Il coraggio di inseguire la scia che unisce da Renzi a Zingaretti e porta al futuro

Le grandi spinte riformiste degli anni scorsi portano le impronte digitali di Matteo Renzi. Ma gli snodi finali di quelle innovazioni hanno la targa di Nicola Zingeretti. E di un Lazio che fa scuola. Con un segnale chiaro: la buona politica, al di là delle parabole personali, è quella dei Partiti che lavorano sul Paese reale.

Sono i fatti a parlare. Non c’è bisogno di andare lontano. Il pacchetto di provvedimento noto come Industria 4.0 ha consentito il salvataggio della ex Marazzi Sud e la sua conversione nell’attuale gioiello Saxa Gres; evitato la chiusura della Ideal Standard di Roccasecca e la sua trasformazione nell’innovativa Grestone. Il Jobs Act che tutti hanno contestato stracciandosi le vesti si è rivelato invece uno strumento efficace: le assunzioni ci sono state. La creazione della Srl semplificata ha consentito la nascita a migliaia di start up che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra di una anonima partita Iva; non ultima anche questa iniziativa editoriale.

E il Super Ammortamento ha prodotto uno svecchiamento del parco macchinari in ogni azienda e messo in moto la produzione. Le dichiarazioni dei redditi precompilate hanno semplificato la vita a migliaia di contribuenti e snellito il loro rapporto con il Fisco. Le Salvaguardie hanno consentito a centinaia di lavoratori, soprattutto ex Videocon, di agganciare una pensione alla quale altrimenti non sarebbero arrivati.

Il denominatore Matteo Renzi

Matteo Renzi Foto © Carlo Lannutti / Imagoeconomica

Tutti questi provvedimenti hanno un comune denominatore: Matteo Renzi. È stato l’uomo della grande delusione: tutti si aspettavano da lui la soluzione immediata ad ogni tipo di problema e lui nulla faceva per smorzare quelle aspettative e quegli entusiasmi. Ma non si può dire che non sia stato un grande innovatore.

I limiti dell’uomo sono ben noti, le carenze del politico altrettanto: la sua attuale sopravvivenza in un perimetro del 3 per cento non è stata una casualità ma il risultato di quei limiti e di visioni sbagliate.

Cosa accadde quando ci provò Bersani

Pierluigi Bersani Foto © Imagoeconomica, Rocco Pettini

Non di meno, la sinistra e Matteo Renzi hanno il dovere di interrogarsi. Questo è un Paese fondamentalmente arroccato sul privilegio. Anche le cicliche campagne contro le Caste fanno parte del privilegio: sono solo assalti per buttare giù la casta di turno e sperare di potersi sostituire a lei. Non servono prove: basta guardare i grillini ed il tempo che hanno impiegato a loro volta per diventare casta. Basta guardare cosa accadde quando Pier Luigi Bersani provò ad ammodernare il Paese con un’ondata di riforme che andavano a colpire fondamentalmente i privilegi liberalizzandoli.

Si opposero tutti: dai notai che sono a numero più che chiuso ai taxisti che avevano speso 20 milioni di lire per comprare la licenza e ora rischiavano di veder azzerare quel valore che per loro rappresentava una sorta di liquidazione.

Le riforme vere? C’è il caso Lazio

Nicola Zingaretti

Se non si parte da questo assunto non si potrà mai mettere in campo una riforma capace di mettere davvero l’Italia al passo con le grandi economie.

Il Lazio di Nicola Zingaretti ha mandato al Paese un segnale chiaro ed inequivocabile: si può far funzionare la Cosa Pubblica. Lo dimostra il fatto che oggi la flotta ferroviaria laziale sia la più giovane in Italia: fino ad una decina d’anni fa si viaggiava in vagoni poco più degni d’un carro merci; il Cotral oggi ha i conti in ordine ed i bus nuovi. In tre settimane la Sanità è stata rivoltata come un calzino e convertita in frontiera anti Covid. Dopo dieci anni anche i conti della Sanità del Lazio hanno le briglie grazie anche al lavoro avviato da Piero Marrazzo e Renata Polverini.

Anche su questo, Nicola Zingaretti ha mandato un segnale chiaro: ha voluto condividere il risultato con chi prima di lui ci aveva messo mano: in Italia non è consueto e nel Lazio meno ancora.

Lo scatto che il Paese chiede

Il tricolore di luci sul Ponte Morandi Foto © Archivio PerGenova Scpa

Segnali chiari li sta mandando il Paese: vuole essere amministrato e non vuole gente che strilli. Non si spiega altrimenti il continuo gradimento certificato dai sondaggi su Giuseppe Conte. Vuole buona politica e quella c’è se esiste un Partito alle spalle: si spiega così il travaso di voti a destra in favore di Fratelli d’Italia.

Ora c’è bisogno di quello scatto che le Industrie chiedono. Per cinquant’anni abbiamo risposto ai furbi ed agli evasori aumentando i controlli della burocrazia. Finendo per bloccare tutto. Per fare il Ponte di Genova e la Salerno – Reggio abbiamo dovuto fare un provvedimento straordinario che eliminasse la burocrazia.

Il coraggio della sintesi, per ripartire da sinistra

NICOLA ZINGARETTI FOTO © CARLO LANNUTTI / IMAGOECONOMICA

Le risposte sono davanti ai nostri occhi. Occorre il coraggio di ribaltare il sistema. Mettere il lavoro al centro. Oggi il nostro sistema tassa di più chi è più grande. E questo frena la crescita, limita le assunzioni. Porta a nascondere una parte della produzione realizzandola e vendendola in nero. E se invece tassassimo meno chi assume di più e produce di più? Ogni persona assunta è un consumatore in più, che compra, viaggia, spende: è Iva che viene pagata. Più produzione c’è più merce circola e più lo Stato guadagna. Se chi produce non ha motivo per nascondere è la fine del nero. Se si tagliano le tasse a chi non ha infortuni in fabbrica diventa conveniente investire in sicurezza.

Sono i fatti a parlare. Ma una sinistra moderna deve avere la capacità di individuare una sintesi con il politico meno di sinistra che la sinistra abbia avuto. Altrimenti una riforma capace di far ripartire il Paese diventerà solo un ulteriore terreno di scontro.

Ed i risultati del lavoro fatto da Matteo Renzi, i risultati centrati da Nicola Zingaretti nel Lazio, rischiano di rimanere fenomeni isolati.