I cinque che fecero la crisi. E che ora possono risolverla, a patto di cambiare tutto

Matteo Salvini in pochi giorni da uomo forte a cultore del rimpasto. Luigi Di Maio e Giuseppe Conte animati dalla rabbia di volersi vendicare del leader della Lega. Nicola Zingaretti dallo scenario delle elezioni subito al governo di scopo. Ma la verità è che nessuno ha visto arrivare un treno in corsa chiamato… Matteo Renzi.

Matteo Salvini, vicepremier, ministro dell’Interno e leader della Lega, è quello che ha dato il via alla crisi di governo. Lo ha fatto subito dopo l’approvazione della Tav, dopo il no dei Cinque Stelle. In un crescendo di dichiarazioni tra rimpasto e sfiducia vera e propria. Passando dal “qualcosa si è rotto” a “datemi pieni poteri”.

Matteo Salvini al Papeete

Sembrava avviato allo strike, insieme a Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia). Tenendo fuori Silvio Berlusconi e aprendo a Giovanni Toti (Cambiamo). Aveva calcolato tutto, perfino l’intesa con Nicola Zingaretti sulle elezioni anticipate.

Ma né lui né i suoi più stretti collaboratori hanno “visto” Matteo Renzi. L’ex rottamatore è arrivato come un treno in corsa, intestandosi il tentativo di un’operazione (l’apertura ai 5 Stelle per un governo di scopo) che Luigi Di Maio avrebbe fatto qualche giorno dopo. (leggi qui L’anticipo di Renzi che ha spiazzato Zingaretti)

Da quel momento in poi è nata una prospettiva diversa in Parlamento, palesatasi in occasione della calendarizzazione dei lavori. Salvini è passato in un secondo dall’uomo forte che si permette di dettare l’agenda della politica dal Papeete Beach di Milano Marittima al segretario di un Partito che rischia seriamente di passare tre anni all’opposizione. E infatti Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e numero due del Carroccio, non ha risparmiato critiche al Capitano.

Giancarlo Giorgetti Foto: © Imagoeconomica

Ora Salvini ondeggia tra una possibile marcia indietro (ma perderebbe la faccia e il carisma di uomo forte, L’ipotesi di retromarcia della Lega e la fiera dei paradossi) e andare avanti con la mozione di sfiducia. Sapendo però che se la spallata fallisce, non ci saranno tempi e opzioni per evitare l’estromissione dal Governo la traversata del deserto dall’opposizione. Sarebbe durissima. Se invece la mozione di sfiducia passa, sarà come riavvolgere il nastro delle ultime settimane e tornare alla piazza di Sabaudia.


Giuseppe Conte e Luigi Di Maio sono accomunati nel destino politico. La contrapposizione con Salvini è durissima, la possibilità di un accordo con il Pd, Leu e la sinistra c’è. Ma Di Maio dice: non trattiamo con Renzi. Che vuol dire ci rapportiamo con Nicola Zingaretti, il quale però non controlla i gruppi parlamentari. Complicato. Anche loro però non possono (a meno di non perderci la faccia) tornare a governare con la Lega come se nulla fosse. Avanti sulla strada dell’intesa con il Pd. Strada benedetta dal fondatore Beppe Grillo, dal guru Davide Casaleggio e perfino dal direttore de Il Fatto Marco Travaglio.

Zingaretti e Renzi

Il pallino resta nelle mani del Pd. Il “lodo” di Goffredo Bettini (leggi qui Il lodo Bettini allenta la tensione: dialogo Renzi – Zingaretti) sta dando risultati, ma si deciderà il 21. Anzi il 20. Per essere chiari: il 21 agosto c’è la Direzione Nazionale del Pd, dove il segretario nazionale Nicola Zingaretti ha la maggioranza. Quindi potrebbe perfino insistere sullo scenario delle elezioni anticipate e basta.

LUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE Foto: © Imagoeconomica, Benvegnu’ Guaitoli

Ma il 20, cioè il giorno prima, in Senato si dovrebbe discutere della mozione di sfiducia della Lega nei confronti di Conte. A meno che il Capitano non la ritiri. Se in quell’occasione Salvini dovesse andare in minoranza, il giorno dopo Renzi all’assemblea del Pd potrebbe dire più o meno questo: “Abbiamo la possibilità di mandare Salvini all’opposizione per tre anni (lui è cresciuto stando al governo, non all’opposizione). Che facciamo, andiamo alle elezioni e gli diamo le chiavi per eleggersi presidente del consiglio, presidenti di Camera e Senato e Capo dello Stato? Oppure proviamo a dare il nostro contributo per in governo di scopo, istituzionale, che metta in sicurezza i conti dell’Italia e intraprenda la via della crescita, riconquistando il nostro ruolo nell’Europa che conta e non in quella di Visegrad?”.

Ecco perché Zingaretti vuole arrivare ad una posizione unitaria prima dell’appuntamento del 20. Con un faccia a faccia con Matteo Renzi.