Aggiungi un nonno accanto (di G.M. Sacco)

Il 'Salotto' di Grazia Maria Sacco: pieno di sentimenti, emozioni, colori, tradotti in parole.

Grazia Maria Sacco

Vivo i tramonti come le albe. Con il sorriso. Ad occhi aperti e a piedi nudi.

Li scorgo dal balcone del mio ufficio, nel primo pomeriggio, soprattutto, o nell’aria della mattina fattasi già calda.

 

Li distingui subito, anche a distanza, anche se qualcuno sfida l’anagrafe e ostenta una pelle liscia come la pubblicità del lifting che ti è passata qualche minuto fa davanti agli occhi ( mentre facevi cadere i biscotti nella tazza di latte): sono lì che non hanno fretta, che si vogliono quasi quasi riprendere la rivincita con il tempo che per anni li ha stalkerizzati costringendoli a mettere in spazi piccoli e risicati coccole e giochi scanzonati: ora i nonni, a differenza dei loro figli divenuti genitori, si beano al sole spingendo passeggini e ascoltando ululati come fossero melodie incantate.

 

E mentre li vedo, quei bimbi vivacissimi arrampicarsi sulle ginocchia delle nonne sedute sulle panchine, mi ritrovo ad accarezzarmi le gambe, imitando il gesto antico di mia nonna Anna: ricordi che mi mettevo le calzemaglia rosse apposta per farmi dire da te che erano belle e che quelle gambette così svelte che c’avevo ci stavano proprio bene dentro?

 

L’infanzia non avrebbe avuto lo stesso odore che ora mi ritrovo attaccato alle ossa se non avessi avuto lei e i miei nonni; non mi porterei dietro quella prima impressione di amore grande, anzi sconfinato, che mi ha accolto fra le loro braccia, a farmi sentire importante, fuori dalla gabbie di ogni aspettativa, lontana dalle morse di preoccupazioni o facili entusiasmi.

 

L’amore che non ha spiegazioni e che sgorga naturale, senza pericolo di deviazione, nemmeno alla più profonda incomprensione.

 

Avrei avuto i piedi ghiacciati, come ora, senza le calze colorate, fatte a mano, rinnovate di modello e fantasia anno dopo anno, uscite fuori dalle mani laboriose di nonna Giovanna, che poi mica era la mia di nonna, ma bensì della mia amica di infanzia Loredana: ma i nonni , ad un certo punto, sono di tutti, sarà che in ognuno dei ragazzi che si ritrovano accanto rivedono il nipote che studia lontano , o quella che si è appena presa una delusione d’amore, o la più ribelle o scapestrata.

 

Gli anziani amano come i bambini, e perciò ne hanno un disperato bisogno: possiedono entrambi l’ingenuità  del cuore, sebbene per motivi diversi.

 

Se i bambini si fidano del mondo perché non lo hanno ancora conosciuto, gli anziani hanno fatto di più, hanno compiuto il miracolo, ad un certo punto, di levigare il cuore con la consapevolezza che tutto quello che della loro vita hanno speso , tutto ciò che hanno investito, è tornato indietro, forte e rigoglioso , soltanto se seminato con amore e fatto in nome dello stesso.

 

Non hanno memoria gli anziani, come i bambini.

 

Non si fanno venire il cuore gonfio rimembrando una delusione o un torto ricevuto: sorvolano con agilità, proprio loro che  si reggono ad un bastone o magari ogni tanto debbono fare delle soste per riposarsi durante il cammino: hanno imparato a selezionare, come quando di un film ti ricordi le scene migliori e ti resta stampato il lieto fine e lo rivedresti mille volte solo per riprovare l’adrenalina di quei minuti dove tutto si ricompone, ogni pezzo va al suo posto, i protagonisti escono vittoriosi e la vita pare schiudersi ad ogni desiderio, anche il tuo, che mentre guardi stai già pensando”magari accadesse pure a me”.

 

Perciò c’hanno tutte le rughe sul volto, i nonni: è il prezzo per averle tolte dal cuore, ed aver deciso di farne una mappa d’amore dipinta sul viso, che io da bambina mi divertivo ad esplorare, come fossero strade, da seguire, da toccare, da riempire di domande: mi pareva che dietro ad ogni ruga ci fosse una storia ed erano racconti vivi, tanto che potevi indovinare ora la ruga sulla fronte più evidente o quella attorno alla bocca farsi più larga: magari era una momentanea preoccupazione a gonfiare la prima o un sorriso di entusiasmo ad accendere la seconda.

 

Quelle mani così sottili di nonna Ana, incurvate dalla fatica, avevano la leggerezza e morbidezza dello zucchero filato che mi comprava alle feste di paese; sapevano guidare , senza che tu te ne accorgessi, e nel mondo , in qualunque posto vada, mi pare che lei, con quelle sue mani così lunghe e vissute, abbia costruito una ragnatela fitta di simboli, di vicoli, di odori, che mi riportano a quel microcosmo d’amore in cui ho avuto la fortuna di passare la mia stagione da bambina:  come a volermi inebriare l’aria ancora e per sempre della sua tenerezza.

 

Sai che mi manchi, e forse per questo l’altro giorno, mentre aprivo la porta del mio ufficio, ed era uno di quei giorni che ti tengono in sospeso un magone alla gola, che pare ti manchi qualcosa, ma non lo sapresti dire cosa, e perciò sei ancora più incertamente angustiata ( che se almeno sapessi cosa fosse potresti , che so, imprecare contro qualcosa di preciso o fare il giro delle chiamate delle amiche), mi hai fatto trovare davanti al mio portone il sorriso spalancato di una anziana signora, che mi ha invitato a prendere un caffè: mi è parso il tuo, caldo, di rito, messo dentro una di quelle tazzine colorate sopra la tua credenza così ordinata , e malgrado l’ora fosse di pomeriggio inoltrato, ho ricordato perfino che solo con te riuscivo a mangiare il brodo di pollo: mamma si ostina a replicare la tua ricetta, ma non lo sa che nessun ingrediente mi restituirà il gusto del tuo cucinare per me.

 

Non so se mai questa mia nuova amica mi cucinerà qualcosa tipico delle nonne, di quelle cose che devi mangiare perché stai “troppo sciupata”, ma so che ha a che fare con te, che dell’amore hai sempre pensato fosse come un mazzo di  coriandoli sparsi nel mondo, ai quali spettava a noi dare un volto, senza badare a nient’altro che al ritmo del cuore: se lo mantiene così senza rughe, se lo rendi smemorato, se lo lasci vagabondo e nomade, senza addomesticarlo a certe leggi umane del tempo e della vita, saprà superare anche la debolezza di un distacco.

 

Lo abiterà, senza esserne soffocato.

 

Ne conserverà l’essenza, moltiplicandola negli incontri, facendola splendere nelle infine possibilità dell’amore e le sue forme.

 

Tutto il tempo con la mia nuova amica/nonna l’ho riempito di te: non ne sarai sicuramente gelosa, perché lo so che mi hai ascoltato orgogliosa parlare di te e perché c’era una sola ed unica ruga aperta sul tuo viso: era quella che avrebbe consegnato te alla memoria indistruttibile del tempo, per farti vivere in ogni mio presente, a consegnarmi l’idea di futuro di cui tutti abbiamo bisogno per eccedere sempre d’amore e speranza.