Il capolinea del Movimento Cinque Stelle

Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei

La retromarcia del premier Giuseppe Conte sul Tav ha messo in luce il pauroso arretramento della forza politica che aveva stravinto le elezioni del 4 marzo 2018. Il fallimento al Governo rischia di logorare definitivamente la formazione di Beppe Grillo.

Non c’è rimasto più niente: il Movimento 5 Stelle ha perso di fronte al Treno ad Alta velocità l’ultimo brandello di faccia che gli era rimasto. In un anno e mezzo di governo ha cancellato, giorno dopo giorno, l’illusione costruita su misura da Grillo e Casaleggio per gli italiani delusi da un Pd arruffone e litigioso e da una Forza Italia maneggiona e asservita al suo padrone.

Non c’è più nulla di quel MoVimento nato da un Vaffa gridato all’inefficienza di un Paese spesso degno delle barzellette, che si era meritato le risate di Merkel e Macron in diretta sull’Eurovisione.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri indicato dal M5S dopo avere vinto le elezioni un anno e mezzo fa annuncerà che il Tav si deve fare. Addio No Tav. È solo l’ultima resa. Che si aggiunge alle altrettanto clamorose rese fatte di fronte all’Ilva di Taranto che doveva chiudere ed è rimasta aperta; di fronte all’oleodotto Tap che in Puglia doveva essere bloccato e invece prosegue spedito; grida vendetta il no alle olimpiadi di Roma (ed ai milioni di euro che avrebbero trasformato la Capitale) e poi il si alle olimpiadi di Milano.

Roba da torcicollo paragonabile solo alla giravolta compiuta sui Vaccini: da No Vax a Si Vax in una notte appena ci si è resi conto che stavano tornando le malattie infettive in Italia, poco male se sull’altare sono stati sacrificati elementi di punta come Paola Taverna e Davide Barillari, che fino ad un secondo prima continuavano a strillare contro i vaccini.

Voltafaccia che si aggiungono a quelli interni: le dirette streaming non si sono mai viste, le riunioni grilline sono più carbonare di quelle fatte dal Pd, l’incollamento alla poltrona è stato giustificato con il Mandato Zero, la rendicontazione on line dei soldi è finita dopo la poco edificante scoperta che qualcuno faceva i bonifici giusto il tempo per stampare la ricevuta e poi li annullava. Si va verso la creazione di segretari provinciali e sezioni, esattamente come il Pd che si voleva distruggere.

Resta un’ultima resa: quella sull’Autonomia. Spaccherà l’Italia.

Intanto, nelle scatolette di tonno che dovevano essere aperte non è stato trovato niente. Lo stabilimento Fca Cassino Plant è fermo perché le macchine non si vendono, penalizzate da un’ecotassa che ha favorito i marchi stranieri senza dare tempo al principale player nazionale di aggiornare la propria offerta.

La Coop è destinata a lasciare Frosinone e nessuno dei comparti industriali della provincia di Frosinone ha registrato alcun beneficio attraverso l’azione di governo.

Gli ultimi investitori stranieri che si sono visti sul territorio sono quelli che andò a cercarsi con il lanternino un tale senatore Scalia Francesco (del vituperato Partito Democratico) nella sua funzione di Segretario di Presidenza della Commissione Industria al Senato. Lo stesso che ottenne, con gli altri colleghi, ben tre (dicesi tre) salvaguardie per i lavoratori ex Vdc facendogli agganciare la pensione. No pizza, fichi e vaffa.

Ora la strategia è fare nulla e dare la colpa agli altri. Tirare a campare – insegnava Giulio Andreotti – è sempre meglio che tirare le cuoia.

Con la retromarcia del Governo sul Tav si chiude un cerchio aperto un anno fa, quando il Movimento Cinque Stelle andò alla guida del Paese firmando un contratto con la Lega. Ma un contratto può contenere prescrizioni su una serie anche lunga di temi generali. Quando però si entra nello specifico, allora spuntano fuori novità non preventivabili. Poi c’è l’ordinaria amministrazione, fatta soprattutto di sorprese, anche perché legata ad un contesto internazionale.

I Cinque Stelle devono porsi con serietà una domanda: quale futuro per il Movimento? Perché la dimensione governativa non funziona: Luigi Di Maio, il capo politico, ha ceduto su tutto il fronte a Matteo Salvini per quanto riguarda i temi della sicurezza e della gestione dell’immigrazione. Questo ha consentito al leader leghista di “incassare” nei confronti dell’elettorato di centrodestra e non solo.

Mentre i pentastellati, gestendo principalmente i ministeri economici, hanno dovuto fare i  conti con la crisi. E perfino con una gestione del reddito di cittadinanza non ottimale.

Il tracollo alle Europee è molto più di un campanello d’allarme. Per il dimezzamento dei voti, per il sorpasso del Partito Democratico, per una sensazione di ineluttabilità dell’arretramento.

I Cinque Stelle hanno perso la loro dimensione barricadiera di opposizione, ma non hanno trovato quella di governo. Sono diventati un Partito normale, che però non può permettersi di essere tale. In più si è registrato il sostanziale disinteresse di Beppe Grillo e la ritirata strategica di Davide Casaleggio.

Luigi Di Maio è da tempo nel mirino di una larga fetta della basa, ma anche i suoi oppositori interni hanno il “braccino”. Alessandro Di Battista attacca a corrente alternata. E quando lo fa, non mette in discussione la leadership  di Luigi Di Maio. Il presidente della Camera Roberto Fico parla all’ala sinistra del Movimento. Ma anche lui non dà la sensazione di voler andare fino in fondo in un eventuale strappo.

Complicato ipotizzare cosa potrà succedere nel prossimo futuro. Di Maio invoca il voto del Parlamento sul Tav. Ma ci sarà una maggioranza sull’opera. E allora emergerà in modo ancora più chiaro l’isolamento del principale partito di governo. Non sarà una differenziazione (utile se si è all’opposizione), sarà evidenziare una posizione minoritaria in Parlamento e ormai anche nel Paese.

Rimanere al governo alla fine logorerà ulteriormente i Cinque Stelle.