Il bambino e l’acqua sporca (di A. Porcu)

Sono giorni difficili per il Frosinone Calcio. Nei quali però si rischia di fare confusione. E gettare - come spesso accade - il bambino insieme all'acqua sporca

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Ci sono tre luoghi comuni in Italia. Le vicende che in questi giorni hanno attraversato il Frosinone Calcio sono riuscite nell’impresa di confermarli tutti in un solo colpo.

Il primo luogo comune è che “in Italia tutti sono in grado di fare il presidente del Consiglio dei Ministri e l’allenatore della Nazionale di calcio“. Verissimo: in questi giorni stanno analizzando, commentando e discettando anche quelli che nella loro vita non hanno mai dato un calcio nemmeno ad un Supersantos arancione.

Il secondo luogo comune è che “l’Italia è il Paese della caccia alle streghe, nel quale però tutti passano dalla parte della strega appena è stata catturata“. La simpatia emersa per Moreno Longo appena è stato avvicendato in panchina non raggiungeva quei livelli dall’epoca della promozione in Serie A. Peccato che fino a pochi giorni prima, le stesse persone si arrovellassero se fosse più adeguato impalarlo o farlo allo spiedo.

Il terzo luogo comune: “In Italia si getta il bambino insieme all’acqua sporca“. Il rischio è esattamente questo.

L’acqua sporca

Quale sia l’acqua sporca è sotto gli occhi di tutti: il Frosinone è penultimo in classifica. Il che può anche starci. Perché andrebbe rammentato che avere in Serie A la squadra di una città con appena mezzo milione di abitanti è un miracolo.

Non può starci invece il modo in cui si sta lì. Il mitico Orfeo Pianelli, tra il primo ed il secondo tempo di un derby che il Toro stava perdendo, negli spogliatoi disse ai suoi calciatori “Per me potete anche perdere la partita, ma l’importante è che quando tornerete qui abbiate prima rivoltato tutte le zolle del campo e almeno scheggiato i pali e la traversa avversaria“.

Si può essere penultimi in Serie A, non si può stare lì senza avere fatto sputare l’anima ai giocatori avversari. Anche se indossano una maglia a righe bianche e nere ed hanno in squadra un tizio che si chiama Ronaldo.

Se occorre un ripasso su cosa significa ‘crederci‘ telefonare ad un tale Claudio Gentile e chiedergli di esibire il brandello di maglia che strappò a Diego Armando Maradona (mica Ronaldo) durante l’indimenticabile partita del Mundial ’82.

Quella partita potevamo perderla, perché eravamo la squadra più cialtronesca e arrabattata del girone: la vincemmo perché mandammo in giro per il campo gente con la maglietta strappata, i morsi dei nostri terzini sui polpacci dei loro attaccanti.

Il vocabolario di Stirpe

Il presidente Maurizio Stirpe lo sa. Ed ha il difetto di quelli che apprezzano il barone De Cubertin ma preferiscono vincere. Per lui l’obiettivo minimo è la vittoria. Possibilmente a mani basse.

Ha mandato in giro con la maglietta strappata un mucchio di supponenti: portando il suo Frosinone in Serie A (e peccato che l’irraggiungibile Rino Gaetano fosse morto da tempo, in una delle sue canzoni più famose l’aveva messo nell’elenco delle cose impossibili); riportandocelo una seconda volta, dimostrando che non era un caso; costruendo in due anni un gioiello di stadio.

Perdere è la seconda cosa che lo fa arrabbiare di più: la prima in assoluto è che qualcosa non sia andata come doveva e come lui voleva. Quando si è abituati a vincere, brucia di più.

Qualcosa non è andata. Brucia. Ci può stare. Compreso il vocabolario sul quale oggi molti commentano: è quello di un passionale legittimamente incazzato.

Il bambino pulito

Proprio per questo è cominciato lo scolo dell’acqua sporca. Paga per tutti un allenatore che si è rivelato un vero signore in ogni situazione. Sulle competenze tecniche nulla questio in virtù del Luogo Comune 1.

Pagheranno certamente anche altri che non si sono rivelati all’altezza delle aspettative.

Ma resta un modello che non può essere messo in discussione. È il Modello Frosinone: che ha preso un campo con l’erba alta un metro e mezzo e l’ha trasformato nel più moderno stadio di Serie A. L’ha fatto senza strangolare i conti. Ha costruito intorno alla squadra una Cittadella dello Sport in cui far crescere i ragazzini, facendoli corre intorno ad un palla anziché rincoglionirsi davanti ad una Play Station o peggio.

C’è una cosa che tutti hanno dimenticato, ora che è dicembre: un anno fa il Frosinone ha emesso un bond con cui finanziare il suo salto nell’Olimpo. È andato a ruba: significa che i conti sono sani. Una squadra blasonata e piena di storia come il Palermo sta attraversando vicissitudini poco simpatiche a causa del problema opposto.

È questa la prima classifica alla quale guardare.

Troppa grazia Sant’Antò

C’è anche altro ad eccellere. Non si può negare che il progetto Experience abbia dato al Frosinone un marketing degno di una società da Champions: le università studiano il modello messo in campo, ci sono quattro studenti che hanno dedicato a questo la loro tesi di laurea. Le tournee hanno fatto conoscere e caricato di aspettative

Ma è proprio questo a stridere: un Experience da Champions mette ancora più in risalto il penultimo posto in classifica (che ci può stare) tra lazzi e pernacchie (che non sono tollerabili). Inducendo nell’errore che ci si sia concentrati solo sull’aspetto marketing a discapito del profilo sportivo.

Non è così. Sono due aspetti che non vanno mischiati. Ma anche lì non è possibile negare un errore: Frosinone non è Verona e non è Sassuolo, non ha il loro Pil. Il cuore resta deluso quando non può esprimere la sua passione fino in fondo ed ha l’impressione d’essere stato tenuto fuori solo per una questione di soldi.

L’ultimo luogo comune

Un ultimo luogo comune: “Inutile piangere sul latte versato“. Vale anche in questo caso: che ci piaccia o no la situazione vede Longo sollevato dalla conduzione, un nuovo tecnico in panchina, più di mezzo campionato da affrontare.

Inutile stare a discutere. Ora c’è di strillare, incitare, sventolare bandiere e sciarpe, correre appresso ad una palla azzannando gli stinchi degli avversari, scheggiare pali e traverse.

E conquistare così la salvezza matematica il più in fretta possibile. Camolese prese il Toro al penultimo posto in Serie B al termine del girone d’andata e finì quello di ritorno centrando la promozione diretta.

Anzi, un ultimo luogo comune: “I giornalisti sono quella categoria di lavoratori che viene pagata per spiegare agli altri ciò che loro per primi non capiscono“: questo che avete letto ne è la dimostrazione.