Il 4 Novembre dopo un anno sull’Altipiano (di L. Grassucci)

Il 4 novembre raccontato dagli zii che sul Piave c'erano stati, nella trincea ci avevano vissuto e combattuto. La memoria riassunta in Un Anno sull'Altipiano. E poi, dopo cent'anni, tutto che viene dimenticato.

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Ve lo confesso, sono stato “Un anno sull’altipiano”, mi sono fatto compagno il tenente Emilio Lussu e, forse per questo, quando vedo i ragazzi della Brigata Sassari mi esce la lacrima, a me granatiere di Sardegna.

Ma, bando alla ciance, è una storia di un secolo fa, ma per me è la mia storia.

 

Con quel libro, quello di Lussu, sono stato sugli altipiani di Asiago. Lì mio cugino, Graziano (ha il nome di mio nonno morto sotto un bombardamento americano a piazza del Quadrato a Latina), ha una casa di montagna, mi invita da anni, ma io non ci sono mai andato. Ci va mia sorella che è di altra pasta, pasta buona, rispetto alla mia che è frolla.

Ci sono stato sull’altipiano con i “dimonios”, i sassarini, piccoli e terribili che “facevano la Patria” gridando “Sardigna” per morire per l’Italia. Ho pianto tanto, ho avuto paura, ho sentito la morte nel fango.

 

Davanti casa mia a Sezze, c’è piedone, una statua gigante di un soldato che bacia la bandiera. Nonna, Za Pippa, me lo ha raccontato e raccontato mille volte, e mille volte di suo fratello Giovanni così forte da fare il presentat’arm con l’affusto del mortaio, al Piave.

Tutto era perduto, ma non tutto. Mio zio Mario Pagin, al fronte c’era stato e quando gli chiedevo: Zio ma hai ucciso? Lui si stava zitto, e raccontava sempre la stessa storia, che metteva il fucile fuori dalla trincea e sparava, sparava e ripeteva “ci, pum”, “ci pum”.

Poi zio Filippo Tartaglia che per gli accidenti di quella guerra finì in una missione internazionale in Siberia, per salvare nostri soldati finiti chissà come tra i bianchi contro i bolscevichi. E la scoperta, grazie ad un ufficiale giapponese, che ci si poteva lavare i denti e lui lo faceva con delle radici. Tornò a casa che la guerra era bella e finita, che il mondo era diverso. Ma fu il primo setino a lavarsi i denti.

 

Per anni la stessa domanda, la stessa risposta, forse voleva dirmi che si era salvato, solo questo.

Poi sentivo Cesare Battisti come mio eroe, irridentista e socialista, ucciso per mano di imperatore.

Per questo mi offende che quell’evento a 100 anni, sia dimenticato e vuoto, per quanto è stato pieno per me.

È retorica? No, è storia vera.