Il candidato scomodo, il cecchino, le rivelazioni di Palamara

L'ex magistrato ed il suo libro - scandalo di scena a Fiuggi. Intervistato da tre penne di alta classe. Le strane analogie, i giochi sporchi, i cecchini per eliminare i candidati avversari. Ed un secondo volume in arrivo.

Il caso del giudice Tommaso Miele, impallinato sul filo della nomina a presidente nazionale della Corte dei Conti? «In questi casi entra in scena un cecchino. Spesso è qualcuno che lavora nei Servizi. Passa un’informazione al giornalista con il quale è in contatto e da lì si fa scoppiare l’incidente che elimina dalla corsa il candidato». Luca Palamara descrive il metodo con il quale Il Sistema ha sempre eliminato i candidati scomodi, quelli con talmente tanti titoli da avere la certezza della nomina in una sede giudiziaria ambita. In questo caso, ambitissima. (Leggi qui Miele amaro: il giudice rinuncia alla Corte nazionale).

Lo ha raccontato dalla terrazza della Fonte Bonifacio VIII a Fiuggi dove l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura è stato intervistato dal vice direttore del Giornale Vittorio Macioce, dal direttore delle pagine politiche di Ciociaria Oggi Corrado Trento e dal direttore dei Tg di Teleuniverso e di Alessioporcu.it Alessio Porcu.

Il Sistema

Luca Palamara (Foto: Massimo Scaccia / Giornalisti Indipendenti)

Ha ripercorso i punti chiave del suo successo editoriale Il Sistema – Potere, politica affari: storia segreta della magistratura italiana. Un libro – scandalo scritto a quattro mani con il direttore Alessandro Sallusti, nel quale rivela segreti e retroscena che governano la vita della magistratura.

Si comincia con una rivelazione: a Fiuggi Luca Palamara è molto legato. Perché da bambino veniva qui a trascorrere una parte delle sue vacanze estive. C’è la commozione al ricordo del padre Rocco, magistrato anche lui: non uno qualsiasi ma una toga che ebbe un ruolo fondamentale nella vicenda di Sigonella; gli occhi si illuminano quando ricorda la stagione di Falcone e Borsellino che spinse una generazione di giovani magistrati a prenderli come mito.

Poi c’è la parte meno nota di quella professione. È la parte che governa quel potere. Perché la magistratura è un potere. È uno dei tre che reggono le democrazie moderne: Governo, Parlamento e appunto Magistratura. “Quel potere si autogoverna – spiega Luca Palamara – ma allo stesso tempo l’altro potere (quello politico) reclama delle garanzie e quindi ha il potere di indicare una serie di magistrati ‘laici’ all’interno dell’organo di autogoverno. Ed ha anche l’Autorizzazione a Procedere: un filtro che bilancia l’azione della magistratura quando giustamente mette il naso nella politica. Poi però accade che sull’onda del No all’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi quell’istituto viene tolto. E l’equilibrio dei poteri si sbilancia”.

A vantaggio della magistratura? Un po’ e un po’. “Perché se è vero che ora la magistratura non deve più essere autorizzata per indagare su un politico, altrettanto è vero che immediatamente la parte indagata inizia ad accusare di faziosità e partigianeria politica il magistrato che indaga”, spiega Palamara.

Giochi di potere

La Fonte Bonifacio VIII a Fiuggi

Per buona parte, il racconto che si dipana a Fiuggi è quello di un Sistema che difende le sue autonomie da un altro sistema che vorrebbe prevalere. “C’è un momento – spiega con la sua ineguagliabile lucidità Vittorio Macioce – in cui una parte della magistratura si ritiene investita del compito di supplire una politica che tarda a prendere le decisioni. Si arriva quasi ad una dittatura etica”.

Cita Giulio Cesare: “Sapete perché varcò il Rubicone? Perché aveva attaccato la Gallia senza il permesso del Senato. E se fosse rientrato a Roma sarebbe stato processato da un Senato in mano agli Optimates suoi avversari. Cesare varca il Rubicone e scatena la guerra civile per evitare di essere processato. E quello a cui stiamo assistendo oggi non è altro che la riproposizione di quello scontro”.

Luca Palamara conferma. E racconta di un sistema che dal suo interno non vuole essere né riformato né giudicato. Non vuole che si tocchino le sue prerogative. Chi ci prova, scatena lo scontro. Accadde con Berlusconi che si era messo in testa di riformare il sistema giudiziario. Successe a Matteo Renzi che disse di voler mettere mano alle ferie dei magistrati.

Il racconto si dipana tra agenti dei servizi che passano le indiscrezioni al giornalista fidato, correnti interne che si fronteggiano, il ruolo chiave del presidente della Repubblica. E se qualcuno non fa parte del Sistema, non è funzionale al Sistema, rischia di finire impallinato. Un caso che ricorda in maniera imbarazzante quanto accaduto al giudice Tommaso Miele: impallinato sulla via per diventare presidente nazionale della Corte dei Conti. Luca Palamara non fa nomi: ma di fronte all’esempio, racconta come “in questi casi entra in scena un cecchino. E si elimina il candidato scomodo”.

Il resto sarà nel prossimo libro. Scritto anche questa volta con Alessandro Sallusti. E ci saranno ancora una volta molti segreti svelati e retroscena. “Solo cose che posso dimostrare. E scritte in modo che sia comprensibile a tutti”. Perché il sistema del quale ha fatto parte sia finalmente messo a nudo.