I dubbi di Smeriglio, i segnali di D’Amato

I dubbi sul modo in cui si è arrivati alla candidatura di Alessio D'Amato. Se ne fa interprete l'ex braccio destro di Zingaretti, Massimiliano Smeriglio. I segnali del candidato: alla sinistra, agli ambientalisti ed al popolo del 5 Stelle. Ma non a Conte

All’architetto la nuova forma del centrosinistra nel Lazio non piace nemmeno un po’. Gli appare politicamente sbilenco, socialmente staccato dalle fondamenta e dalla storia. L’architetto è Massimiliano Smeriglio e lo chiamano così perché ha progettato il Campo Largo: il modello dal quale ha preso forma poco alla volta la maggioranza con cui Nicola Zingaretti ha governato il Lazio. È stata la più grande alleanza progressista dai tempi dell’Ulivo.

In Regione c’è stato per anni, come braccio destro del Governatore. Poi ha sentito il richiamo della politica: ha rinunciato all’amministrazione ed ha preso la via per il Parlamento Europeo. È da lì che commenta la nuova costruzione del centrosinistra nel Lazio: quella che ha preso forma all’improvviso due giorni fa. Con l’evento al teatro Brancaccio culminato con la designazione dell’assessore alla Sanità Alessio D’Amato.

I dubbi di Smeriglio

Nicola Zingaretti e Massimiliano Smeriglio (Foto: Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica)

«In un pomeriggio è cambiato tutto» ha detto Massimiliano Smeriglio rispondendo a Giuliano Santoro de Il Manifesto. La decisione del Pd di designare Alessio D’Amato come candidato alla Regione Lazio è «una scelta legittima. Ma si colloca in uno schema politico inaspettato, a mio modo di vedere destinato alla sconfitta e tutto spostato a destra. Auspico una rettifica immediata». 

E’ un cambiamento di rotta politica netto, radicale. Si passa dalla visione socialista europea di Nicola Zingaretti a quella liberale di Calenda e Renzi. Non sono esattamente la stessa cosa. Smeriglio lo paragona ad un testa – coda. «Questo nuovo assetto ci preoccupa, è fuori dagli schemi sperimentati sin qui. Ci troviamo in una terra incognita, apparsa all’orizzonte il giorno dopo la fine della esperienza Zingaretti». E c’è anche più di un filo d’amarezza: perché la fine dell’esperienza Zingaretti si è «consumata non tra applausi e ringraziamenti a Nicola per aver garantito quindici anni di governi progressisti tra Provincia e Regione, piuttosto tra il silenzio generalizzato».

A questa architettura si è arrivati come conseguenza di tante responsabilità. L’ex vice di Zingaretti non le nasconde sotto al tappeto. Per lui si è deciso di non provare a vincere sul serio: sarebbe stato possibile solo con una alleanza larga. «E qui le responsabilità sono anche della freddezza del Movimento 5 Stelle. Per le forze della sinistra civica ed ecologista mi pare complicato trovare piena cittadinanza in un contesto tutto spostato sul terreno moderato, liberista e energivoro. Il primo abbraccio di D’Amato è stato per Calenda. Il quale, ovviamente, fa il suo mestiere: smontare pezzo pezzo il Pd».

Ognuno fa il suo. Smeriglio non capisce cosa faccia il partito Democratico. «Qui non si capisce cosa fa il Pd, quale profilo programmatico e valoriale mette in campo. Il Pd rompe ancora una volta con il M5S consegnandosi ai populisti di centro, passando dalla vecchia vocazione maggioritaria a una vocazione alla sconfitta, subendo un’egemonia esterna, una sudditanza al senso comune delle élite mainstream incomprensibile».

I segnali di D’Amato

Alessio D’Amato

Le Primarie non gli interessano. Il suo nome circola da un paio di giorni ma «a noi interessa una proposta coerente, una Regione di pace, accogliente, una regione porto sicuro, del reddito per il cittadino in formazione, una Regione capace di investire tutto sulla conoscenza, la parità di genere e la transizione ecologica. E in un modo o nell’altro questo spazio politico lo presiederemo».

I segnali di Alessio D’Amato arrivano a strettissimo giro. Soprattutto arrivano da sinistra: il lessico è quello del post comunista, cresciuto nelle sezioni della Federazione giovanile del Pci, di quello che partecipò alla nascita dei Comunisti Italiani «Non rinnego nulla». Lo dice a Lorenzo De Cicco di Repubblica. «Rivendico la mia storia, come fa Meloni per la sua. Il Covid mi ha insegnato a essere pragmatico. Oggi sono tesserato del Pd, ringrazio tutte le forze politiche che mi stanno sostenendo, ma non voglio etichette. Non sono il candidato di qualcuno».

Il segnale è per i Verdi e per la Sinistra. Ricordare le sue radici è un modo per dire a Bonelli, Fratoianni & co ‘Io vengo dal vostro stesso mondo, capisco la vostra lingua’. Tenere quel mondo all’interno dell’alleanza è necessario per mantenere accesa la possibilità di vittoria. (Leggi qui: La forchetta per D’Amato: il Lazio è contendibile).

Il segnale sul termovalorizzatore

Giuseppe Conte

L’altro segnale è per il mondo del Movimento 5 Stelle. Alessio D’Amato toglie a Giuseppe Conte l’alibi del termovalorizzatore. «Non sarà nel mio programma». Perché? «È una scelta già definita dal sindaco Roberto Gualtieri, come commissario e dallo Stato. Il compito della Regione sarà aiutare Roma a uscire da una crisi che da un lato fa sì che la tassa dei rifiuti sia tra le più alte d’Italia e dall’altro aumenta l’inquinamento, perché i tir e le navi carichi d’immondizia fanno la spola con mezza Europa».

Non manda segnali a Giuseppe Conte. Li manda al mondo a 5 Stelle. Quello che sarebbe stato disposto a proseguire con il Campo largo in Regione. E che fino alla fine ha detto al suo presidente nazionale che invece nel Lazio si poteva fare l’alleanza anziché andare alla conta. Di Giuseppe Conte, Alessio D’Amato dice «mi ha proposto lui per l’onorificenza di ufficiale al merito della Repubblica, per il mio impegno contro il Covid. E gli direi anche che la patente progressista non l’assegna lui: appartiene alla nostra storia e alla nostra gente». È un segnale per i suoi elettori, non per lui.

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