Il grande bluff del cinico De Angelis (che scopre i nodi del Pd)

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

A volerla mettere in matematica: li ha fregati tutti. Ancora una volta. Francesco De Angelis si è confermato il più abile giocatore d’azzardo al tavolo della politica provinciale. Alle primarie di domenica, come sempre, è riuscito ad alzarsi a fine partita portando a casa il massimo risultato nonostante si fosse seduto con il minimo necessario in tasca.

A svelare la sua cinica strategia, condotta in maniera magistrale, sono i numeri.

 

LA MATEMATICA
Le scorse elezioni primarie registrarono 12.500 voti per la mozione di Matteo Renzi. A sostenerla c’erano, come oggi, Francesco Scalia, Nazzareno Pilozzi, Simone Costanzo, Domenico Alfieri. Mancava proprio Francesco De Angelis che stava con Bersani.

Oggi nel listone per Renzi c’era anche Francesco De Angelis. Ed i voti sono saliti da 12.500 a 16.000. Diciamo che siano tutti i suoi e che l’ex premier non abbia portato nulla di suo, a differenza del trend nazionale. Ben 3.500 voti di dote.

Sedersi al tavolo con quei 3.500 voti in tasca gli ha consentito di portarsi a casa due delegati sui 6 eletti all’assemblea nazionale. Ha incassato un terzo dell’intera posta in palio.

 

LA LOGICA
La logica dice che però quella considerazione matematica rischia di essere solo un puro esercizio teorico. Perché? Perché il Partito Democratico che è andato alle urne domenica scorsa non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che ci andò nella tornata precedente. Non assomoiglia più di tanto al Pd che vide di fronte Pierluigi Bersani e Matteo Renzi 1.0.

Rispetto al primo Pd, quello di oggi non ha più tante anime: quella di Civati, quella di Fassina, quella di D’Alema. Ma è soprattutto il contesto ad essere differente. C’è un movimento grillino che ha iniziato ad affrontare la prova del governo in città strategiche come Roma e Torino, con opposti risultati. C’è un’onda di disillusione e malcontento che rende la partita di domenica del tutto diversa dall’altra.

Insomma, non sono valori paragonabili.

 

I VERI CONTI DA FARE
Forse sono altri, allora, i veri conti da affrontare. I fuochi d’artificio ed i coriandoli sparati subito dopo la proclamazione hanno coperto un dato tragico. E’ quello del Pd a Frosinone: scavalcato da Cassino a suoni di elettori. Ma soprattutto dilaniato ancora una volta dalle faide e dagli scannamenti alla luce del sole per la candidatura a sindaco. In città il Partito ha perso circa 800 voti. Con 576 iscritti al Circolo e poco più di mille elettori ai seggi, significa che solo qualcuno s’è portato la moglie appresso e molti nemmeno lei. A differenza di Comuni come Isola del Liri, Castrocielo, Giuliano di Roma…

E poi Cassino. Dietro a quei quasi 1500 voti c’è molto che non è Pd. La sempre potentissima Anna Teresa Formisano si è mossa. Francesco Mosillo, elenchi alla mano, stima di avere portato a Renzi più di 700 degli 850 voti presi in città. In fila al seggio c’erano noti esponenti di centrodestra e anche qualcuno di destra: chi hanno votato e perché?

Il Partito Democratico della provincia di Frosinone non potrà guardare avanti se non si farà queste domande. E se non gli troverà una risposta.

 

MA ALLORA CHI HA VINTO?
Che Francesco De Angelis abbia confermato la sua abilità strategica e la sua capacità di mobilitazione, pochi hanno dubbio. E che Francesco Scalia abbia centrato il risultato che voleva (l’elezione delle sue due candidate) è un’evidenza. Che Simone Costanzo abbia piazzato il suo uomo nell’Assemblea Nazionale è un dato di fatto. Nazzareno Pilozzi voleva avere il biglietto per l’Assemblea è l’ha avuto.

E allora? Ha vinto il listone. Cioè il fatto di stare tutti insieme. Uniti ciascuno da un suo risultato che voleva ottenere. E che ha raggiunto. Se poi qualcuno abbia speso più o meno, poco conta.

Un tempo, all’epoca del glorioso Partito Comunista Italiano, si chiamava Unità.

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