Gli errori (mediatici) di Peppino in queste elezioni

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

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Le ragioni politiche della sconfitta elettorale di Giuseppe Golini Petrarcone a Cassino verranno analizzate dalla Direzione Pd, sia cittadina che provinciale. Se troveranno una spiegazione che andrà bene a tutti non è ancora dato sapere. Un dato è certo: in provincia di Frosinone la politica non conosce ancora i concetti di ‘comunicazione strategica‘, di ‘persuasione occulta‘, di ‘strategia mediatica‘. E pensano che le comparsate in televisione, le lenzuolate sui giornali, l’indigestione di apparizioni su Facebook siano Comunicazione.

E’ sbagliato.

Fermo restando il risultato politico e le sue ragioni amministrative, il confronto tra Petrarcone e Carlo Maria D’Alessandro offre tanti spunti di riflessione per i comunicatori. La premessa è che una larghissima parte dell’elettorato non segue la politica durante l’anno e si affida a ‘sensazioni’ solo apparentemente dell’ultimo momento, dietro le quali ci sono tantissime ragioni inconsce.

IL PERSONAGGIO
Il personaggio proposto da Giuseppe Golini Petrarcone all’immaginario collettivo degli elettori non è lo stesso che aveva portato sui palchi nel 2011 vincendo. Quel Peppino Petrarcone era l’uomo solo contro tutti, fuori dal sistema dei Partiti, rifiutato da Pd e Udc. Un uomo pulito, fuori dal sistema, anzi contro la casta della politica. Il Petrarcone visto nel 2016 si è detto renziano (e le azioni di Matteo non rendono più molto sul mercato del consenso), non ha disdegnato l’appoggio del Pd che si è spaccato sul suo nome, ha accolto esponenti dalla spiccata connotazione politica come Marino Fardelli, Gabriele Picano, Niki Dragonetti; non ha disdegnato la presenza di autorevoli forze economiche come quella dell’imprenditore Salvatore Fontana che pur sempre un potere rappresenta. Il Petrarcone 2016 se avesse sfidato il Petrarcone 2011 avrebbe perso in maniera sonora.

LE COALIZIONI
La scelta della coalizione che lo ha sostenuto ha depotenziato molto l’immagine e la spendibilità del gruppo.
Le polemiche incrociate Petrarcone – Mosillo hanno acceso i riflettori sulle loro coalizioni. E quello che hanno visto non è piaciuto per niente all’elettorato. Chi doveva votare si è ritrovato due candidati sindaco di centrosinistra sostenuti da autorevoli esponenti di centrodestra: Niki Dragonetti su un fronte (la firma di un documento con pretese patenti antifasciste suona come una presa in giro: le posizioni ideologiche di Dragonetti sono note da anni e non fanno minimamente parte del patrimonio storico del Pci né della sinistra in genere), Massimiliano Mignanelli sull’altro fronte (è stato talmente berlusconiano che nel momento in cui ha detto di essere passato a Ncd in molti hanno pensato che pure Berlusconi vi si fosse trasferito). Meglio ha fatto Carlo Maria D’Alessandro che ha catalizzato su di sé l’attenzione facendo quasi sparire le liste a sostegno e trasmettendo un’immagine di schieramento essenzialmente civico, facendo dimenticare la sua connotazione di centrodestra. In questo lo hanno agevolato gli avversari: nessuno l’ha attaccato esasperando le posizioni estremiste dei salviniani che lo appoggiavano.

IL SIMBOLO PD
Il grande mistero di questa tornata elettorale è ‘Ma perché nessuno si è presentato all’assemblea Pd per votare l’assegnazione del simbolo?’ Se lo è domandato pure Francesco Scalia, ricordando in queste ore su Ciociaria Oggi: “A norma di statuto abbiamo preteso che fossero gli iscritti a decidere chi dovesse avere il simbolo Pd tra Petrarcone e Mosillo, ma nessuno si è presentato ai seggi. E non capisco perché”.
La regione invece è chiara: né la coalizione di Mosillo né la coalizione di Petrarcone volevano il simbolo Pd. Non lo volevano perché altrimenti una parte dei loro candidati sarebbe stata incompatibile: la bandiera del Pd avrebbe allontanato una parte dei candidati che avevano seguito Fardelli tanto quanto quelli che avevano seguito Mignanelli. Ecco perchè nessuno è andato a votare in sezione.

I MESSAGGI MANCATI
Il Movimento 5 Stelle ha vinto in molte città nelle quali era andato al ballottaggio perché dopo il primo turno ha cambiato strategia di comunicazione. I grillini si sono rivolti subito all’elettorato che non aveva raggiunto il ballottaggio, lanciando segnali rassicuranti. Nulla di più ma è stato sufficiente. A Cassino dopo il primo turno è iniziata una settimana di rancore nei confronti di Mosillo accusandolo di avere impedito la vittoria del centrosinistra al primo turno. Il che è anche vero. ma così è stato perso il suo elettorato. Per ‘rassicurarlo’ sarebbe bastata una dichiarazione del tipo: «Caro Francesco: ci siamo divisi ma ora la partita è finita. Se ne apre un’altra: il momento delle divisioni è finito. Veniamo entrambi dalla stessa matrice, diamo un segnale a questa città ed accogliamo insieme Nicola Zingaretti, stringiamoci la mano lealmente di fronte a lui ed alla città». Il che non significa fare un patto politico né mercanteggiare poltrone, ma avrebbe spogliato Mosillo: se avesse accettato l’invito avrebbe automaticamente travasato a Petrarcone il suo elettorato, se non avesse accettato avrebbe perso ogni ruolo ed il centrosinistra si sarebbe comunque riversato su Petrarcone. L’errore mediatico è stato non fare quell’appello e ancora di più demonizzare lo sconfitto.

LA COMUNICAZIONE PARAVERBALE
Dagli anni Sessanta tutti gli studi confermano che solo il 7% dell’attenzione va su quello che viene detto ed oltre il 30% va sul modo in cui viene detto. Emblematica la frase nel film ‘Il Discorso del Re’ quando il sovrano inglese risponde al figlioletto: “Non capisco una sola parola di tedesco, non so cosa stia dicendo il signor Hitler ma lo sta dicendo dannatamente bene”.
Sotto questo aspetto, a favore di Carlo Maria D’Alessandro ha contato l’esperienza televisiva fatta in età giovanile. Nei confronti, il suo linguaggio e la costruzione delle sue frasi è sempre stata diretta, immediata, senza subordinate né relative di terzo o quarto grado. L’eloquio di Petrarcone invece è stato tipico degli avvocati Civilisti in udienza, con frasi subordinate di più gradi che spezzano la comprensibilità del discorso. E allontanano l’elettore.

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