Il destino di un comparto

Da Videocolor a Marangoni, da Ilva a Permaflex: la provincia di Frosinone quali elementi ha per poter riavere le sue fabbriche? La trasformazione è in atto: Aeffe, Seeweb, Hydrogen Valley e forse outlet. Ma senza che ci sia una visione. capace di imprimere una spinta

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il fiato che soffia nella tromba è sempre lo stesso. Cambiano le note. E di conseguenza la musica che ne esce. Ci sono quelle meste e drammatiche di una ritirata oppure quelle briose ed entusiastiche di una carica. Per capire quelle che sta suonando il sistema industriale della provincia di Frosinone si fa a fatica a comprendere il suono. E decifrarlo.

Colpa di un tessuto industriale nato in larga parte ‘a forza‘: pompato con gli ormoni di una Cassa per il Mezzogiorno che aveva l’ambizione di industrializzare il Centro Italia per poi affrancare il Sud. Musica originale di uno spartito che abbiamo visto decenni più tardi con il Superbonus in edilizia: ottima intuizione, scrittura pessima, esecuzione senza controllo.

Oggi di quel tessuto industriale sono rimaste in larga parte le smagliature su una pelle dilatata a forza ed in fretta. Ed altrettanto in fretta sgonfiatasi. Qual è allora oggi la destinazione dell’Area Industriale di Frosinone?

Tra carica e ritirata

La linea Videocolor

Capire quali tasti stiano pigiando nella tromba il governatore del Lazio Francesco Rocca ed il presidente del Consorzio Industriale regionale Francesco De Angelis è fondamentale. Per capire cosa sta accadendo e dove stiamo andando.

Le note sulle quali concentrarsi sono acute e basse, nel passato sono state parte del tema portante dello spartito. Permaflex all’uscita dell’autostrada di Frosinone è stata la realtà che ha dato all’Italia i materassi a molle facendogli buttare quelli in lana o cartocci di granturco. È la sintesi del tutto. Perché lì la produzione è finita da tempo e per almeno dieci anni s’è scatenato il dibattito tra chi prese atto da subito che la stagione industriale a Frosinone era finita e chi invece continuava a sperare in una reindustrializzazione. È finita che l’area è stata trasformata da industriale a commerciale: ora che il treno dei grandi outlet è passato.

Un altra sintesi del tutto si chiama Videocolor. È la sintesi del collasso. Perché ad Anagni era un’eccellenza europea. Che i francesi di Thomson misero qui solo in virtù di quegli accordi che si possono sottoscrivere sui tavoli mondiali. È la sintesi dell’incapacità di una generazione politica: che a differenza di quella che portò Videocolor in Italia non fu capace di inventare nulla per tenercela. Innovazione? Ricerca? Certo: c’era e pure di eccellenza. Ma non restarono a produrlo qui. Perché non ce n’era né motivo né vantaggio.

Marangoni, Ilva, ex Sif ed il mondo che cambia

Una delle sedi Ilva

Percorrere l’asse industriale di Frosinone ed avere poco più di settant’anni è come viaggiare in una macchina del tempo. Consente di riconoscere i ruderi di una gloria industriale passata. Ma anche di riconoscere le note che incitano ad andare all’attacco e non a lasciare il campo.

Videocolor oggi si è trasformata nel principale polo nazionale della logistica dei prodotti di termoidraulica. Una storia di riconversione sulla quale potrebbe incanalarsi l’ex costola del colosso nazionale dell’acciaio Ilva: a Patrica lavorava l’alluminio. Ora è al centro di un progetto sviluppato da Consorzio Industriale e dall’Università di Cassino, con protagonisti colossi dell’energia come Engie e Società Gasdotti Italia. È destinata a trasformarsi nella Hydrogen Valley con un polo di produzione dell’idrogeno per cui alimentare le fabbriche dell’intero comprensorio. Eccola la parola chiave: riconversione. Come per Videocolor e per Ilva. (Leggi qui: Una Hydrogen Valley per le industrie di Frosinone).

O più ancora l’ex stabilimento Marangoni pneumatici. Oggi è il cuore di uno dei datacenter di Seeweb, protagonista internazionale nel cloud computing e nei servizi di alta gamma connessi alla connettività.

Il caso Marangoni – Seeweb

Il data center Seeweb

Il caso Marangoni – Seeweb è emblematico dello scontro in atto sul consumo del suolo. Per capire la portata dello scontro dobbiamo spostarci un attimo ad Arcene, grande centro a cavallo tra l’agricolo e l’industriale: ettari di pianura coltivata e fabbriche di trattori, impianti idraulici e meccanica industriale.

Lì il Gruppo Vitali aveva deciso di realizzare il suo Data Center cioè un’immensa batteria di server con tutte le informazioni del gruppo e la gestione di ordini, prenotazioni, spedizioni, fatture. Per capire di chi parliamo: da tre generazioni opera nel comparto delle costruzioni nel mondo;  le principali aree di azione sono il Real Estate Development e le grandi Infrastrutture (costruzione di strade, autostrade, ponti, piste aeroportuali), Demolizioni Speciali, decommissioning, coltivazione di cave, lavorazione di materiali per l’edilizia, produzione di calcestruzzi e asfalti. Gestisce miliardi di dati per i quali sono necessari 50 mila metri quadrati di spazio.

Lancia il progetto Innovation hub. Individua una sua area di 181 mila metri quadrati tra la linea ferroviaria Treviglio-Bergamo e la cava dei Tre cantoni: doveva essere il polmone di espansione per la vicina cava ma poi se n’è fatto nulla. Ottima allora l’idea del Data Center. Ma si è scatenata la reazione di Provincia e Regione. Che hanno sollevato il tema del consumo del suolo.

A 650 chilometri di distanza Seeweb ha avuto la stessa esigenza ma individuato una soluzione differente. Ha preso lo stabilimento ex Marangoni e lo ha trasformato. Da area per la produzione di pneumatici a datacenter: è uno dei pilastri della sua catena europea. Rispetto alla possibilità (economicamente molto più vantaggiosa) di costruire da zero un nuovo edificio, Seeweb decise di ristrutturare e bonificare un capannone esistente.

Il confine ex Sif

Il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli e la presidente di Unindustria Miriam Diurni

Enrico Vona è uno dei due fondatori di Seeweb insieme ad Antonio Baldassarra. Spiega che «Riqualificare è più costoso ma ha dei vantaggi ambientali ed abbatte i tempi per avere la disponibilità delle strutture. Per il Data Center Seeweb di Frosinone la nostra idea è stata da subito quella di riqualificare anziché occupare nuovi spazi. Per rivalorizzare l’ex Marangoni abbiamo fatto una serie di adeguamenti. Oggi non possiamo ignorare il problema del consumo del suolo, oltre il fatto che nella zona industriale di Frosinone ci sono tante fabbriche dismesse che possono ospitare nuovi business».

Permaflex, Videocolor, ex Ilva, Marangoni sono tre casi emblematici. Non c’è più produzione industriale, si sono riconvertite. Il manifatturiero è poco ed anche per una ragione concreta: mancano le infrastrutture. Non è un caso che nei giorni scorsi la presidente di Unindustria Miriam Diurni abbia ricordato alla politica che “dopo oltre 30 anni non si riesce a far attivare il depuratore di Anagni. E che le aziende che si sono insediate in quell’area con la previsione di averlo a disposizione sono state costrette a provvedere autonomamente».

Un altro esempio emblematico di riconversione. Potrebbe essere quello dell’ex Sif Società Interporto Frosinone. Fu una geniale intuizione del mondo politico ed industriale. Ma un pessimo esempio di collaborazione tra le due realtà. Puntava a realizzare il primo, grande, unico, immenso centro merci nell’Italia Centrale. Gli industriali furono pronti a mettere sul piatto esperienza e capitali: ma chiesero certezze sui tempi. Finì dopo poco con gli industriali che se ne andarono a gambe levate e la politica riuscì a malapena ad alzare un capannone.

Lì ora punta a nascere un centro specialistico sanitario: nomi affermati, assistenza sanitaria, riabilitazione, interventi. Ci sarà un processo analogo a quello fatto da Seeweb sulla struttura ex Marangoni. Con la differenza il capannone Sif è nato ed è destinato ai servizi.

Il destino di un comparto

Carlos Tavares

È il quinto esempio. Che unito a quelli di Permaflex, Videocolor, ex Ilva, Marangoni pone un quesito. Locale e regionale. Qual è il futuro del sistema industriale della provincia di Frosinone? Il Documento di Economia e Finanza della Regione Lazio prevede lo sviluppo industriale nel Nord del territorio cioè nelle province di Rieti e Viterbo. E nell’area del Golfo in provincia di Latina lo sviluppo della Blue Economy l’Economia del Mare lungo l’asse del sistema portuale del mar Tirreno centro settentrionale.

Il manifatturiero della provincia di Frosinone non c’è. Non viene citato. Nonostante il Ceo di uno dei principali colossi mondiali dell’Automotive Carlos Tavares sia stato solo pochi giorni fa a Piedimonte San Germano per confermare il ruolo centrale di Stellantis nel futuro della mobilità elettrica. E nonostante un altro colosso come AGC Glass Europe (14mila dipendenti) abbia dato nel periodo della pandemia la disponibilità a raddoppiare i volumi produttivi nello stabilimento di Roccasecca. A condizione di avere certezze sui flussi del gas e dei suoi costi.

Quello dell’approvvigionamento energetico è uno dei nodi attraverso i quali passa lo sviluppo di un territorio a vocazione industriale. Francesco Rocca nel Defr ha tracciato una linea di netta discontinuità con quella di Nicola Zingaretti. Prevede «la realizzazione di linee di termocombustione per la chiusura del ciclo dei rifiuti regionali e in località idonee, non confliggenti con le vocazioni del territorio». Oggi il piano di gestione dei rifiuti del Lazio non prevede questo tipo di impianti.

In queste condizioni il manifatturiero difficilmente tornerà nell’area Asi. A meno di non avere un grande polo di attrazione. Ed una strategia concreta. Che assicuri quegli impianti ai quali faceva riferimento la presidente Diurni. E dica dove si vuole andare. E con chiarezza cosa si può fare.

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)