I dolori del (non più) giovane Prodi si chiamano Elly

La nuova linea del Pd porta qualche gioia nei sondaggi ma molti dolori in una parte del Partito. E Romano Prodi non si è astenuto dal fare un paio di chiarimenti

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Allo stato attuale Romano Prodi si trova nella stessa posizione di quei padri costretti ad essere bonari con i figli di cui non capiscono del tutto la condotta e dalle cui idee sono lontani anni luce. Però di mezzo c’è il sangue. Quello e la ragione suprema della famiglia da tenere in piedi. Allora quei padri fanno di tutto per capire comunque. Poi quando proprio non ci riescono ingoiano una secchiata di bile e ripiegano sui consigli miti che sanno benissimo che resteranno inascoltati.

Perché Elly Schlein, come tutti i “figli”, tira dritto per la sua strada. Che è esattamente quella della sconfessione dei padri e della rifondazione di un nuovo concetto di “famiglia”. Son dolori insomma, i dolori di un non più giovanissimo Prodi che sulle “scelte di piazza” della segretaria Dem ha avuto più di qualcosa da obiettare.

Step micidiali

Romano Prodi

Lo ha fatto da mentore pacato e scettico blu ma con tutti i tremori di quella vecchia guardia ulivista per cui la linea Schlein rischia di diventare il punto esatto di non ritorno per la ancor vigorosa componente catto-moderata del Partito Democratico. I dolori di Prodi passano tutti per un dato secco: ad Elly Schlein la socialdemocrazia piaciona non piace e lei ne ha messo il reset in punta di mission.

Lo ha fatto con una serie di step micidiali che hanno portato Prodi a dire a Myrta Merlino su La7 che “la piazza da sola non basta” e che “la politica si fa con l’analisi, lo studio e il dialogo”, per poi chiosare con un inquieto ed inquietante “se riduciamo tutto alla piazza finiamo male”.

Ma quali sono attualmente i dolori che il Professore si porta in petto? Il primo era quello pregresso del dopo primarie, quello che rimanda alla nuova trazione di un Partito talmente a sinistra da mettere in ombra le caselle composite di chi nel partito ci sta, magari in agguato, ma non è tutto di quella sinistra là.

La doccia del Question Time

Elly Schlein e Francesca Pascale (Foto: Clemente Marmorino © Imagoeconomica)

L’inquietudine generica è diventata sintomo pulsante quando nel Question Time con la Meloni la Schlein ha spiazzato tutti ed ha puntato sul salario minimo come tema di esordio. Lo ha fatto a mo’ di doccia scozzese, visto che prima aveva firmato una cambiale in bianco al Governo sul sostegno all’Ucraina. Quello del salario minimo e della contrattazione sindacale disgiunta dalla mission prioritaria di metterlo in agenda è un tema che sta al Pd pre-Schlein come i calli stanno ai piedi negli anfibi con i calzini da prima comunione.

E’ roba su cui i Dem di prima non hanno mai accelerato in punto di vigore argomentativo. E vederlo spiattellato “papale papale” ha fatto capire che era arrivato il primo dolore. Poi c’è stata la piazza, piazza nevrile sulla filiazione in omogenitorialità e lì è Partito il secondo dolore. Il Pd è ancora cattolico quel tanto che basta per rendere il tema urticante e le scudisciate prese in Senato a suo tempo dal Dl Zan sono ancora “fumus” per il sospetto che non a tutti dalle parti del Nazareno l’argomento provochi estasi barricadere.

Il dolore finale, l’ultimo solo in ordine di tempo, Romano Prodi se lo è preso in queste ore con le affermazioni di Schlein sulla legalizzazione delle droghe leggere. La Segretaria è nettamente favorevole e nel Pd ci sono divisioni ataviche che rimandano alle mille posizioni andate a fare massa critica nelle istanze composite del centro sinistra. Qualche esempio? A livello nazionale Fratoianni non è affatto in disaccordo con la Schelin, ma basta guardare a Cassino per capire che non tutto fila liscio sul tema.

Questo Pd non è un albergo

Solo per enunciazione artificiale di un fatto più specchiato che altrove, lì si può trovare un Luigi Maccaro che, per parte Demos, di certo da fuori recinto magari non disdegna il nuovo corso del Pd, ma per la parte che lo vede direttore di Exodus certissimamente disdegna la linea che vorrebbe la cannabis in libera vendita. Ovviamente quella cassinate è un’iperbole ma nei dem ortodossi quelli che sulle “canne free” sono più mannari di Giovanardi non mancano affatto.

Insomma, la piazza in cui è andata ad abitare Elly Schlein è esattamente il posto dove i “genitori” dem si mettono ad aspettare i figli tiratardi preparandosi il pistolotto sui doveri e su “questa casa non è un albergo”. Solo che Schlein non è scapestrata, è semplicemente diversa e incarna una diversità che tutti avevano invocato come punto di svolta per sanare antichi dolori. E portarne di nuovi ad un Partito che, per dirla col Professore, ha dovuto digerire quel “pugno chiuso” affidandosi alla mistica degli anni di piombo ormai cassati.

Ha detto Prodi: “Non è minaccioso: non ha in mano una pistola, si tratta, più che altro, di un simbolo per dire: stiamo insieme. Certo, ad esso bisognerebbe accompagnare un cuore aperto e un cervello fine”. Prodi sa benissimo che in petto ed in testa alla Schlein ci sono anche quelli, solo che sa anche che non battono proprio proprio per le stesse cose e non guardano agli stessi problemi.

E per questo lui prova dolore, che è il fratello infido della paura ed il padre dell’agguato.