco che troppi fingono di ignorare. La prima. Da anni l‘Europa e l’Italia hanno stabilito un principio: bisogna smettere di consumare il suolo per interrarci i rifiuti; siccome è impossibile si cerca allora di limitare al minimo l’interramento in discarica, riciclando i rifiuti e trasformandoli in nuova materia prima.

Da anni in Europa ed in Italia (ma non in provincia di Frosinone) gli avanzi delle cucine, gli sfalci dell’agricoltura, il letame delle stalle, vengono fatti fermentare e dai gas che si sviluppano si estrae il bio metano. È un’attività utile all’ambiente: tanto che la Commissione UE e lo Stato Italiano erogano contributi agli imprenditori che l’avviano. Perché? L’alternativa è interrare, inquinando. O

ra forse la provincia di Frosinone si prepara a cambiare orientamento: assumendo un ruolo guida. (Leggi qui Saf, si al metano bio con gli avanzi delle nostre cucine).

Non si fanno dappertutto

Francesco De Angelis all’ingresso dell’Asi

L’altra regola fondamentale è quella che stabilisce dove si fanno queste attività per non dare fastidio ai cittadini.

Il Piano Regolatore Territoriale del Consorzio Industriale ASI di Frosinone, è un documento approvato da tutti soci dell’ASI. Fra loro ci sono i Comuni di Frosinone, Anagni, Patrica e Ferentino. Lo ha ratificato la Regione Lazio nel 2008 ed all’articolo 8 indica le tipologie (i famigerati codici Ateco che identificano le attività) di attività che possono essere realizzate nell’ambito del perimetro delle aree ASI.

Fra queste rientrano le attività che si occupano di recuperare nuova materia prima da ciò che viene buttato. Perché lì debbono stare, lì debbono essere realizzati per non incorrere nei rischi di danno all’ambiente ed alla salute.

Le aree industriali sono state create anche per questo: sviluppare l’economia in zone nelle quali ci siano le infrastrutture adatte per gestire scarichi, emissioni, trasporti. In questo modo si evita di disperdere sul territorio gli insediamenti industriali, consumare suolo e creare rischi alla tutela dei beni paesaggistici ed ambientali.

Tant’è che la realizzazione di impianti industriali è vietata su suoli a destinazione agricola o residenziale.

Le irregolarità

Depuratore Asi

Certo che se i Comuni concedono ed hanno concesso licenze edilizie per la realizzazione di case (la classica villetta con giardino) a ridosso dell’area industriale, senza fasce di rispetto o compensazioni, poi non si può pretendere di vietare la legittima realizzazione di impianti industriali all’interno dell’ASI.

Se i depuratori industriali funzionano bene non emettono cattivi odori. A Patrica e Ceccano la puzza è stata micidiale per mesi. Insopportabile. Asi ha disposto che il gestore AeA effettuasse ulteriori accorgimenti, i carabinieri forestali hanno scoperto che schiume e fetori venivano da scarichi abusivi e non da quelli legali.

Si può pretendere che gli impianti Asi funzionino. E che i carabinieri forestali vadano a caccia di scarichi abusivi.

I ritardi della politica

Si può discutere del fatto che le infrastrutture dell’ASI ancora scontano un gap di adeguamento. Qui va introdotto un concetto: anche su questo ci sono pacchi di milioni europei, già assegnati. Sono quelli con cui realizzare le APEA, Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate.

Il processo di passaggio delle nostre aree industriali alle Apea è troppo lento e deve essere accelerato. Si può pretendere dall’ASI una maggiore attenzione ed intervento in tema di tutela ambientale, ma le regole del gioco, ovvero la possibilità di realizzare impianti, sono state definite dagli stessi Comuni soci dell’ASI che ora se ne lagnano.

Sono loro che, se vogliono, possono modificare il Piano regolatore ASI ed escludere determinate tipologie di impianti. Con il rischio, però, che un domani vengano collocate in luoghi ove i danni possono essere realmente gravi.

Bio si o bio no?

Dai rifiuti è possibile ricavare nuovi carburanti

Nei giorni scorsi è emersa la diversità di vedute tra le associazioni ambientaliste. (leggi qui Il coraggio che è mancato ai sindaci. E la sfida dei green).

Su un punto sono tutte d’accordo. C’è una gerarchia sulle cose da fare con i rifiuti. È quella stabilita dall’Europa. Assegna il primo posto alla prevenzione, seguita da preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di energia e, da ultimo, smaltimento (in discarica, ad esempio). Non sono d’accordo sul modo in cui realizzare quelle cose.

Spiega l’associazione Civis di Ferentino «In base al modo in cui raccogliamo e gestiamo i rifiuti facciamo innalzare i tassi di riciclaggio e reimmettiamo nell’economia materiali di valore. Oppure alimentiamo un sistema inefficiente in cui la maggior parte dei rifiuti riciclabili finisce nelle discariche o negli inceneritori, con effetti potenzialmente dannosi per l’ambiente e significative perdite economiche”.

Sul dibattito che si è aperto a proprosito del metano bio, Civis dice che «recuperare la frazione organica dei rifiuti (scarti di mense e cucine) con la produzione di biogas, evita che quei rifiuti finiscano in discarica o inceneriti, e quindi previene rischi ambientali e perdite economiche per i cittadini».

Basterebbe questo a troncare ogni polemica sulla realizzazione di impianti.

«L’economia circolare previene l’infiltrazione delle organizzazioni criminali, che invece hanno sfruttato e continuano a sfruttare l’economia lineare: lo smaltimento illecito dei rifiuti senza alcun trattamento o recupero, sotterrandoli (vedi questione Nocione a Cassino), o riversandoli nel Sacco o ancora conferendoli in discariche abusive (vedi i recenti processi a Ferentino). È una piaga che può essere sconfitta solo favorendo lo sviluppo delle attività dedicate al recupero e riciclo, anche e soprattutto della frazione organica dei rifiuti urbani, che costituisce il 30% della raccolta differenziata».

Schizofrenia della politica ciociara

Sulla questione emerge tutta l’arretratezza della classe politica ciociara sui temi ambientali.

C’è una contraddizione enorme. Da una parte si insiste a pretendere -giustamente – percentuali alte di raccolta differenziata. Dall’altra si ostacola pregiudizialmente la realizzazione di impianti che recuperano e riciclano.

La preoccupazione dei cittadini è fondata. Troppe volte questo territorio è stato sfruttato. Una delle possibili soluzioni è quella proposta a suo tempo dal presidente di Unindustria Cassino – Gaeta Francesco Borgomeo: la formula della “cucina a vista”. In sostanza, come avviene nei ristoranti stellati, attraverso una parete trasparente i cittadini possono vedere con i propri occhi i “piatti” che vengono realizzati, come vengono realizzati, con quali materie e come si giunge al prodotto finale. Insomma, tutto trasparente: dati, processi produttivi, risultati, vantaggi

Potrebbe diventare linea d’intervento politico. Soprattutto ora che arriveranno i fondi del Recovery per l’ambiente. I rappresentati politici ciociari l’hanno ignorata: è più facile soffiare sul fuoco della paura che esporsi, metterci la faccia e spiegare ai cittadini come riciclare i rifiuti.

Mancano visione, strategia, programmi e progetti di medio e lungo respiro.

Ed è emblematico che solo a Roccasecca, sede di quella che ormai si avvia ad essere la seconda discarica per grandezza del Lazio dopo Malagrotta, abbiano invece coraggiosamente puntato su quella che è l’unica vera e concreta iniziativa di sviluppo e risarcimento del nostro territorio: l’economia circolare. Nelle prossime ore ci sarà la firma di Enea sotto al protocollo d’intesa con Comune di Roccasecca, Cosilam, Università di Cassino.

Il nuovo modello di sviluppo è fondato sul recupero delle vocazioni agricole, sulla produzione di nuovi materiali derivati dalla canapa, il riciclo e recupero diventerà una realtà.

Aspettano il Recovery. Altro che sindrome di Nimby.