Il 25 aprile del generale Aloia da Castelforte

Il generale di Castelforte, con due medaglie sul petto non ebbe dubbi su cosa fare. Appena liberi di scegliere lo fecero nel nome di una Patria che oggi esiste grazie a loro

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Visito il museo dedicato alla linea Gustav a Castelforte. Erano ragazzi, da entrambi le parti. Ragazzi. Ci sono mille storie in quel museo ma nelle ore a ridosso del 25 aprile può essere utile ricordare quella del generale Giuseppe Aloia.

Aveva due decorazioni ed era un ufficiale di Stato Maggiore, cioè quel settore che affianca il comandante nell’organizzazione e controllo di un reparto. Aveva cominciato da soldato semplice ed indossato i gradi da caporale e quelli da sergente: la gerarchia l’aveva percorsa tutta. Ed in ogni reparto: fanteria, mortaisti, telegrafisti.

Il generale Giuseppe Aloia

Conosceva la guerra, sapeva benissimo come stava l’esercito. Per questo aveva ben chiaro che la Seconda Guerra Mondiale fosse perduta in partenza: l’ingresso degli inglesi nel conflitto non era contemplato, fu uno dei grandi errori di valutazione dei due dittatori. E come lui lo sapevano tutti quelli con un minimo di visione.

Che l’8 settembre si trovarono ad un bivio. Non quello tra Monarchia e fascismo: ma se rispettare il giuramento di fedeltà al Re e passare per voltagabbana davanti alla Storia, oppure rispettare la parola data all’alleato e finire nella polvere con lui. Giuseppe Aloia non ebbe dubbi. Come tanti soldati e ufficiali italiani l’8 settembre rimase fedele al suo Re e non lasciò le armi ma le usò contro tedeschi e fascisti.

Il manipolo di Aloia

Aloia era di Castelforte e in quella terra italiana imperversava una guerra mondiale senza gli italiani se non come vittime civili. Organizzò un manipolo di uomini e fece la Resistenza, fece il suo dovere di italiano. Il manipolo crebbe e divenne Brigata e poi Divisione partigiana: così nota da prendere il nome di Gruppo Aloia. Gli valse, per l’attività partigiana svolta, una terza decorazione al valore. E nel 1944 si è chiamato in servizio a Roma presso lo Stato Maggiore del Regio Esercito. Concluse la carriera nel 1968 dopo avere svolto l’incarico di Capo di Stato Maggiore della Difesa. 

La guerra è bella ma fa male, canta Francesco De Gregori. In guerra si uccide e i buoni non uccidono meno dei cattivi. In guerra si muore, chi revisiona la storia dalla poltrona fa ingiustizia alla memoria e alla sua dignità. La Resistenza ha ucciso, ma si uccide anche per non morire.

Oggi è doveroso ricordare Aloia e i tanti soldati italiani. A Montelungo, scorrendo le tombe di quei ragazzi, si trova di tutto: un esercito raccogliticcio. C’erano fanti, granatieri, bersaglieri e addirittura su quelle colline caddero marinai e camice nere che combatterono per l’Italia e non fecero in tempo a cambiare mostrine. Raccogliticcio ma carico di dignità.

Gli italiani liberi sotto bandiera italiana tornarono a combattere per questa Patria che ha inventato la bellezza, è nata per poesia, ha superato in musica e si è innamorata di se al caffè. Non per odio ma per bellezza. Per questo siamo italiani della stessa pasta di Aloia e per questo vale resistere.